I think I saw you in an ice-cream parlor,
Drinking milk shakes cold and long,
Smiling and waving and looking so fine…
Don’t think that you knew you were in this song.
(David Bowie, Five Years, 1972)
Raggiungere il successo e rimanerne prigionieri è certo fra i rischi più ricorrenti e ambigui delle attività umane e lo vediamo realizzarsi pressoché in ogni campo: pensate a quante saghe narrative hanno patito il declino delle idee e la paura di fallire il target di vendite; quanti pensatori non sono riusciti a distaccarsi da quell’idea che ha fatto loro conquistare reputazione e stima, che magari ha aperto porte e ispirato altri, per poi generare nel suo creatore una coazione a ripetere. Rispetto a questa paura del cambiamento, nell’olimpo pop la figura di David Bowie è richiamata spesso come icona protettrice tanto di chi ha paura di essere se stesso quanto di chi vuole sempre muoversi verso nuovi orizzonti.
Un mondo caotico e ostile
Starman – David Bowie’s Ziggy Stardust Years di Reinhard Kleist mette in scena gli anni durante i quali l’artista britannico costruì quell’icona del cambiamento, sfuggendo al destino di one-hitter che sembrava averlo imprigionato dopo il successo del singolo Space Oddity del 1969. A popolare le tavole del volume sono innanzitutto gli eventi cardine della carriera del protagonista: le riproduzioni di fotografie famose, dal palcoscenico o da riviste, e gli incontri con le celebrità del periodo più ammirate da un Bowie alla ricerca ossessiva di una propria strada nell’affollato mondo musicale fra la fine degli anni ’60 e gli inizi dei ‘70. Un mondo, questo, a lui largamente ignoto, con regole mai chiare e popolato di personaggi affamati di successo e denaro (a questo riguardo la figura di Toni Tony DeFries è la presenza più ingombrante di tutta la storia) e spesso al contempo ingenui.
Nel suo viaggio senza punti di riferimento stabili o persone affidabili nel mondo della produzione musicale, i dialoghi con la moglie Angela Barnett, la madre Margaret e il fratellastro Terry sono proposti come le occasioni nei quali Bowie si trova a confrontarsi con sé stesso, con l’idea di sé, con i suoi obiettivi, le sue radici. E qui affiorano le tensioni familiari, che il successo acuisce nella misura in cui richiede sempre più tempo, cura e concentrazione a quello che era David Jones. In particolare, viene messa in evidenza la lucidità di giudizio di Angela, che tempera la naïveté dell’approccio entusiasta e vorace di successo del marito, che lo porta a cadere senza alcun sospetto nella trappola contrattuale costruitagli attorno dall’ineffabile DeFries. Narrativamente, queste scene suddividono il flusso altrimenti caotico degli eventi e agiscono da introduzione e bilancio delle varie fasi del percorso dell’artista di Brixton.
Un mondo di colori ed emozioni
La caratterizzazione dei momenti pubblici (che siano un concerto o un’intervista) e privati (una visita alla casa materna o una serata in un locale) emerge – secondo un approccio comunque non rigido – dall’impostazione visiva e dalle scelte cromatiche. Queste ultime possiamo direttamente collegarle al loro ruolo nell’affermazione del movimento “glam”, del quale il personaggio di Ziggy Stardust è simbolo importante. Il glam fu uno stile legato a un’estetica fiammeggiante: la sua discontinuità rispetto a quelle contemporanee – sempre considerando il mondo della musica pop/rock e nell’ambito dell’affermazione/ricerca dell’identità personale – stava nel fatto che offriva un modello estetico per esprimere pubblicamente personalità che soffrivano le costrizioni all’interno di stereotipi del costume (fra i quali quelli legati al genere). Ecco allora i colori violenti, contrastanti e iridescenti e gli abiti di scena letteralmente asessuati – poiché neutri rispetto al genere – che popolano le tavole. Su di essi, tuttavia, è stesa una sorta di patina: i toni sono attenuati, i contrasti smorzati, ma allo stesso tempo i colori sono più caldi. Ne risulta un’atmosfera al tempo stesso inquietante e di ricordo lontano: il ricordo di un mito, di qualcosa che forse è stato e forse è solo un racconto, qualcosa che si muove in un mondo fatto di una sostanza diversa da quella della quotidianità, nel quale ogni emozione è fuori scala, strumentale alla manipolazione (l’altra faccia del personaggio di Ziggy).
