Decifrare Promethea, terza parte: materia e immaginazione

Decifrare Promethea, terza parte: materia e immaginazione

Continuiamo il nostro viaggio “nella mente di Alan Moore” e nei meandri del suo Promethea, per cercare di saperne di più attraverso interviste e fumetti, del suo concetto di magia e di come questo viene applicato nelle sue opere.

MATERIA E IMMAGINAZIONE

Nella seconda parte dell’approfondimento abbiamo seguito Sophie Bangs e Barbara Shelley, protagoniste e incarnazioni di Promethea, durante il loro viaggio sull’Albero delle Sephirot, mentre Alan Moore ci spiegava che il linguaggio è la magia.

In Promethea #15, Ermete Trismegisto conduce Sophie e Barbara a passeggio per Hod e, in una pagina le cui vignette sono i quadrati di una scacchiera, spiega loro che: «Per percepire ogni forma… la forma o la struttura della vita… dovete rivestirla con il linguaggio. Il linguaggio è l’essenza della forma»1.

Quindi, come ci dice Moore, tutti gli dei non sono altro che idee diventate in qualche modo quasi vive e consapevoli: l’idea di un dio è il dio stesso. Il linguaggio poi plasma la nostra coscienza, come percepiamo il mondo e noi stessi. Il linguaggio diventa allora la magia: si sviluppa a partire da una necessità di rappresentazione a cui adempie nel momento in cui fa vivere l’essenza della forma che rappresenta, ovvero nel momento in cui il linguaggio rappresenta –rende viva– quell’essenza, riempiendone la forma come una mano riempie un guanto.

E ancora: le storie per immagini sono il primo linguaggio scritto. La prima magia. Il primo momento in cui la forma di una rappresentazione rende reale tale rappresentazione, la rende percepibile. Ecco che l’idea di un dio che è il dio stesso appare e cammina nel mondo.

Durante la passeggiata, Promethea chiede a Ermete: «Per cui… tutto è fatto di linguaggio? Noi siamo fatte di linguaggio? E anche tu?». «Oh, soprattutto io!» risponde lui. E continua: «Come farebbero gli esseri umani a percepire gli dèi… essenze astratte… senza rivestirli di visioni, immagini… o anche storie per immagini(…). E poi, in quale modo migliore si può manifestare un dio del linguaggio se non con la forma pittografica originale del linguaggio?»2. Promethea allora gli chiede delucidazioni su quel che sta dicendo e l’Ermete Trismegisto disegnato da J. H. Williams III a quel punto buca la quarta parete, si gira verso il lettore, ci guarda negli occhi, e risponde: «Cosa sto dicendo? Sto dicendo che forse in alcune finzioni c’è un vero dio che si nasconde sotto la superficie della pagina. Sto dicendo che forse alcune finzioni possono essere vive…». E poi, in primissimo piano, continuando a fissarci: «Ecco cosa sto dicendo3

Ovviamente leggere queste tavole direttamente dal fumetto ci espone a un’esperienza totalmente diversa da quella che si è tentato malamente di riprodurre qui. Potremmo dire che questa è una descrizione della rappresentazione della forma di quell’essenza. Una descrizione della magia. Ma se prestiamo fede a quel che Moore sembra volerci dire, allora anche nascosto in questo linguaggio con cui stiamo comunicando ora, sotto questa pagina, sotto questo schermo, forse vive il dio di cui abbiamo descritto l’idea.

Nella lunga intervista del 2002 con Eddie Campbell, Moore tira le fila del suo concetto di magia dicendo che la magia è un patto fra un individuo e il suo personale Universo. “La magia non esiste, tranne che nella finzione”, dice. E poi: “Non esistono dèi, salvo che nella mente umana4.

L’idea di un dio è il dio stesso, appunto. Ma, proprio per questo c’è di più. Per Moore noi “non facciamo mai esperienza dell’universo. Tutto ciò di cui facciamo esperienza diretta è la nostra coscienza dell’universo. La coscienza, questo stupendo e misterioso dono, è la sola cosa che abbiamo o siamo5.

