Autobiografia del dolore: i fumetti e il parlar di sé

Autobiografia del dolore: i fumetti e il parlar di sé

L'autobiografia a fumetti è un genere ancora in voga: quando affronta il dolore, la perdita e la malattia può diventare altro, può diventare auto-terapia.

Se sembra che, da una parte, il fumetto faccia ancora fatica a uscire dal circuito chiuso e a volte vizioso degli appassionati, è comunque vero che le proposte che si affacciano nelle librerie di varia e si propongono a un pubblico di lettori più ampio sono in costante crescita.
Tutto sommato, sembra che nemmeno la critica letteraria e il pubblico delle librerie disprezzino.
Alcuni dei principali fenomeni fumettistici che sono stati e sono tuttora in testa nella “conquista” di questo nuovo territorio sono le autobiografie a fumetti.

IL FUMETTO FUORI DAL GIRO

L’uso del fumetto per parlare di sé lo rende, evidentemente, più appetibile a chi ha un’dea parziale o superficiale del fumetto, legata ancora al supereroismo piuttosto che agli albi Bonelli e visto in un’accezione riduttiva e non sempre veritiera. Tanta realtà che trasuda dalle pagine di certe opere sovrasta già a un primo acchito il canale attraverso cui viene proposto.

Persepolis di Marjane Satrapi

Una autobiografia fa probabilmente abbassare l’iniziale diffidenza verso un mezzo poco conosciuto, proponendosi come un terreno già noto sul quale il lettore può muovere i propri passi. Sono stati veri e propri casi mediatici le autobiografie di Marjane Satrapi, Persepolis (il cui adattamento animato ha avuto grande successo al Festival di Cannes 2007), e quella di Craig Thompson, Blankets.

Ma è un solo un primo passo di un piccolo circolo virtuoso; l’offerta di letture ancorate nel reale (al pari dei titoli di quello che, rubando il termine coniato dalla rivista Internazionale, possiamo definire Graphic Journalism, come Pyongyang di Guy Deslisle, Goradze di Joe Sacco, o i titoli dell’editore BeccoGiallo) ha risposto a un’esigenza di un pubblico di lettori mentalmente aperti, interessati al quotidiano e alla narrazione senza preclusioni tra letteratura e fumetto, una fetta di pubblico che prima gli editori sembravano ignorare, aprendo un mercato che risponde con pubblicazioni mirate a questo desiderio di buoni contenuti.

Questo aumenta la considerazione del fumetto come mezzo artistico e incoraggia l’editoria a coltivare questo nascente fronte di fruitori della narrativa disegnata. Oggi, probabilmente, un piccolo e misconosciuto capolavoro dell’autobiografia a fumetti come Brooklin Dreams, di J.M. De Matteis, non rimarrebbe confinato nell’anonimato di una fumetteria sparendo dagli scaffali e dalla memoria nel giro di pochi mesi.

IL FUMETTO E L’AUTOBIOGRAFIA

Il fumetto si presta molto bene a raccontare di sé, indubbiamente, per la capacità di mescolare con semplicità il reale al pensiero immaginifico dell’autore unendo alla forza tipica del racconto introspettivo l’immediatezza visiva, sia essa descrittiva o metaforica, e rendendo con efficacia e chiarezza come all’interno di un’autobiografia possano convivere elementi assolutamente reali ad altri parzialmente romanzati, la cronaca secca e sintetica assieme alla personalizzazione del ricordo così come l’astrazione figurata della propria fantasia e dei propri pensieri.

Quella mista di parole e immagini resta la più efficace forma di comunicazione, usata in tutto il mondo per esprimere rapidamente concetti anche molto complessi; la sequenzialità di questa struttura base permette di dare vita a una narrazione facilmente percepibile ma allo stesso tempo potenzialmente complessa e ricca. Comunicare per immagini e parole, quindi, rappresenta sia l’immediatezza, ma anche la completezza di modi in cui è possibile avvicinare il lettore alla propria intimità di pensiero e alla propria visione.

Portare sé stessi sulla carta non è mai facile, eppure certi autori hanno deciso di andare oltre, raccontando le parti più intime e delicate della propria vita, compresi il dolore e la malattia, e dando vita a racconti capaci di colpire con forza il lettore, spesso anche con colpi bassi, portandolo a immedesimarsi nella disperazione, nella disillusione, ma a volte anche nella speranza.

Quella che presentiamo è uno spunto per conoscere o approfondire questo genere. Ogni opera qui descritta sviluppa il suo personale uso del fumetto di fronte alla malattia, sia essa mentale o fisica, sia essa vissuta sulla propria pelle o attraverso la sofferenza dei propri cari. Aspetti comuni al genere, quello autobiografico, resi attraverso le possibilità e l’immediatezza del mezzo fumettistico.

ESEMPI DI GENERE

Il Grande Male di David B.

