Sono uno di quelli che in aereo è sempre affascinato da quei foglietti plastificati dove c’è scritto di non portarli via, quelli che spiegano come agire in caso d’emergenza.
Te la ricordi la scena di Fight Club dove Tyler Durden ne tiene uno in mano?
Gli aerei vengono giù e – cattiva notizia – non sono questi foglietti che ti salveranno la vita.
Le safety card sono oggetti strani: sembrano lavorare nel linguaggio del fumetto, a partire dalle forme, dalle immagini, mentre in realtà non hanno nessuno scorrere narrativo, cercano di affrontare un tema solo: la tua prossima morte tra pochi minuti, mostrando che la via d’uscita possibile è nella certezza di alcuni movimenti obbligati.
Tranne alcune aberrazioni che perdono di vista il punto centrale del progettare quelle immagini (le versioni con renderizzazioni tridimensionali dei pupazzi passeggeri), come funzionano quei foglietti di carta?
Alcune regole fisse.
- Il segno neutrale. Linea chiara estremamente insensibile al tratto. Continua inarrestabile di quadro in quadro, di vignetta in vignetta.
- La rappresentazione iconica. Cioè fuori dal linguaggio, non deve rappresentare cose, oggetti reali, ma cose sospese in uno spazio senza tempo. Forse di pochi istanti o eternamente ripetute come fanno le danze mimate dalle hostess prima della partenza. Non sono previsti movimenti bruschi.
- Colore pastello piatto. Si scelgono fondali e colori neutri (il rosso è sempre riservato solo ad indicare le vie d’uscita). Giallo e celeste (l’aereo precipita sempre in mare), arancione salvezza e rosa. Insomma un universo calmo, e senza eccessi, senza ombre. Perfetto per precipitare senza stress.
Non sono insomma fumetti ma usano il linguaggio del fumetto per decontestualizzare il pericolo imminente. Come quei manualetti degli anni cinquanta che, per proteggerti dagli attacchi atomici, ti dicevano di nasconderti sotto il tavolo da pranzo.
La scrittura di Beverly di Nick Drnaso racconta portandosi dentro anche questa forma di esposizione in posa fissa sull’orlo del precipizio. E la ricostruisce dentro un tessuto micronarrativo suburbano continuo basato sui sobborghi di Chicago, ma che rimanda ad un qualsiasi spazio del midwest. Le storie sono frammenti dove il sottofondo della morte viene tenuto a distanza da questo apparato di segni simboli e icone.
Una narrazione minimale, estrema, iterativa. Non c’è mai un movimento interiore o esteriore, una linea cinetica, un’esclamazione. Tutto resta sospeso, cancellando le emozioni, in un presente continuo che assomiglia alla storia del tipo che precipitando conta i piani del palazzo e si dice: – fin qui tutto bene.
La conservazione immobile dello stato delle cose è l’unico sbocco di una subumanità bianca imprigionata in un quotidiano spoglio e senza nessuna via di fuga evidenziata da frecce rosse. Nel libro non c’è mai un portellone da aprire, è una continua indolente preparazione al disastro imminente, anzi in corso. Sono scatole di fogli di istruzioni che contengono altre scatole che contengono altre scatole.
Un pattern di storie che si intrecciano e sovrappongono senza mai veramente intersecarsi.
In una di queste La storia più triste del mondo ci sono almeno tre linguaggi incastrati senza che possano comunicare l’uno con l’altro, come del resto tutte le narrazioni di Beverly, impressionante opera prima di Drnaso, sono a livelli di lettura trasparenti e sovrapposti.
Un lavoro di scrittura estremamente complesso che prende la forma di una vasta superficie territoriale, intrinsecamente narrativa, che attraversa e fende la storia della letteratura americana da Spoon River a Vizio di forma.
Un mondo di personaggi che costruiscono uno spazio sconfinato e claustrofobico dove ogni dettaglio tonale e segnico ne misura l’ampiezza e la costrizione.
Questo pianeta sintetico è la rappresentazione impietosa, algida e passivo-aggressiva dell’America che ha votato Trump, e la sua uscita italiana (il libro è uscito in lingua originale nel gennaio scorso dopo quattro anni di elaborazione) è in perfetta consonanza con l’election day.
Dentro c’è tutta quella classe repressa su cui hanno fatto leva le narrazioni stridenti e sfrontate urlate durante la campagna elettorale. Una politica che, in una distesa di casette artificiali che racchiudono questa drammatica quotidiana incapacità a rapportare le proprie vite ad altro da sé, ha offerto ai passeggeri di questo aereo che si schianta una via d’uscita in rosso, diretta, immobile, verso un solitario inevitabile naufragio. Fin qui tutto bene.
Abbiamo parlato di:
Beverly
Nick Drnaso
Traduzione di Stefano Sacchitella
Coconino Press, 2016
136 pagine, brossurato, colore – 18,50 €
ISBN: 9788876183140