
Anche le storie tratte da Red, White, and Blue non si limitano ad una raccolta meramente autocelebrativa. L’influsso del contesto in cui è uscito il volume, esattamente un anno dopo il tragico attentato terroristico alle Torri Gemelle, rende la carrellata storica su questo eroe patriottico molto introspettiva e riflessiva, con deviazioni perfino satiriche e accenni a periodi controversi della storia americana. Agli autori è stata data la massima libertà nel reinterpretare il personaggio, con l’unico vincolo di rispettare le suggestioni emotive date dal rosso, dal bianco e dal blu, che assieme al nero sono gli unici colori usati nella realizzazione delle tavole. Il personaggio è presente in tutte le sue incarnazioni, da quella bellico-propagandistica anni Quaranta, al Capitano del periodo Maccartista, fino ad arrivare allo Steve Rogers marveliano, sia nelle sue componenti prettamente supereroistiche che in quelle contraddittorie e legate all’attualità americana. Se Alex Ross e Paul Dini si limitano a raccontarci l’origine del Capitano, in due tavole in cui i colori si alternano come a delineare la sagoma del costume, Jones e Richard Piers-Rayner rappresentano il mondo dell’eroe come un paradiso cinematografico in bianco e nero (evocato dai colori “filigranati” dell’Udon Studios) in cui si rifugia un solitario soldato. Macan e Timm si concentrano sugli elementi più supereroistici del personaggio, tra ambientazioni messicane e licantropi, mettendo in scena il classico scontro tra nemici diversi, ma accomunati dall’onore. Pope e Bertozzi allestiscono una claustrofobica ambientazione scolastica, una riflessione sull’ambiguo potere propagandistico dei comics, col Teschio Rosso nel ruolo di un mefistofelico preside capace di manipolare la violenza degli allievi tramutandoli in pedine del nazismo. Peter Kuper è il più dispettoso della raccolta e cita il Windsor McCay de I sogni del divoratore di crostini al formaggio in due tavole mute, imperniate su una dissacrante “attrazione fatale” tra il simbolo americano e la sua controparte nazista, in cui Cap scopre sotto la sua maschera il volto di Hitler e finisce avvinghiato in un bacio col Teschio Rosso. Collins e Mavlian, impreziositi dai colori di José Villarubia, rigettano il periodo Maccartista come “idea nazista che ha avvelenato l’America”. Sempre i colori di Villarubia dipingono una storia di Waid, disegnata da Huddleston in coppia con la guest star d’eccezione, Bill Sienkiewicz, che rende omaggio all’amicizia Cap-Bucky e all’ingresso del Capitano nel mondo presente e nella continuity marveliana. Altro ospite di tutto rispetto è David Lloyd, che disegna una storia di Storre capace di delineare in pochi tratti l’evoluzione del Cap moderno, ovvero un simbolo collettivo, spesso venato di contenuti liberali e critici verso il governo, capace di unire la collettività americana facendo superare ogni differenza. C’é tempo anche per una divagazione spensieratamente demenziale, una parodia di Evan Dorkin con protagonisti il Teschio Rosso e il Barone Zemo “super-deformed” in una delirante invasione della Francia, che ricorda lo stile di testate come “What The!”.
Andando invece alla sezione classica del volume, la storia di Lee e Kirby sul Teschio Rosso incarna perfettamente le premesse a una visione più matura dei supereroi. Sebbene il Teschio sia votato al male come scelta consapevole, di cui è unico responsabile (come sottolineato nei dialoghi), e sebbene l’arte di Kirby curi in modo minuzioso le movenze e l’espressività drammaturgica e satanica del supercriminale e del suo mentore (nientemeno che Adolf Hitler), ne vengono sottolineate l’origine umile e la vita difficile da reietto nel contesto di un’Europa bellica in macerie, povera e verosimile, che aggiungono complessità e sfumatura al quadro psicologico e al confronto tra i due storici nemici.
Con la sua sensualità, suggerita da sguardi, inquadrature delle labbra, cura nell’abbigliamento e composizione degli scenari in cui era immersa, Steranko riuscì ad aggirare le limitazioni del Comic’s Code Authority, compiacendo il lettore con suggestioni solitamente aliene da quel genere. Il richiamo alla psichedelia è rinforzato da alcuni sporadici utilizzi di retini e col montaggio sempre più fantasioso delle tavole. Nella sequenza di apertura di “Stanotte Muoio” la telecamera vaga senza posa da un lato all’altro del luna park, simulando lo sguardo del passante e la frastornante presenza di elementi colorati che cercano di attirarne l’attenzione. La storica sequenza alla Salvador Dalì,celebre e citatissima nei manuali del fumetto americano, trasforma le angosce di Rick Jones nel confronto col defunto Bucky in un incubo surrealista, che termina nell’immagine di un fungo atomico, riferimento all’incubo nucleare tipico delle nevrosi degli anni da Guerra Fredda. Nella versione originale della tavola, non riprodotta in questo volume, è frequente uno dei marchi di fabbrica di Steranko, l’effetto grafico astratto stile optical art, di cui fece larghissimo uso per il tipico look psichedelico delle storie di Nick Fury. Altre sequenze memorabili sono dedicate al flashback sull’infanzia di Viper, un’unica vignetta a tutta pagina con una composizione visionaria, venata di vivido espressionismo, e la tavola successiva, una gabbia a nove vignette di inquadrature febbrili, in cui è rappresentata perfettamente l’orrore della donna allo specchio, davanti all’immagine della propria bellezza deturpata. L’autore riesce ad adattare svariati approcci alle diverse esigenze della storia, rendendo indimenticabili trame tutto sommato di routine (l’ingresso di un nuovo protetto per Cap, il classico brutto quarto d’ora con Hulk, gli scontri coi terroristi dell’Hydra) e riprende da Kirby l’uso delle splash page a doppia pagina che descrivono gli assalti di Cap ai suoi nemici, le geometrie tecnologiche e le deformazioni prospettiche che contribuiscono a mantenere l’atmosfera kirbyana indissolubilmente legata al look e alla riconoscibilità dell’eroe presso i lettori. Questo, tuttavia, non dovette sembrare abbastanza allo staff marveliano, visto che in alcuni particolari delle tavole si notano ritocchi di altri autori (soprattutto per quanto riguarda i volti). Sul versante della storia, è meritevole di nota l’approfondimento psicologico di Rick Jones, abbastanza lontano dalla figura del sidekick sorridente e infantile tipica dei decenni precedenti e descritto in modo più maturo, tormentato e convincente nei suoi tentativi di avvicinamento a Steve Rogers. Degna di nota è anche l’anticipazione di alcuni temi, tra cui l’abbandono dell’identità segreta e la rinascita di Cap attraverso una finta morte simbolica e catartica, altro spunto di cui faranno tesoro i successivi autori negli anni Ottanta.
Riferimenti:
Il piano dell’opera: www.corriere.it/iniziative/supereroi/
