La disperazione della scimmia: il labile confine tra arte e vita, amore e morte

La disperazione della scimmia: il labile confine tra arte e vita, amore e morte

Peyraud e Alfred, sullo sfondo di una violenta rivoluzione, raccontano la storia di un grande amore, per l'arte e per la vita, e del suo tragico intersecarsi con il tema della morte.

La disperazione della scimmia è l’altro nome con cui ci si riferisce all’albero dell’Araucaria, ma anche l’immagine che fa da sfondo all’opera sceneggiata da Jean-Philippe Peyraud e interpretata dai disegni di Alfred.
Disperati sono la storia d’amore e il destino dei protagonisti. Senza appigli è però anche il lettore che affronta il volume: per 160 pagine ci si trova infatti a rincorrere una molteplicità di personaggi che, tra figure principali e semplici comparse, sono tutti magistralmente caratterizzati.
Sia nelle parole dello sceneggiatore che nel tratto consapevole di un disegnatore come Alfred che, già nelle sue opere precedenti, Perché ho ucciso Pierre e Non morirò da preda, aveva avuto modo di declinare la propria arte alla rappresentazione di personalità molto sfaccettate, si raggiunge infatti una incredibile profondità di lettura.

L’intricato incrociarsi delle vicende del giovane Josef fidanzato con Joliette, ma innamorato dell’affascinante rivoluzionaria Vesperine, con quelle dell’amico Lazlo, amante e custode, sino alla morte, della cugina di Josef, Edith; la particolare attenzione data all’amore tra Josef e Vesperine che, come l’Araucaria, “non offre alcun appiglio” ed è destinato a rincorrersi sino alla fine per poi scontrarsi, un’ultima inesorabile volta, con la disperazione del sentimento non ricambiato; lo sfondo politico, con la rivoluzione dei pescatori contro il governo accusato di aver simbolicamente “prosciugato il mare” per favorire una logica perversa di sfruttamento della terra; tutte queste sono caratteristiche che spingono un lettore attento ad accostare, almeno in parte, il volume alla tradizione letteraria russa, e in particolare al drammatico triangolo che lega le vite e intesse la trama dei protagonisti del Dottor Zhivago, di Pasternak, probabile ipotesto dell’opera.

Nell’edizione italiana di Tunuè si percepisce la complessità strutturale di un graphic novel che era stato pensato per la pubblicazione in Francia in tre differenti volumi, comparsi tra il 2006 e il 2011. Non che all’interno del racconto si notino degli stacchi e dei salti temporali: la narrazione procede anzi con un ritmo costante, a tratti serrato, ricco di svolte e snodi perfettamente concatenati gli uni agli altri, piena di colpi di scena e incontri decisivi quanto apparentemente casuali.
La stessa continuità viene invece a mancare nella rappresentazione figurativa: mentre le vicende si complicano, infatti, la mano di Alfred sembra voler seguire una progressione, una linea di sviluppo che da un’apertura fatta di tavole ricche di dettagli, riempite di colori saturi, la cui cura è affidata a Delf, accompagnate da un tratto morbido e definito, porta poi a linee sempre più frastagliate, irrequiete, perfette rappresentazioni di pagine talvolta addirittura truculente.

Alla rappresentazione dell’amore si accosta, con altrettanta importanza, una riflessione sul valore e il significato dell’arte. Dal punto di vista grafico l’abilità di Alfred nell’integrare la variazione nell’ordine di una struttura tradizionale della pagina è certamente sintomo di una grande riflessione stilistica: pur mantenendo sempre lo scheletro di una suddivisione in quattro strisce, egli riesce infatti ad organizzare le vignette in modi sempre nuovi, con cornici che si susseguono tutte uguali l’una dopo l’altra, o che interrompono la lettura valicando il proprio limite e inglobando quelle accanto, là dove lo sguardo si deve fermare, assieme al racconto, sulla tragicità di una scena.

Ma l’armonia de La disperazione della scimmia è data soprattutto dall’autonomia e al contempo dalla perfetta sintonia di cui godono immagini e contenuto ed è così che ci si accorge che l’interrogarsi sull’arte non si trova solo nei disegni di Alfred, ma anche nelle parole che Peyraud mette in bocca ai singoli personaggi: il filo rosso dell’intero racconto non è allora una storia d’amore, ma il labile confine che separa il bene dal male, l’arte dalla vita. La passione di Josef e Vesperine trova infatti compimento non tanto nelle tavole in cui i loro corpi si uniscono nella “notte delle lucciole”, bensì nel tratto insicuro di un uomo che si riscopre artista, che ritrova il senso del vivere nella raffigurazione dell’amata; e non a caso sarà proprio il frutto di quell’amore ritrovato, per l’arte, quel fatidico ritratto conservato in un vecchio taccuino a far premere il grilletto alla fidanzata tradita.

Allo stesso modo, e forse ancora più tragicamente, l’arte e la vita, l’arte e la morte si incontrano anche nella storia di Edith, nel momento in cui le sue opere riveleranno il proprio valore soltanto agli occhi del terrorista sanguinario Abelabas: mentre Edith gli urla in faccia “Com’è possibile che un essere tanto crudele e sanguinario sia toccato dal mio lavoro?”, “il colonnello”, dopo aver messo al sicuro con cura maniacale le tele dell’artista, uccide chiunque gli si trovi a tiro, ed il lettore rimane con Edith, il volto tra le mani, ad interrogarsi sul significato di tutto questo.

La risposta rimane aperta e, mentre sul finire del volume l’ordine sembra lentamente ristabilirsi nel piccolo paesino, l’arte e l’amore, la vita e la morte continuano ad intersecare i propri tratti sino all’ultimo, spezzando il racconto con un colpo di pistola e l’immagine di un fazzoletto il cui rosso potrebbe rappresentare tanto la passione, quanto il sangue versato da tutti coloro che, nel bene e nel male, sono stati protagonisti o semplici comparse in questa storia.

Abbiamo parlato di:
La disperazione della scimmia
Jean-Philippe Peyraud, Alfred
Traduzione di Stefano Andrea Cresti
Tunué, 2012
160 pagine, brossurato, colori – 18,50
ISBN 978-88-97165-36-1

 

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