Decifrare Promethea, seconda parte: il corpo smembrato della magia

Decifrare Promethea, seconda parte: il corpo smembrato della magia

Ci sono molte interviste in cui Alan Moore parla della magia, del suo incontro con essa e del suo modo di intenderla. Attraverso le sue parole, in questa seconda parte dell’approfondimento dedicato a Promethea, proveremo a vederci più chiaro.

IL CORPO SMEMBRATO DELLA MAGIA

Per Alan Moore linguaggio e magia sono direttamente collegati. Anzi, a quanto dice lui stesso, il linguaggio è magia. Appoggiando la definizione di Aleister Crowley, per il quale la magia altro non è che “un disturbo del linguaggio”, Moore affermare che tale esperienza è appunto un fenomeno linguistico.

Come è noto lo scrittore si è autoproclamato mago allo scoccare del suo quarantesimo compleanno, il 18 Novembre del 1993 ma, per sua stessa affermazione, quando lo fece conosceva dell’argomento soltanto cose superficiali. La decisione definitiva di approfondire la magia venne a seguito della scrittura di un particolare capitolo di From Hell opera in cui Moore insieme a Eddie Campbell indaga la Londra vittoriana del 1888 e gli omicidi di Jack lo Squartatore.

Parlandone con il disegnatore, Moore afferma:

Credo che l’ultima goccia cadde durante il capitolo… era il quarto, vero?… di From Hell, dove Gull e Netley si stanno godendo una bella porzione di pasticcio di carne e rognone all’Earl’s Court e Gull pronuncia la sua battuta, quella sull’unico luogo in cui gli dèi esistono senza alcun dubbio, cioè all’interno della sfera della mente umana, dove essi sono reali in tutta la loro grandezza e mostruosità, o roba del genere. Dopo aver scritto questa cosa e trovandomi incapace di scovare un’angolazione da cui non fosse vera, ero obbligato o a ignorarne le implicazioni, oppure a cambiare gran parte del mio modo di pensare per adattarmi a questa nuova informazione.1

Il dialogo di From Hell che Moore descrive non come una sua idea ma quasi come un’apparizione all’interno della scrittura, un’intuizione immediata, contiene i semi di gran parte del lavoro che farà in futuro. Si parla dell’unico luogo in cui gli dèi esistono senza alcun dubbio, ovvero nella sfera la mente umana. Più avanti nella stessa intervista dirà che gli dèi possono essere definiti come “grappoli di idee autoreferenziali che, una volta raggiunto un qualche limite di complessità, diventano coscienti o apparentemente coscienti2. E ancora:

È mia convinzione che tutti gli dèi non siano altro che racconti, o almeno idee che stanno alla base di racconti o idee che sono diventate in qualche modo quasi vive e consapevoli, o almeno così sembrerebbe a tutti gli effetti pratici. L’idea di un dio, a partire dalla mia interpretazione, è il dio stesso (…)3

È facile intuire il passo che porta da questi ragionamenti al concetto che sta alla base di Promethea, dove l’eroina è un’idea incarnata che si manifesta nel mondo della materia attraverso una formula magica speciale: il linguaggio. Scrivendo poemi, poesie o racconti su Promethea, invocandola attraverso filastrocche e odi, o disegnando Promethea, ecco che lei dall’Immateria (luogo in cui letteralmente vive tutto il reame dell’immaginazione) discende nel mondo e si incarna nella donna (o nell’uomo) che l’ha evocata in sé, attraverso la sua arte appassionata e bruciante.

Nel quindicesimo episodio della serie intitolato Mercurio rising (Passaggio a Mercurio), Promethea sta compiendo il suo viaggio nell’Immateria, risalendo l’Albero delle Sephirot della Cabala. L’eroina si trova in Hod, Sephirah che corrisponde al pianeta Mercurio e per estensione al mondo dell’intelletto e del linguaggio. Qui Promethea (ovvero Sophie Bangs) e Barbara Shelley (la Promethea precedente) incontrano le varie incarnazioni di questo dio-idea, rappresentate da Ermete Trismegisto (il leggendario padre dell’esoterismo), Wotan (l’Odino germanico), Thot (il dio egizio della scrittura) e Mercurio (il dio greco).