Questo spazio che ognuno di noi ha e a suo modo conosce, ma che non viene riconosciuto dalla scienza perché non c’è modo di analizzarlo né di esperirlo in maniera oggettiva, è esattamente il luogo e la possibilità dove gli dèi esistono. Il dominio della coscienza è contattabile scientificamente solo tramite la fisica quantistica dove tutto funziona secondo i principi di Alice nel paese delle meraviglie, dice Moore, e dove “non possiamo sfuggire all’influenza della mente e della percezione sulle particelle subatomiche che costituiscono tutta la nostra esistenza.6

Allora, cominciando a ragionare sui modi di dire con i quali ci riferiamo abitualmente alla nostra consapevolezza cosciente, per lo più metafore spaziali (“Ma che cos’hai NELLA testa?”, “Sei FUORI di testa?”, “Mi è USCITO di mente”, “Mi è PASSATO di mente”, ecc.), lo scrittore è arrivato a teorizzare un ipotetico spazio mentale e metafisico chiamato Idea-Spazio, luogo privato di ognuno di noi ma anche condiviso.

Il concetto viene espresso chiaramente in Promethea #5, No man’sland (Terra di nessuno), in un dialogo fra Sophie e Margaret Taylor Case (la Promethea d’inizio secolo XX) mentre camminano nell’Immateria.

SOPHIE: «Ascolta, per prima cosa, io sono seduta in un ospedale e immagino questa conversazione, giusto?»

MARGARET: «Be’, sì. Il tuo corpo è seduto in un luogo fisico e questo succede nell’immaginazione. Ma non nella tua immaginazione. Nell’immaginazione e basta.»

SOPHIE: «“E basta?” Da come lo dici, sembra che ce ne sia una soltanto.»

MARGARET: «Proprio così. C’è un mondo materiale e c’è un mondo immateriale. Esistono entrambi, ma in modi diversi. Per esempio le sedie esistono. Ma anche l’idea delle sedie.»

SOPHIE: «Be’… sì, ma… insomma, l’immaginazione di tutti è separata, no? Voglio dire, ciascuno ha il suo spazio mentale privato…»

MARGARET: «Certamente. Come la casa di ciascuno è il suo spazio fisico privato. Ma il territorio al di fuori appartiene a tutti.»

SOPHIE: «Ma se la mente funzionasse come un luogo… voglio dire, ogni volta che qualcuno segue una scia di pensieri…»

MARGARET: «…percorre un sentiero nell’Immateria. Gli umani sono anfibi, Sophie. Vuol dire che vivono in due mondi allo stesso tempo: materia e mente…»7

Ecco dove vivono gli dèi e dove la magia ha potere. Dove mappa e territorio si fondono. In uno spazio metafisico, un’Idea-Spazio che esiste nella nostra mente e che può unirla con quella degli altri. Una sorta di mondo degli archetipi junghiano nel quale possiamo agire.

Credo, come ho affermato da qualche parte nel groviglio qui sopra, che le divinità siano complessi agglomerati di idee divine che non hanno forma o manifestazione fisica, eccetto l’Universo stesso, che siano l’essenza che precede la nostra forma8, dice ancora Moore a Campbell.

A chiarire e allo stesso tempo complicare questo concetto, che sembra suggerire una sorta di ingerenza dell’immaginazione sulla realtà, c’è poi un altro dialogo. In Promethea #13, la protagonista, in partenza verso il suo “viaggio cabalistico in stile road-movie” attraverso le Sephirot dell’Albero della Vita, incontra la rappresentazione di Universo, così come ritratta da Lady Frieda Harris nei Tarocchi di Thot di Aleister Crowley (è la carta XXI, quella che nei Tarocchi di Marsiglia è Il Mondo).

  Universo è l’unione di una donna e di un serpente, avvinghiati in una danza. Attorno a loro, i quattro animali simbolo delle quattro virtù fondamentali e dei quattro elementi essenziali (il Leone, l’Angelo, l’Aquila e il Toro) e di moltissime altre interconnessioni di significato, dai semi delle carte da gioco agli evangelisti. La donna è l’immaginazione mentre il serpente è la materia. I due danzano insieme ma il serpente ha la testa sotto i piedi della donna.

PROMETHEA: «La testa del serpente è sotto il piede della donna perché lei spunta dalla mente di lui? La sua testa è lì perché la vita materiale ha inventato l’immaginazione?»

SERPENTE/MATERIA: «No, è lì perché sssono il sssuo ssservo… e perché è dove sssto meglio.»9

Nella sua performance Snakes and Ladders del 1999, (Serpenti e Scale, il cui testo, illustrato da Eddie Campbell, è stato pubblicato in Italia all’interno di Un disturbo del linguaggio, Edizioni BD), contemporanea a Promethea, Moore parla della stessa idea: «Questo, dunque, è l’Universo, la Grande Storia d’Amore: carne e immaginazione si avvinghiano e scivolano sotto una pennellata di stelle. La consapevolezza sale a spirale, via dal peso e dall’ignoranza della Circostanza cosciente, dentro il bagliore lunare, lassù in alto. Dentro al Sogno»10.

