Niente di nuovo sul fronte Zerocalcare

Niente di nuovo sul fronte Zerocalcare

"Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia" di Zerocalcare, edito da BAO, raccoglie cinque fumetti realizzati nel 2021 che riconfermano pregi e limiti dell’autore.

Zerocalcare_Rebibbia_coverBAO Publishing prosegue il suo progetto di raccolta organica della produzione di Zerocalcare, autore di punta della casa editrice, alternando volumi realizzati appositamente a raccolte di materiale apparso originariamente in altre sedi.
Nel caso specifico di Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia, vengono ripubblicati quattro fumetti già visti nel corso del 2021 su Internazionale e su L’Espresso, che toccano temi particolarmente cari all’autore e legati all’attualità, rendendolo un buon proseguimento di La scuola di pizze in faccia del professor Calcare (qui la nostra recensione).

In più viene presentata una lunga storia inedita dedicata alla realizzazione del cartone animato Strappare lungo i bordi, disponibile dallo scorso novembre in streaming sulla piattaforma Netflix.

Il tomo si propone quindi come un condensato della recente produzione zerocalcaresca, utile per analizzare la direzione dell’attuale vena artistica del fumettista romano.

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore

Il primo racconto si presenta come una sorta di reportage, volto a illustrare secondo un diverso punto di vista la rivolta delle carceri avvenuta a marzo 2020, in piena pandemia da Covid 19, per protestare contro la sospensione delle visite esterne.
Il protagonista si ritrae infatti mentre intervista un ex detenuto della prigione di Rebibbia e la compagna di un carcerato, per provare a mostrare una realtà di cui le persone comuni conoscono molto poco e spesso con diversi sostrati di pregiudizi.

Zerocalcare_Rebibbia_10Come sempre quando la narrazione di Zerocalcare si fa più “politica”, è evidente e in qualche modo dichiarato l’orientamento dell’autore, atteggiamento che aiuta la trasparenza di quanto va ad esprimere con parole e disegni. Ma è nel contraddittorio immaginario che si ritrova il principale valore espositivo dell’opera: esplicitando, nei passaggi più critici, possibili obiezioni e dandovi già una contro-risposta, dimostra di aver preso in considerazione anche opinioni diverse dalla propria e di aver soppesato le proprie tesi, mettendole alla prova con confutazioni concrete.
In questo modo le argomentazioni sul tema vengono mediate da legittime osservazioni che permettono all’insieme di apparire meno monolitico, elemento che sta sempre a cuore a Zerocalcare.

Il meccanismo dell’intervista corredata da commenti – talvolta seri, talvolta leggeri – non funziona però benissimo a livello narrativo: la storia non scorre liscia perché l’alternanza di voci si fa caotica e così, in parte, anche la lettura.
I concetti non mancano, sono chiari e ben argomentati, ma in un format che ha i suoi limiti all’interno del linguaggio fumettistico.

Romanzo sanitario

Zerocalcare_Rebibbia_6La seconda storia è particolarmente radicata sul territorio, partendo da una tematica specifica e allargando poi il campo a una riflessione generale sulla percezione della provincia italiana da parte dei media nazionali.
Come suggerisce il titolo, è stata nuovamente la pandemia a mostrare come determinate situazioni malsane, lasciate a macerare nell’indifferenza generale, fossero pronte ad esplodere al primo cambio di paradigma: in questo caso la rarefazione dei presidi di sanità territoriale, che tanto avrebbero potuto essere utili con il proliferare di un nuovo virus.
Argomento importante e ampiamente dibattuto su vari editoriali e servizi, qui viene arricchito dall’interessamento personale di Zerocalcare verso le manifestazioni nel suo quartiere, che chiedevano non venisse chiusa Villa Tiburtina, ASL e centro diagnostico di zona.
In questo caso le “interviste” ai diretti interessati – dichiarazioni che riportano in maniera chiara e priva di filtri le istanze dei comitati – non frastagliano la narrazione, per come sono presentate, ma a ricreare questo inconveniente c’è il “controcanto” del giornalista con cui si rapporta il protagonista-narratore.

Il cronista vorrebbe infatti ricavare da Zerocalcare aneddoti che rispecchino i due codici narrativi della provincia: i mostri o le vittime. È il modo per l’autore di mettere in scena quella complessità umana a cui tiene particolarmente per sfuggire alla polarizzazione che sembra ormai riguardare qualunque tipo di dibattito pubblico e di discussione online.
Si tratta di uno spunto molto buono, solido e condivisibile, che amplia il punto di partenza per arrivare ad arricchire il racconto della provincia sfuggendo dagli stereotipi; viene però smorzato nell’esposizione da una “linea comica” troppo insistente, a tratti fastidiosa e a sua volta un po’ vuota: lo scontro netto tra l’equilibrato Zero e il redattore cinico può funzionare come sintesi, ma da un lato ricade nella dicotomia di cui sopra e dall’altro interrompe troppo il flusso narrativo.

