Dylan Dog #369: l’illusionista svela i suoi trucchi

Dylan Dog #369: l’illusionista svela i suoi trucchi

L'albo "Graphic Horror Novel" offre una metaletteratura sul tema del fumetto, un "Infinite Jest" fra realtà e immagine cerebrale e poco emozionale.

Il medium è il messaggio” assicura Herbert Marshall McLuhan nel suo famoso saggio Gli strumenti del comunicare. Tradotto in parole meno enigmatiche, significa che ogni mezzo esprime non solo il messaggio che vuol veicolare ma anche se stesso, influenzando i destinatari con la sua essenza intrinseca. Molte sono le funzioni che può avere una storia per un pubblico di lettori. Nel medium fumetto la prima e regina è l’evasione: per il tempo della lettura il lettore viene catturato dalla storia, fino a farne parte. Non ci si dovrebbe specchiare, ma immergersi, come nelle acque di un lago.

Nel caso di Dylan Dog un lago dalle acque oscure, popolate da mostri, creature pericolose, ripugnanti o stranamente affascinanti. Graphic Horror Novel è invece una storia-specchio, postmoderna e metaletteraria. Le atmosfere gotiche e l’indagine di Dylan Dog vengono messe in secondo piano a scapito della riflessione continua sul medium fumetto.
Nella sceneggiatura di Ratigher la profonda conoscenza del mondo delle strisce disegnate diventa arma a doppio taglio che porta il plot a una deriva autoreferenziale: il fumettista protagonista della storia è una rockstar osannata dalla critica e circondata da uno stuolo di donne che lo amano “per il suo fascino conturbante“, tanto geniale e brillante da oscurare  perfino l’appeal da eroe romantico dell’indagatore dell’incubo.

L’apertura su una toilette pubblica occupata da un uomo confuso e coperto di sangue è un incipit che muove curiosità. Il lettore non sa chi sia quell’uomo, perché sia ridotto in quello stato, se realmente ci sia qualcuno che lo insegue oltre la porta coperta di graffiti lasciati da altri avventori annoiati, arrabbiati o depressi (“Life is as Hell”, ammonisce una delle scritte più chiare). Si scopre dopo dieci pagine che il titolo dell’albo è Graphic Horror Novel e il cliente del indagatore dell’incubo un famoso quanto arrogante fumettista: “il più grande autore di fumetti vivente” Darren Farmer Woolrich, che condivide iniziali del nome, fisionomia e look con una delle pietre miliari della moderna letteratura americana, David Foster Wallace.
Anzi, Darren è molto più che un semplice fumettista, è un autore di graphic novel, che è un po’ la  differenza che intercorre “fra L’Ulisse di Joyce e un libraccio di Stephen King“. Il caso da risolvere riguarda la misteriosa uccisione, con conseguente mutilazione, di persone vicine all’artista. Colleghi. Editori. Le modalità di omicidio replicano quelle del suo capolavoro “Giallo tetro”.

La storia, ideata e sceneggiata da Ratigher e disegnata da Paolo Bacilieri e dal duo Montanari e Grassani, procede sui due piani della realtà e del processo di scrittura, e in questo consiste la metaletteratura che fa da leitmotiv dell’albo. Il fumettista vive la sua storia e allo stesso tempo la disegna, in uno scambio continuo fra realtà e coscienza, vita e segno, piano del presente e del passato, seppur prossimo. L’indagatore dell’incubo diventa accessorio, ombra di se stesso, coprotagonista di un viaggio che è più ragionato che esoterico.

A Bacilieri sono affidate le pagine del presente di Darren. La sua prigionia angosciante nella toilette pubblica è resa con tavole ampie, prospettive mutevoli e tratti grotteschi, con linee e retini che sono la cifra stilistica dell’autore. I pensieri del protagonista si fondono ai rumori d’ambiente e alle allucinazioni visive, in un gioco artistico di espressioni e onomatopee che imprime alle tavole una considerevole forza evocativa.
Il passato prossimo procede invece in maniera più lineare, portato avanti dalle canoniche vignette due per tre di Montanari e Grassani, in cui le tavole seguono i dialoghi senza aggiungervi nulla, così che la reazione emotiva del lettore non arriva neppure durante le scene più efferate e i colpi di scena: l’odore del sangue anticipato dalla funesta copertina di Gigi Cavenago qui non traspare.

La verità ti renderà libero, ma solo dopo aver finito con te“, scriveva David Foster Wallace nel suo Infinite Jest, ma in un mondo come quello del fumetto (e del processo creativo di scrittura tout court), in cui l’unica certezza oltre l’inchiostro è lo spazio bianco che tutto ingloba e dispiega, la libertà potrebbe non essere quella che un artista posseduto dal Genio, e assuefatto alla fama e ai soldi, ha immaginato.

Graphic Horror Movie non convince del tutto e l’accoppiata Bacilieri e M&G è un ossimoro grafico certo intenzionale, ma non efficace perché il passaggio stilistico tende all’artificioso e demolisce la tensione narrativa. L’atmosfera onirica viene abbacinata dalla luce, da quel sipario troppo aperto  sui retroscena del fumetto che svela il mondo degli addetti ai lavori e si concentra su “annose questioni” come fumetto versus graphic novel, happy end contro dramma, trasposizioni cinematografiche e antipatie fra artisti.

Come credi si vendano i libri?“, è l’ultima domanda retorica che aleggia nella stanza dello scontro finale. Con una storia intensa, esclamerà un lettore emotivo (o con “una buona campagna stampa”, suggerisce cinicamente una delle tavole conclusive), ma nell’albo 369 solo superficialmente l’inchiostro diventa sangue. Il delirio non è vissuto, è analizzato dall’io autoriale che permea il racconto, così che i personaggi non diventano mai persone. Restano schiacciati dalla gabbia bidimensionale del foglio e scorrono in un ruolo vicario, come nelle candide piastrelle del bagno su cui Darren disegna la sua storia.

Abbiamo parlato di
Dylan Dog #369 – Graphic Horror Novel
Ratigher, Paolo Bacilieri, Montanari & Grassani
Sergio Bonelli Editore, maggio 2017
96 pagine, brossurato, bianco e nero – 3,50 €

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