La bicromia domina invece le scene lontane dai riflettori e suggerisce un mondo ordinario – che sia quello della famiglia o quello professionale – nel quale possiamo ritrovare le meccaniche e le dinamiche relazionali che noi stessi viviamo. Qui i problemi da affrontare sono i rapporti con madre e suocera, la gestione del figlio, le spese per i concerti e la promozione, la stesura di un contratto. Le tensioni sono quelle che nascono dalla sensazione di insicurezza, dalla rivendicazione di tempo a propria disposizione e di un guadagno dignitoso a corrispettivo del proprio lavoro, dal costante senso di essere alla mercè di una corrente che ci porta da qualche parte senza lasciare spazio di manovra. A riprova di questo utilizzo dei colori, si veda la scena delle pagine 37 e 38: abbiamo Bowie e la moglie nell’intimità che discutono di carriera, e un’ampia gamma cromatica. E qui compare la prima traccia della trappola (o dell’equivoco) con la quale l’artista dovrà confrontarsi: “Tutta l’Inghilterra parla di te, dei tuoi vestiti, dei tuoi capelli, del tuo stile” dichiara Angela, al che Bowie stizzito replica “Della mia musica”..
Pubblico e privato sono inoltre resi con impostazioni visive radicalmente diverse: le azioni su palcoscenico ricreano spesso fotografie classiche e così propongono un’espressività canonizzata, che segue il codice associato alla teatralità di quei momenti. Siamo di fronte a un’iconografia stereotipata, nella quale i volti – fossero pure dei fan – sono maschere teatrali e il risultato è la caratterizzazione di questi momenti come rituali. Lo sguardo che genera tali immagini è, potremmo dire, declamatorio, di un racconto noto che viene replicato. Le piccole emozioni e la sottigliezza delle tensioni emergono invece nelle scene private attraverso i volti e gli sguardi, valorizzati da frequenti inquadrature ravvicinate, siano i dialoghi con il fratello o i proclami imbonitori di de Fries. In queste occasioni abbiamo uno sguardo investigativo, nel senso che mette in evidenza tratti che possono aiutare a capire qualcosa (della vicenda bowiana) di non ancora cristallizzato nell’apologia.
Piccoli didascalismi non necessari
Nel racconto compaiono alcuni inserti la cui funzione verosimile è quella di aprire la riflessione staccando dal registro biografico: uno vede un Bowie astronauta perdersi nello spazio sulle parole di Space Oddity e tornare sulla Terra mentre nasce l’idea di Ziggy Stardust; il secondo mostra uno Ziggy che sfida Bowie dallo specchio, cercando di impadronirsi della sua esistenza. L’effetto risultante è, nel primo caso, una sottolineatura non necessaria per chi conosca la vita dell’artista inglese e difficilmente comprensibile per chi la ignori; inoltre, la sua marginalità lo fa percepire come un’intrusione nel tessuto del racconto. Marginalità che relega anche il secondo inserto al ruolo di ridondanza: il conflitto era comunque chiaro e, se inteso per alludere allo smarrimento dell’equilibrio mentale, finisce per sfigurare in confronto alla cronaca degli eccessi mostrata nelle pagine. Come tentativo di mettere in scena il rapporto con l’alter ego si ferma al livello di stereotipo: un già visto che si esaurisce in sé, senza dare alcuna prospettiva specifica sul rapporto di Bowie con la propria carriera e la propria identità. Quasi a richiamare una tipica caratterizzazione del musicista come metabolizzatore o riciclatore di elementi già esistenti, siamo di fronte a un gimmick già visto e logorato dall’uso.
Come altri lavori apparsi negli ultimi anni su Bowie, anche questo si concentra sul personaggio, a conferma che ciò che evidentemente affascina dell’artista è più il suo approccio alla vita che la musica stessa: questa resta sullo sfondo, strumento di carriera e merito di diatribe legali. Forse perché colma di episodi sopra le righe, la semplice cronaca riesce a riempire le pagine con volti, corpi, scene e istantanee di un tempo che, per gli appassionati, risulta già colmo di fascino e richiami. Nell’idea del personaggio Bowie che costruisce la propria carriera come un’opera di comunicazione di sé, proprio la musica viene portata fuori scena. In questo senso, le immagini dai concerti testimoniano il successo e gli incontri con altri artisti fotografano un milieu creativo risultando però una mera galleria di volti e dialoghi.
L’opera di Kleist si pone quindi come uno sguardo sulla crescita del personaggio Bowie, sulla sua lotta per emergere, ottenere e mantenere il controllo sulle proprie scelte, burattinaio e non vittima dei propri alter ego. Nella miscela, i momenti pubblici ricalcano le scelte fatte in tante altre pubblicazioni su Bowie, mentre quelli privati, privi dell’enfasi retorica delle pose da palcoscenico, non solo offrono spunti di riflessione sulle decisioni dell’artista di Brixton, ma trasmettono, grazie anche all’espressività dei volti, un senso di realtà che le immagini pubbliche non hanno.
Abbiamo parlato di:
Starman – David Bowie’s Ziggy Stardust Years
Reinhard Kleist
Traduzione di Anna Patrucco Becchi
Bao Publishing, 2022
176 pagine, brossurato, colori – 21,00€
ISBN: 9788832737349