La dittatura immaginaria

Zerocalcare_Rebibbia_8Il terzo fumetto alleggerisce un po’ i toni, pur trattando un argomento di scottante attualità: la cosiddetta cancel culture.
In quest’occasione il fumettista riprende la struttura “a punti” a cui è già ricorso in alcuni casi (si ricorda ad esempio Questa non è una partita a bocce, qui la nostra recensione): è un buon escamotage per esporre in maniera ordinata le proprie opinioni su un dato argomento, probabilmente più pulito delle casistiche analizzate in precedenza.
Di contro, però, non si può dire di essere di fronte a un racconto a fumetti strettamente detto e nemmeno a un reportage disegnato. È una sorta di ibrido tra questi due mondi, quasi presentazione per diapositive in sequenza con una spruzzata dello stile proprio delle storielle del suo blog: i micro-episodi che compongono l’opera vivono infatti in bilico tra l’enunciazione di tesi/argomentazioni e le battute di Zerocalcare, che mantengono la freschezza e l’efficacia di sempre in questo contesto.

Come suggerisce il titolo stesso, l’autore prova a spiegare perché la cancel culture sia un falso mito, tutt’altro che un bavaglio coercitivo verso la liberà di espressione dal momento che chiunque resta libero di esporre idee di qualunque tipo: nuove, vecchie, conservatrici, d’avanguardia, eccessive, estreme ecc.
L’analisi di Zerocalcare risulta piuttosto equilibrata e attenta, mostrando una lucidità più acuta di quella di tanti altri osservatori mediatici che hanno spazio in televisione e sulle pagine dei giornali, viziati dal confronto con il passato. Il suo essere perfettamente integrato nella contemporaneità e nei luoghi virtuali in cui la contemporaneità si consuma prevalentemente offre quel quid in più alla propria visione, sempre senza prendersi troppo sul serio.
Una delicata via di mezzo tra una disamina leggera e una discussione approfondita, che regge per tutta la durata del fumetto e che riesce a intrattenere, dribblando il rischio di avere soltanto un personaggio disegnato che guarda dritto in camera in un soliloquio.

Etichette

Zerocalcare_Rebibbia_11Con Etichette si torna nei territori del Kurdistan e in quelli del graphic journalism.
I viaggi di Zerocalcare in quelle zone hanno costituito un bagaglio di esperienze che il fumettista ha poi riversato in storie più o meno lunghe, con il tentativo di raccontare con un taglio personale vicende che ci arrivano filtrate da notiziari non sempre in grado di spiegarne la complessità.
Non è forse corretto ritenere queste opere dei veri e propri esempi di graphic journalism, come si disse a suo tempo su queste pagine, ma il valore di testimonianza e di partecipazione dirette che assumono è sicuramente inestimabile, anche grazie alla sensibilità con cui l’autore mette in scena quello che vede e che non viene minata dalla comicità a cui sempre attinge, intelligentemente mirata soprattutto su di sé, sui propri limiti e sulle proprie manie.
La personalità del disegnatore rimane al centro ma senza per questo sottrarre spazio al racconto di ciò che ha sperimentato dal vivo: il campo profughi d Markhmour ci è di fronte vivido e ben delineato, proprio perché narratoci da Zerocalcare nel suo modo peculiare, dentro alla storia, per poterla inquadrare secondo la sua ottica, fino alle amare considerazioni delle ultime due tavole.

Il castello di cartone

Zerocalcare_Rebibbia_4La storia inedita è senz’altro il momento più felice dell’intero volume, se vogliamo parlare di narrazione in senso stretto.
È vero che la nona arte può assumere mille e più forme al suo interno, ma è anche vero che – come già provato ad esporre – i quattro esempi precedenti possiedono degli elementi che li rendono più trasversali, nel bene e nel male che questo comporta.
Quello che invece nasceva come presunto backstage della realizzazione della serie animata per Netflix è fumetto allo stato puro, quintessenza di stilemi e cliché adoperati però con consapevolezza da Zerocalcare e contaminati dall’approccio narrativo e dall’umorismo che hanno fatto la fortuna dell’autore.
A tratti sembra di leggere una storia di quelle che apparivano anni fa periodicamente sul blog dell’autore romano, trattata però con la maggiore consapevolezza di sé e dei propri mezzi acquisita nel frattempo.

La considerazione non è così peregrina o soggettiva: in fondo lo stesso Strappare lungo i bordi ha segnato un deciso ritorno a quell’approccio alla scrittura, scelta lungimirante da parte di Zerocalcare per ripresentarsi a quella che poteva considerarsi in buona parte una nuova platea: quale modo migliore di farlo se non ricorrendo alle atmosfere che ne avevano segnato la fortuna agli esordi?