Volendo presentare una rapida panoramica di questo particolare sotto-genere dell’autobiografia, un buon punto di partenza tra i fumetti degli ultimi anni è il bellissimo affresco di David B., Il grande male. In quest’opera l’autore francese racconta la dura convivenza con la malattia del fratello, uno scontro che diventa metafora della storia dell’umanità e dei suoi attacchi di pazzia: guerre, violenza, prevaricazioni. Come le crisi epilettiche del fratello, anche i libri di storia assaltano la fantasia di David bambino, popolando i suoi sogni di immagini forti, di guerrieri ma anche di mostri, di rituali esoterici e simboli magici presi dalle tante letture dell’infanzia e dalla variopinta umanità con cui i suoi genitori si trovano a rapportarsi pur di coltivare un barlume di speranza per il loro figlio malato.

Nel romanzo di David B., che prosegue sotto forma di racconti nella serie Babel, non vi si legge morale o una risoluzione del conflitto interno dell’autore, ma l’esternazione di un malessere interiore causato dal male che affligge la mente del fratello, che ancora oggi l’autore si porta dietro e che esorcizza attraverso il disegno.

Ancora il rapporto con un male che ha origine all’esterno di sé è quello che illustra lo svizzero Frederik Peeters nel suo Pillole Blu. Peeters racconta una storia d’amore dolcissima, ma segnata dalla sieropositività della propria compagna e del figlio di lei. Paure, timori, la scoperta di una realtà spesso distorta dall’informazione “ufficiale”, il disagio di fronte all’affrontare le difficoltà di una paternità acquisita, i dubbi sulla propria capacità di gestire queste difficoltà (rappresentati graficamente con trovate eccezionali, come la presenza ingombrante di un immaginario rinoceronte). La storia d’amore però riempie di speranza la vita dell’autore, sostiene le sue scelte e gli dona forza per essere accanto alla sua amata.

Tanto Il grande male è cupo e angosciante, tanto Pillole Blu lascia il cuore leggero.

Due fumetti recentemente usciti, scritti e disegnati entrambi da due donne, raccontano invece l’esperienza diretta con la malattia, la voglia e il coraggio di superarla, combatterla e domarne la paura indotta attraverso le vignette.

La ragazza senza piedi di Kaisa Leka

La ragazza senza piedi di Kaisa Leka parla della decisione dell’autrice di farsi amputare i piedi, afflitti da una malformazione congenita, per sostituirli con due protesi. Esposta con uno stile semplice, che rappresenta le persone come tanti Topolino o Paperino, la sua storia è un esempio di forza morale e positivismo che trasudano dalla fermezza con cui Kaisa porta avanti la sua scelta, dalla capacità di riprendersi dai momenti di sconforto e di dolore post-operatorio e dalle difficoltà nel camminare con i suoi “nuovi piedi” di lattice e carbonio.

La capacità di ironizzare con le proprie vicissitudini e le proprie, piccole o grandi, tragedie è una dote preziosa, che Leka dimostra di possedere in grandi dosi; pure, non sono mancati nella sua vicenda i momenti difficili e duri, di forte indecisione di fronte a una scelta definitiva da cui è impossibile tornare indietro. Così il fumetto, in questo caso, sembra un elemento necessario per ridefinire la conseguenze della sua scelta, per cancellare dalla mente i momenti peggiori, per guardare avanti alla sua nuova vita.

Il tono del raccontare è simile nel recente volume Il cancro mi ha reso più frivola di Miriam Engelberg, in cui autrice è alle prese con uno dei mali più insidiosi e terrificanti. In questo fumetto stupisce l’apertura dell’autrice nel parlare di verità tanto intime e difficili da esprimere quanto da ascoltare. Leggere le sue tavole umoristiche sulla propria condizione di malata di cancro è allo stesso tempo spassoso e straniante; procedendo nella lettura, il valore terapeutico del raccontarsi a fumetti della Engelberg affiora sempre più, man mano che la sua salute si aggrava e i risultati degli esami cancellano la speranza.

Il suo fumetto è stata una cura per fuggire la pazzia, per non arrendersi alla disperazione e all’apatia. Un salvagente a cui aggrapparsi in un momento in cui niente sembrava poter essere di conforto, in cui anche comunicare con i propri cari diventava difficile e le distanze incolmabili. Leggere le sue vignette pensando alla sua battaglia persa contro il cancro che se l’è portata via nell’ottobre del 2006 a 48 anni è allo stesso tempo rassicurante, nell’immaginare a quanta forza di volontà si possa attingere anche per affrontare la più grande delle paure, e deprimente, pensando a come, per quanto si possa lottare, certe battaglie non si possano vincere.

Mom’s cancer di Brian Fies

L’ultimo fumetto di questa breve e incompleta carrellata è anche quello di più recente pubblicazione in Italia, e il tema portante, come nell’opera di Miriam Engelberg, è il cancro, stavolta visto dal punto di vista del figlio che deve assistere la propria madre durante la malattia: si tratta di Mom’s cancer di Brian Fies.

