Francesco Matteuzzi e Philip K. Dick: incontro con la fantascienza

Francesco Matteuzzi e Philip K. Dick: incontro con la fantascienza

Un’intervista per comprendere da dove nasce l’interesse di Francesco per la fantascienza, e l’importanza di confrontarsi con una figura particolare come quella di Dick.

Francesco Matteuzzi nasce a Firenze nel 1978 e cresce col fumetto italiano, popolare e non, diventando sceneggiatore, scrittore per ragazzi e giornalista. Docente presso la Scuola Internazionale di Comics di Padova, annovera al suo repertorio numerose collaborazioni ed un premio Giancarlo Siani (2009), vinto sceneggiando il graphic novel: “Peppe Diana – per amore del mio popolo”.
Autore impegnato, pubblica con becco Giallo due “biografie” importanti, una dedicata ad Anna Politkovskaja, protagonista di questi ultimi anni di cronaca giornalistica e storica, ed una dedicata a Philip K. Dick, uno dei più importanti autori di romanzi fantascientifici del secondo dopoguerra.

Quando e come nasce l’idea di confrontarsi con un autore come Dick? Quali sono i trascorsi tuoicon la fantascienza?
Il mio primo incontro con la fantascienza mi pare sia avvenuto con il ciclo della Fondazione di Isaac Asimov, anche se mi potrei sbagliare, e risale a quando avevo undici o forse dodici anni. Non so dire se sia stato amore a prima vista, ma resta il fatto che, da quel momento, ho continuato a interessarmi alla fantascienza, anche se non è che mi piaccia proprio tutto, anzi. Sono pochi gli autori che davvero mi appassionano, e in linea generale tendo a preferire i racconti brevi ai romanzi.
Come sceneggiatore è la prima volta che mi trovo a esplorare il genere (perché il libro sarà anche una biografia di Dick… ma è anche una storia di fantascienza in stile Dick). L’idea di fare questo libro però non è venuta a me. Becco Giallo e Pierluigi Ongarato avevano già iniziando a lavorare al progetto, e quando ho saputo che stavano cercando uno sceneggiatore che potesse dare la giusta chiave di lettura al libro – e che avevano pensato a me per farlo – non ho avuto dubbi ad accettare.

Quali sono state le difficoltà nell’elaborare un fumetto che riuscisse ad affrontare, in poco spazio ed in modo chiaro, le idee di uno scrittore così prolifico?
Come sempre accade in libri di questo tipo, la difficoltà principale risiede nel fatto che, per esigenze di spazio, si è costretti a lasciar fuori dalla narrazione una gran quantità di cose. Quindi il grosso del lavoro preliminare consiste nello scegliere cosa inserire e nel determinare in che modo tali elementi si legano e raccontano la storia. Certo, il fatto che si tratti di una storia vera ti offre già tutto il materiale di cui hai bisogno, ma la verità è che la vita vera non risponde quasi mai alle esigenze narrative di un racconto. Ecco l’altra difficoltà: trovare una struttura narrativa all’interno di avvenimenti già definiti e che, in linea di massima, non ce l’hanno.



Quanto è stata presente Becco Giallo nella realizzazione del volume?
Lo è stata molto, nella figura di Federico Zaghis, che è l’editor del libro. E che ha svolto esattamente il lavoro che ci si aspetta da un editor: dando man forte a me e a Ongarato, supervisionando e commentando ogni fase del lavoro, offrendo suggerimenti, criticando laddove c’era da criticare e così via. Insomma, è stato un vero lavoro di squadra che ci ha visti coinvolti tutti e tre in ogni fase del lavoro, ognuno con le sue competenze.

In una biografia in cui realtà e fantascienza si mischiano, avete sentito la necessità di darvi dei punti fermi, per non stravolgere l’idea di base? Dove finisce Dick e dove comincia Matteuzzi?
Bella domanda… alla quale però non sono sicuro di saper rispondere. È ovvio che all’inizio del lavoro ci siamo dati dei punti fermi da seguire, vista la complessità del lavoro. Meno ovvio è il fatto che poi questi punti fermi li abbiamo traditi quasi tutti. E dico questo non per cercare una frase a effetto, ma perché a un certo punto abbiamo davvero cambiato le carte in tavola, sorprendendoci noi per primi della direzione che la storia stava prendendo. Quella fase del lavoro è stata davvero appassionante, perché il colpo di scena che avevamo programmato non ha avuto luogo, sostituito da qualcosa di nuovo. Insomma, ci siamo stupiti perfino noi che, in teoria, sapevamo che cosa sarebbe accaduto in quelle pagine.
Potrei essere più specifico, ma non voglio rovinare la sorpresa a chi ancora non ha letto il libro.


Nel mondo abusato di immagini ed effetti speciali della fantascienza, quali e quanti sono i rischi di cadere in cliché scontati, per quel che riguarda i disegni?
Questa è una domanda che andrebbe posta a Ongarato, a dire il vero. Per come la vedo io, gli effetti speciali non sono fantascienza. Certo, vengono usati nella fantascienza per rendere credibili mondi alieni e creature che vengono da altri pianeti o altre dimensioni, ma sono solo uno strumento. La fantascienza è altro: è la storia che deve essere “fantascienza”, non l’immagine che la accompagna. Nella buona fantascienza c’è innanzitutto un’idea forte che riconduce all’attualità ed estremizza qualcosa di già esistente, tutto il resto viene dopo. Spesso, per quanto mi riguarda, è anche difficile stabilire che cosa sia fantascienza e cosa invece no. Per quanto riguarda Dick, e a costo di attirarmi gli strali degli appassionati, credo che spesso le sue opere non siano di fantascienza ma, semplicemente, letteratura. E non è un maldestro tentativo di nobilitazione (della quale non c’è affatto bisogno), solo un punto di vista che nasce da una constatazione.

Il ‘900 viene da alcuni definito il “secolo breve”. Con lo sviluppo tecnologico degli ultimi anni, le possibilità che ha aperto e tutto quel che ne è stato detto, avete sentito l’esigenza di riattualizzare il pensiero di Dick, rivedere il tutto da un punto di vista più attuale, o vi siete trovati a vostro agio con quel che già avevate a disposizione?
La poetica principale di Dick non riguardava lo sviluppo tecnologico, ma lo sviluppo umano. Quello di Dick era un discorso filosofico e, in quanto tale, adattabile con pochissime modifiche a vari contesti. Partendo da questo presupposto, trovo che sarebbe stato impossibile attualizzarlo, o che comunque sarebbe stato impossibile farlo senza snaturarlo. Il materiale che Dick ci ha messo a disposizione, con i suoi romanzi ma anche con i suoi altri scritti, è stato più che sufficiente così com’era, senza bisogno di andare a modificarlo. E poi, siamo onesti. Anche ad avere la tentazione di farlo, mettere le mani su materiale del genere sarebbe un suicidio artistico. Quello che avremmo potuto fare al pensiero di Dick, con un simile lavoro, sarebbe stato solo peggiorarlo.
Per riprendere la citazione da Hobsbawm, è vero, il 1900 è stato un “secolo breve”, nel quale i cambiamenti sociali e politici sono stati enormi e racchiusi in un tempo brevissimo. Ma l’uomo, nel suo intimo, non è che sia cambiato granché. I nostri processi mentali e i desideri restano più o meno gli stessi. Solo che adesso li scriviamo su Facebook.

Riferimenti:
Il blog di Francesco Matteuzzi: francescomatteuzzi.blogspot.it

   
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