Poco prima di incontrarli, passeggiando all’interno della stazione della metropolitana di Hod affrescata con segni e geroglifici (Moore e J. H. Williams III, realizzatore grafico dell’opera, rappresenteranno spesso le “fermate” dell’Albero della Vita in questo modo) Barbara e Promethea, abitate dall’essenza di quella Sephirah, avranno un’intuizione:

PROMETHEA: «Tutte queste decorazioni, sai, sono geroglifici e altra roba egizia. Credo che le storie raccontate per immagini siano il primo linguaggio scritto.»

BARBARA: «Eh. E forse è per questo che nell’ultimo secolo Promethea è comparsa soprattutto nei fumetti. Una volta gli dei erano negli arazzi ma ora sono ridotti a strisce.»

PROMETHEA: «Ah, ah, ah! Barbara, un gioco di significati davvero arguto. Sai, ho pensato una cosa: il linguaggio plasma la nostra coscienza, il modo in cui mettiamo insieme le idee. Anche il nostro concetto di tempo. Nel passato, prima che avessimo padronanza di un linguaggio, non potevamo registrare gli eventi…»4

L’idea di Moore è chiara, ed è qualcosa che in molti prenderebbero come una provocazione: il fumetto è l’arte che più di tutte discende direttamente dalla prima rappresentazione umana del linguaggio. Forse addirittura è la prima rappresentazione del linguaggio. Quale modo migliore dunque, per esprimere idee sul linguaggio e per estensione sulla magia, se non tramite l’evoluzione moderna dello stesso?

Dice, in un’intervista del 2017:

Nella mia concezione, la Magia è inestricabilmente legata allo sviluppo della moderna consapevolezza, circa sette milioni di anni fa durante la rivoluzione cognitiva. Tradizionalmente si ritiene che questo balzo in avanti nella coscienza umana sia dipeso dall’uso del linguaggio. Poiché il linguaggio stesso è basato sul principio di rappresentazione (questo segno o questo suono rappresentano quell’oggetto o quell’animale), abbiamo che la base essenziale dell’arte precede il linguaggio, che a sua volta precede la consapevolezza. L’avvento relativamente improvviso di tale consapevolezza, con tutti i nuovi fenomeni a essa associati, avrebbe lasciato i primi umani, a mio parere,nella condizione di non poter vedere la totalità di questa nuova esperienza interiore se non come magia. Questo ci premetterebbe di identificare la magia come un fenomeno inestricabilmente legato al linguaggio, all’arte e alla consapevolezza, come se questi fossero in realtà diversi aspetti della stessa cosa, e di fornire una nuova definizione della magia: qualsiasi interazione intenzionale con i fenomeni e le potenzialità della consapevolezza.”5

Quindi la consapevolezza deriva dal linguaggio nel momento in cui quest’ultimo risponde ad un’esigenza di rappresentazione. Questa concatenazione di cause ed effetti sottende alla nascita della magia, così come Moore la intende.

Credo che la Magia sia l’Arte e che l’Arte, che si tratti di scrittura, musica, scultura o di qualunque altra forma sia, letteralmente, magica. L’Arte è, come la Magia, la scienza della manipolazione di simboli, parole o immagini, per ottenere dei cambiamenti nella coscienza6, afferma nel documentario The mindscape of Alan Moore di Dez Vylenz (tradotto in italiano da smoky man nel libro Nella mente di Alan Moore, Oblò APS, 2018) mentre nella stessa intervista del 2017 riportata poco sopra, prosegue specificando che fanno parte dell’originaria sfera della magia “la scienza, la medicina, l’astronomia, le arti visive, letterarie e teatrali, la musica, la matematica (…)7. E conclude:

