Federico Pace, autore di Fioritura lenta per Comicout, è stato ospite di Lo Spazio Audace – Vignette e caffè a Lucca Comics & Games 2024.
Benvenuto Federico! Raccontaci come nasce Fioritura lenta e come sei arrivato a pubblicarlo con ComicOut.
L’idea è nata quando ancora studiavo alla Scuola Internazionale di Comics a Roma. Avevo già iniziato a svilupparla durante il master, ma diciamo che all’epoca non era ancora una storia abbastanza “completa”, c’erano ancora dei buchi di narrazione e non era assolutamente pubblicabile.
Negli anni ho lavorato ad altre storie, ma questa ha continuato a rimanermi in testa e così ho iniziato a rielaborarla e a inviarla a vari editori che puntualmente mi dicevano “sì, va bene, ma… Sì, va bene, ma…”. Così ho deciso di ridisegnarla e mandarla ad altre case editrici, ma il risultato è stato lo stesso “sì, va bene, ma…”.
Insomma, quelle tavole le avevo ormai imparate a memoria. Poi è successo che mi sono confrontato con Midori Yamane, che era stata mia insegnante alla Scuola di Comics, e lei mi ha suggerito di ridisegnare nuovamente la storia e di proporla a ComicOut. Così ho fatto, l’ho ridisegnata, mandata a ComicOut e a Laura Scarpa (fondatrice e direttrice di ComicOut ndr) l’idea è piaciuta molto e ha accettato di pubblicarmi.
Chiaramente, la storia è stata ricontrollata, sistemata per mesi, ma alla fine è andata!
Quindi hai impiegato anni per realizzare il libro, ridisegnandolo almeno tre volte.
Sì, quasi tre anni. E l’ho ridisegnato molto più di tre volte!
Com’è cambiata e evoluta la storia nelle varie fasi in cui l’hai ridisegnata? Hai rimodulato il tuo stile di partenza, o l’influenza del fumetto giapponese era già presente all’inizio e si è consolidata con il tempo?
Diciamo che, ancora prima di frequentare la Scuola di Comics, partivo con l’idea di avere uno stile molto vicino al manga e del manga mi piace anche la tecnica di narrazione. Ma a scuola molti insegnanti mi hanno demotivato, dicendomi che il manga in Italia non era proprio il massimo. Perciò ho provato a rifinire il mio stile occidentalizzandolo un po’, ma tra molte virgolette, perché rimanevo dell’idea di voler fare qualcosa di vicino al manga. Ho cambiato più volte il mio modo di disegnare, cercando di renderlo sempre un po’ più occidentale, ma alla fine ne è venuto fuori un mashup fra il tratto manga e quello occidentale.
Fioritura lenta è un fumetto abbastanza intimo e autobiografico. Ci parli della scelta di raccontare la tua esperienza?
Dato che sono un ragazzo transgender ho sempre pensato che potesse essere interessante raccontare questo tipo di percorso, che fino a qualche tempo fa non era un argomento molto usuale nei fumetti. Ora sì, c’è qualcuno che ne parla, però è ancora qualcosa abbastanza di nicchia, in un certo senso.
Fioritura lenta è un fumetto autobiografico, è vero, ma non al 100%. Mi sono confrontato con altri ragazzi conosciuti durante il percorso, ho raccolto le loro testimonianze e così una grossa parte del fumetto risulta un miscuglio di storie di amici e conoscenti che, come me, hanno fatto il percorso di transizione e che mi hanno molto incoraggiato a parlarne, dandomi anche vari spunti narrativi. Perché ogni percorso è diverso, non è sicuramente uguale per tutti e questo è il motivo per cui nel libro ci sono due protagonisti: in modo che io potessi raccontare sia un tipo di percorso sia un altro, quello di chi è medicalizzato, quello di chi ha già capito cosa deve fare, se fare questa operazione, e quello di chi ancora brancola un po’ nel buio.
Quali sono state le difficoltà principali nel dover raccontare questa storia?
Ho trovato difficoltà perlopiù dal punto di vista emotivo, perché quello della transizione non è esattamente un percorso facile, spensierato, allegro e rivivere i momenti bui del confronto con i genitori, dell’affrontare lo stigma sociale, ha fatto tornare a galla tante disavventure che ho affrontato durante l’intera faccenda.
Pensi che il fumetto sia il linguaggio adatto a raccontare questo tipo di esperienza?
Sì, penso che sia molto più d’impatto, perché vedere il tipo di cicatrici che alcune operazioni possono lasciare, vedere il tipo di cicatrici emotive che questo percorso può lasciare secondo me è molto efficace perché rende subito l’idea.