Il Tempo del Sogno, secondo le credenze degli aborigeni australiani, è sia il tempo che precede la creazione del mondo, sia una particolare comunicazione magica. Si dice, ad esempio, che entrando nel Tempo del Sogno, gli aborigeni, chiedendo alla terra un luogo dove pescare, vengano soccorsi direttamente dalle nuvole che alterando la loro conformazione glielo vanno a indicare.

Il punto qui non sta tanto nel credere o meno a questo fenomeno, quanto nell’idea di un linguaggio che influenza la realtà. Realtà personale, universale, o dell’universo personale di ognuno. Realtà metafisica.  Magia.

C’è da notare poi che le espressioni “creazione del mondo” o “fine del mondo”, possono riferirsi anche a un concetto differente da quello più immediato di nascita o distruzione del globo terrestre. Ce ne parla proprio Moore nel già citato Promethea #5, sempre per bocca di Margaret Taylor Case.

MARGARET: «Promethea rende gli uomini più coscienti di questo vasto mondo materiale. Forse li tenta a esplorarlo. E se troppi la seguissero dove lei li conduce? Sarebbe come il grande passo devoniano dal mare alla terra. L’umanità striscerebbe sulla spiaggia, spostandosi da un elemento all’altro. Dalla materia… alla mente. Abbiamo molti nomi per questo evento. Lo chiamiamo “estasi”. Lo chiamiamo “l’apertura della trentaduesima via”. Lo chiamiamo “il risveglio”, “la rivelazione”, “l’apocalisse”. Ma “fine del mondo” va bene.»11

La magia esiste solo nella nostra mente, è un concetto metafisico, ma è un concetto che, influenzando la nostra coscienza, può influenzare la realtà materiale. Il serpente/materia ama stare sotto il piede della donna/immaginazione ed è il suo servo.

La fine del mondo coincide così con la ri-creazione del mondo, con il Tempo del Sogno, nel momento in cui è la nostra coscienza a “finire”, a “rinnovarsi”, a cambiare. È la nostra esperienza del reale a mutare e con essa il vecchio mondo finisce.

J.H. Williams III, il disegnatore di Promethea rimasto fin’ora in disparte in questo approfondimento (ma basta aprire un albo qualunque della serie per rendersi conto di quale sia la sua maestria e il suo fondamentale apporto all’opera), dice a questo proposito:

Ho sempre avuto solo un vago interesse per la magia, ma da quando ho iniziato a lavorare a Promethea ho scoperto parecchie nuove cose. Ho capito che se non avessi voluto partire per quella cavalcata e accettare la magia non c’era modo in cui avrei potuto lavorare al progetto Promethea con una reale partecipazione. Arrivai alla consapevolezza che avere avuto qualche interesse e attrazione per la magia portava in qualche modo a un avvenimento magico12.

E, per fugare ogni dubbio sul fatto che la sua visione della magia proponga un’idea dogmatica del mondo, Moore conclude:

Penso che sia meglio che ogni entità vivente a proprio modo trovi un accordo con il suo unico e personale universo di informazioni. Ciò in cui credo io potrebbe non funzionare, neanche un minimo, per te o per chiunque altro13.


  1. da A. Moore, J.H. Williams III, PrometheaDeluxe2, RW Lion, 2017 

  2. da A. Moore, J.H. Williams III, PrometheaDeluxe2, RW Lion, 2017 

  3. da A. Moore, J.H. Williams III, PrometheaDeluxe2, RW Lion, 2017 

  4. da A. Moore, E. Campbell, Un disturbo del linguaggio, Edizioni BD, 2009 

  5. da A. Moore, E. Campbell, Un disturbo del linguaggio, Edizioni BD, 2009 

  6. da A. Moore, E. Campbell, Un disturbo del linguaggio, Edizioni BD, 2009 

  7. da A. Moore, J.H. Williams III, PrometheaDeluxe1, RW Lion, 2016 

  8. da A. Moore, E. Campbell, Un disturbo del linguaggio, Edizioni BD, 2009 

  9. da A. Moore, J.H. Williams III, PrometheaDeluxe2, RW Lion, 2017 

  10. da A. Moore, E. Campbell, Un disturbo del linguaggio, Edizioni BD, 2009 

  11. da A. Moore, J.H. Williams III, PrometheaDeluxe1, RW Lion, 2016 

  12. da A. Moore, E. Campbell, Un disturbo del linguaggio, Edizioni BD, 2009 

  13. da A. Moore, E. Campbell, Un disturbo del linguaggio, Edizioni BD, 2009 

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