E se il cartoon si è mosso su due binari paralleli – il viaggio del presente e i flashback del passato – Il castello di cartone ricorre a una struttura simile, raccontando contemporaneamente le varie fasi che hanno portato a rendere il progetto con Netflix una realtà e una discesa nella propria anima, attraverso timori e sensazioni che solo in parte afferiscono ai patemi legati alla serie.
L’autore mostra di aver affinato ulteriormente la propria capacità di colpire il lettore, per esempio attraverso didascalie di pensiero particolarmente incisive ed ispirate, pur all’interno di un impianto ormai abituale fatto di dialoghi molto colloquiali e sporcati dal romanesco, di battute e gag estemporanee e del ricorso a uno stratagemma che ancora una volta facilita la narrazione per capitoli: i ben poco originali livelli da videogioco.
Peccatucci veniali che si possono perdonare alla luce del risultato finale, un fumetto per niente autoreferenziale ma un’ennesima occasione per psicanalizzarsi con riflessioni in cui possono rispecchiarsi molti suoi coetanei. L’equilibrio e l’onestà con cui vengono messe in scena paturnie, difficoltà e paranoie quotidiane sono il punto forte de Il castello di cartone, nel quale Michele Rech non manca di fare anche autoironia senza sconti.

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Parlando dei disegni, le osservazioni differenti dal passato sono ben poche. Dopo una certa maturazione del tratto più o meno a metà di questa prima decade di carriera – lo Zerocalcare personaggio delle primissime opere è piuttosto differente da quello attuale, molto più curato nell’aspetto – il segno del disegnatore sembra essersi assestato su uno stile ormai consolidato, che presenta alti e bassi.
In Lontano dagli occhi, lontano dal cuore per esempio i due comprimari rappresentano due esiti opposti: mentre l’ex detenuto gallinaceo appare un po’ grezzo nei tratti, la compagna dell’ospite di Rebibbia dall’aspetto di porcospino è più armoniosa. Sempre riferendoci ai personaggi, ne La dittatura immaginaria le tante vignette, spesso di piccole dimensioni, hanno portato a sacrificare la cura nell’illustrare le varie figure che compaiono, tratteggiate in maniera più che sintetica (tanto per gli umani quanto per gli avatar animali, come il dispotico unicorno).
Per quanto riguarda gli sfondi, invece, sono quasi sempre assenti o appena accennati, giusto per creare un minimo di contesto per i personaggi, costantemente in primo piano. Un peccato, perché quando guadagnano il privilegio della ribalta dimostrano le capacità dell’artista: si guardi all’ultima tavola di Romanzo sanitario, particolarmente immaginifica e d’effetto, sempre rimanendo nell’ambito di un tratto umoristico e cartoonesco.

Queste analisi vengono però confutate in Etichette: sentendo forse il peso della responsabilità, dovuto alla delicatezza degli argomenti e delle situazioni che sarebbe andato ad illustrare, il fumettista si prodiga in particolari per ritrarre i luoghi in cui si trovava, offrendo alcune vedute piuttosto suggestive, e le persone che ha incontrato, cercando di restituire sui loro volti tutta la dignità e il dolore di cui erano portatori. Donne fiere, soldati, persone comuni, tutti hanno vari elementi che li contraddistinguono e li caratterizzano immediatamente, dal vestiario ai lineamenti. Un lavoro artisticamente interessante anche nella regia, molto più varia rispetto alle storie precedenti.

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Ma è nella storia conclusiva del volume che Zerocalcare si sbizzarrisce particolarmente a livello grafico, a partire da alcune trovate come il castello a forma di armadillo, un certo uso delle ombre e dei neri e una costruzione della griglia più movimentata che permette una gestione del ritmo più dinamica.
Altri pregi che si riscontrano sono nel character design scelto per i “mostri” che il protagonista incontra durante la propria quest e alcune sequenze di grande impatto.
Nel primo caso il demone della protervia si distingue per una sintesi decisamente riuscita, quello del lavoro collettivo è interessante per la metafora comunicata dal suo aspetto e quello della purezza politica spicca per l’elaborazione dell’armatura che gli viene fatta indossare, scelta basica ma efficace per restituire la sensazione delle granitiche convinzioni di cui è portatore.
Nel secondo caso si possono ammirare diverse tavole con un’impostazione della gabbia che accompagna il tono del racconto, alternando pagine con quattro strisce orizzontali ad altre con delle quadruple e a splash page, presentando anche vignette con bordi obliqui e tagli strani, fino ad arrivare alle ultime tavole nelle quali a scene action dotate di una regia piuttosto scatenata fanno da contraltare passaggi in cui l’artista ha lavorato di sottrazione per comunicare lo smarrimento provato, nelle quali il personaggio precipita metaforicamente nel nero dello sfondo.

Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia rappresenta quindi un ottimo sunto dell’universo narrativo di Zerocalcare, buon punto di partenza per nuovi lettori arrivati sull’onda di Strappare lungo i bordi e occasione privilegiata per osservare i temi nei quali la scrittura del fumettista romano si è concentrata recentemente.

Abbiamo parlato di:
Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia
Zerocalcare
BAO Publishing, 2021
224 pagine, cartonato, bianco e nero – 18,00 €
ISBN: 9788832736571

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