Mi interessa capire se lavorare a un fumetto può portare a conoscere dei lati di sé sui quali in passato ci si era concentrati poco. Se può essere, cioè, un modo per conoscersi meglio, scoprirsi o addirittura definire meglio aspetti personali che si erano del tutto trascurati.
Diciamo che, essendo un lavoro molto introspettivo, il dover cercare di ricostruire un po’ tutta la propria storia passata può far luce su alcuni aspetti che io, per esempio, avevo dato per scontato.
Per fare un esempio pratico, appena fatto coming out e appena iniziato il percorso, mi aspettavo una condiscendenza completa da parte dei miei genitori, senza aver vagliato l’ipotesi che due genitori nati e cresciuti in piccoli paesi di provincia non potessero capire e non avessero proprio gli strumenti per comprendere una cosa simile. Lì per lì non ci avevo riflettuto. Devo essere onesto, ho preteso che lo accettassero senza se e senza ma, quando in realtà ci sono voluti anni e solo scrivendo il fumetto mi sono reso conto che è effettivamente normale che un genitore, almeno oggi nel 2024, abbia bisogno di un po’ di tempo per metabolizzare la cosa. Magari in futuro, spero, sia diverso, ma per il momento le cose stanno così.
Ci racconti qualcosa anche dal punto di vista tecnico? Nelle varie rielaborazioni del fumetto il tuo segno è cambiato? Si è evoluto? E sei soddisfatto del risultato?
Il segno si è evoluto, sì, ma non credo sia ancora come ce l’ho davvero in testa. Però ho riguardato di recente la prima versione del fumetto, quello che avevo buttato giù durante la Scuola di Comics… ed era qualcosa di mostruoso! Cioè, era davvero orribile! Quindi da “qualcosa di mostruoso” alla versione attuale, per me è già un passo avanti!
Qual è stato il tuo metodo di lavoro?
Io lavoro, diciamo, molto di getto. Non scrivo le sceneggiature, realizzo direttamente gli storyboard. Quindi mi sono messo lì e ho buttato giù il primo capitolo senza pensarci troppo. Mi ero solo imposto dei punti di cui tenere conto, ma non ho seguito un vero schema preimpostato, sono andato molto a sentimento.
Mentre il titolo com’è nato?
Il titolo non era questo, all’inizio. Calcola che io faccio schifo con i titoli. Do ai miei fumetti dei titoli lunghissimi, cose senza senso che fanno molto anni Duemila o roba tipo Wattpad. A un certo punto una mia collega mi fa “Senti, il titolo fa schifo”, così le ho chiesto di darmi una mano. Eravamo a Romics, le ho spiegato un po’ di cosa parlava il libro e lei mi fa “Fioritura lenta!”. Ok, lo abbiamo usato!
Pensa che prima il fumetto si intitolava La lunga notte del ghiro… Ma quale ghiro? Non c’è nessun ghiro!
Dove ti proietti dopo questo libro? Hai idee in mente?
Vorrei prima vedere come va, però mi piacerebbe realizzare una seconda parte di Fioritura lenta, sempre per ComicOut, perché mi sono trovato molto bene con loro. Sì, mi piacerebbe continuare su questa linea, per ora.
Quindi pensi ci sia altro da raccontare su questo tema?
Sì, perché nel primo volume abbiamo detto a grandi linee cos’è la disforia di genere, però vorrei parlare anche di come funziona il percorso di cambio di genere in Italia, perché è ancora tutto molto nebuloso e per questo mi piacerebbe fare un po’ di chiarezza.
Grazie per la disponibilità, Federico!
Intervista realizzata il 31 ottobre 2024 a Lucca Comics & Games.
BIOGRAFIA
Federico Pace ha trent’anni, ha studiato fumetto e manga alla Scuola Internazionale di Comics con Midori Yamane e vive e lavora a Roma. Ha pubblicato diversi manga in Italia, in particolare per Tora Edizioni, ma è noto tra i giovani lettori del fumetto giapponese, anche per illustrazioni e autoproduzioni. Ha sempre toccato temi sensibili a cui si sente particolarmente vicino, come il bullismo. Oggi arriva a raccontare di sé, della sua esperienza di transizione, ma non lo fa per “vuotare il sacco”. Piuttosto come un flusso di coscienza che diventa narrazione fiction per aiutare un* giovane che stia vivendo una situazione analoga a reggere la tensione. Ad attendere la propria maturazione e piena coscienza.