La mia tesi è che nel corso dei secoli, a iniziare dai primi insediamenti urbani, la magia ha visto le proprie parti e funzioni separate e subappaltate ad artisti, scrittori, musicisti, sacerdoti e politici. Col Rinascimento e l’ascesa della scienza e della medicina dalle più antiche tradizioni di alchimia e cure popolari, la magia perse due delle sue restanti applicazioni, e con la psicoanalisi di Freud nel primo XX  secolo anche il suo accesso al mondo interiore è stato compromesso. In breve io vedo la quasi totalità della cultura che ci circonda come il corpo smembrato della magia. Questo mi sembra in accordo con la formula alchemica solve et coagula, dove solve rappresenta il riduzionismo (dividere una cosa nelle sue componenti per vedere come funziona, ovvero il processo di analisi) mentre coagula rappresenta l’olismo, ovvero ricomporre le parti in un modo migliore (o almeno meglio compreso), cioè il processo di sintesi. Semplicemente, ritengo che il compito e la responsabilità dei moderni maghi/artisti sia riassemblare il mondo frantumato, i punti di vista distanti e le psicologie spezzate che oggi ci circondano.8

Questo doppio processo di decostruzione e sintesi, a ben guardare, è perfettamente assimilabile all’opera di Moore. Lavori come From Hell, Promethea, la Lega degli Straordinari Gentlemen o Providence, sono opere decisamente olistiche, all’insegna del coagula. Mentre V for Vendetta (dove la stessa formula alchemica viene usata per spiegare l’anarchia), insieme a Watchmen, Miracleman e Swamp Thing, potrebbero rappresentare il solve.

E parlando di V for Vendetta, per concludere questa seconda parte chiudendo un cerchio,  approdiamo ad un dialogo di Promethea 20. Sophie e Barbara, ancora in viaggio sull’Albero delle Sephirot, sono ora giunte a Daath, la Sephirah invisibile. Qui incontrano nuovamente Alister Crowley, questa volta in forma femminile e in groppa ad un cammello, mentre sta anch’esso andando verso la cima dell’albero, a Kether, la Corona, ma percorrendo una strada differente dalla loro.

CROWLEY: «Sapete, sto percorrendo la tredicesima strada, Ghimel, La Papessa, e vado verso la Corona. Qui i maghi diventano la magia. Il penetratore diventa il penetrato. Il maschio diventa femmina.»

SOPHIE: «“Ghimel”. Ma è la via che da Tipheret porta a Kether. Non significa cammello in ebraico?»

BARBARA: «Aspetta un po’… allora per viaggiare su questo sentiero della Papessa, devi fare il travestito?»

CROWLEY: «Oh, santo cielo, no. Io sono una donna come te, mia cara. Guarda… Vedi? Questa piccola “v” con la fossetta? È proprio come la tua. Ma lo sapete che alcuni uomini, quegli zotici orribili e volgari, la chiamano “lo zoccolo del cammello”?»

BARBARA: «Ahh…»

CROWLEY: «Comunque non posso fermarmi a spettegolare con voi tutta notte. Ho un appuntamento con la corona del creato e… Oh, ma gurda! Che cosa interessante. Proprio lì, nella sabbia dietro di me. Vedete? Cinque impronte di cammello… V.V.V.V.V.»9

Moore, con una magia burlesca delle sue, ci svela così l’origine di quel Vi Veri Viniversum Vivus Vici alla base di V for Vendetta. Con la forza della verità, da vivo, ho conquistato l’universo: nel fumetto la frase era attribuita ad “un signore tedesco di nome John Faust” ma è in realtà di Crowley. Pian piano, il corpo smembrato si ricongiunge.


  1. da A. Moore, E. Campbell, Un disturbo del linguaggio, Edizioni BD, 2009 

  2. da A. Moore, E. Campbell, Un disturbo del linguaggio, Edizioni BD, 2009 

  3. da A. Moore, E. Campbell, Un disturbo del linguaggio, Edizioni BD, 2009 

  4. da A. Moore, J.H. Williams III, Promethea Deluxe 2, RW Lion, 2017 

  5. da  Alan Moore: 5 interviste, DIART DIGITAL ART, 2019, a cura di smoky man 

  6. da Nella mente di Alan Moore, Oblò APS, 2018, a cura di smoky man 

  7. da  Alan Moore: 5 interviste, DIART DIGITAL ART, 2019, a cura di smoky man 

  8. da  Alan Moore: 5 interviste, DIART DIGITAL ART, 2019, a cura di smoky man 

  9. da A. Moore, J.H. Williams III, Promethea Deluxe 2, RW Lion, 2017 

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