L’autore, giornalista freelance, quando si è trovato ad affrontare il dramma familiare rappresentato dall’insorgere del male di sua madre, morta per gli effetti della chemioterapia dopo aver debellato il cancro, ha scelto di raccontare la sua esperienza e le sue angosce attraverso un blog a fumetti. Una storia che ha conquistato il cuore di molti, vincendo il premio Eisner per la categoria “web comics” nel 2005.

Lo scopo di Mom’s cancer, oltre che di fungere da valvola di sfogo, è stata quello di condividere lo stato d’animo dell’autore con altre persone coinvolte nella lotta conto il cancro, diventando un piccolo caso nella comunità virtuale. Anche qui, l’umorismo aiuta ad affrontare con meno dolore la realtà della morte, ma come spesso accade lo stesso umorismo sottolinea ancora più ferocemente la paura e il dolore. Il valore aggiunto di quest’opera sta nella sua genesi, nel suo esser stato (ed esser tuttora, attraverso l’attività dell’autore) un modo per avvicinare persone che hanno vissuto e vivono esperienze simili, per sdrammatizzare e rendere nota all’esterno la realtà del percorso clinico che i malati affrontano durante la loro lotta contro il cancro.

APPUNTI PER UN’ANALISI PSICO-SOCIALE DEL DISEGNO

Pur essendo solamente un piccolo campione della vasta bibliografia possibile sull’argomento e addirittura un infinitesimo anche delle sole autobiografie a fumetti, e prima di arrivare alle conclusioni strettamente legate al tema dell’articolo, nasce spontaneamente una piccola riflessione laterale sull’aspetto grafico e scenico di queste opere.

È infatti curioso notare come La ragazza senza piedi e Il cancro mi ha reso più frivola presentino uno stile grafico semplice, scarno e quasi infantile, mentre al contrario i volumi di David B., Peeters e Fies evidenziano una ricerca del segno, soprattutto per i primi due al limite del virtuosismo (anche se mai fine a se stesso).

Non per questo si può affermare che il tratto di Leka e Engelberg sia inutile ai fini del racconto, anzi nella loro essenzialità è altamente comunicativo e non meno incisivo, diretto e sincero, libero da ogni elemento non strettamente necessario. Ma l’impatto e la forza intrinseca del segno espressa dagli autori rispetto a quelle delle due autrici è innegabile, e rappresenta un ulteriore motivo di interesse (più tecnico che emozionale) dei loro racconti.

Gli esempi presentati sono certamente pochi per rappresentare un dato statistico valido, ma non si può fare a meno di chiedersi se il diverso approccio non riguardi anche il differente modo di porsi nel narrare tra uomo e donna. Non ho trovato studi specifici in tal senso, ma l’idea è compatibile con alcune teorie psico-sociali sulle differenze cognitive di genere, secondo le quali gli uomini hanno un’intelligenza spaziale maggiormente sviluppata (per esempio nel senso d’orientamento, ancestralmente legato al ruolo primitivo di maschio cacciatore), mentre le donne sono più portate per i processi verbali e narrativi (legati alle funzioni educative e sociali dell’allevamento dei figli); non è privo di fondamento ipotizzare perciò un diverso modo di rappresentare visivamente lo spazio tra uomini e donne, presumendo come siano tendenzialmente portati a una maggior cura nel disegno i primi, e a sviluppare il lato narrativo facendo in modo che il segno sia surrogato al fine esclusivo del raccontare, le seconde.

Uno studio in tal senso probabilmente manca, ma sarebbe sicuramente interessante analizzare, dal punto di vista del fumetto e del disegno in senso più ampio, le macro-differenze tra uomo e donna e come esse influiscano nel rappresentare la realtà e la propria esperienza con il disegno, un mezzo che potremmo definire anche più istintivo e direttamente legato alla propria interiorità rispetto alla letteratura e alla parola, capace di giungere forse in maniera meno mediata dal pensiero alla carta.
Non è questo il nostro scopo, ma lo spunto era troppo interessante per non dedicargli un piccolo spazio.

CONCLUSIONI

Alla fine di questo breve excursus abbiamo parlato solo di una piccola parte dei titoli esistenti sull’argomento, ma che sono testimonianze di come il fumetto sappia con efficacia e una maturità indiscutibile parlare delle intimità delle persone, anche quelle più difficili da esternare.

La valenza di queste opere sta quindi nel sottolineare come questo mezzo di comunicazione sia un modo validissimo di affrontare certi argomenti, per l’apporto dato dall’efficacia del disegno, per le invenzioni e i virtuosismi grafici, per la rappresentazione iconica della realtà, per la sintesi, per la facilità nel trasporre i propri pensieri anche nei momenti difficili, dove la scrittura forse rappresenterebbe uno sforzo maggiore, per la possibilità di arrivare a tanti con semplicità.

L’immediatezza del fumetto è tanto nella facilità del ricevente di comprendere e assimilare il messaggio, quanto in quella del trasmittente di esporre i propri pensieri. Il fumetto è un canale privilegiato quindi per mettere in comunicazione l’autore con il lettore, forse quello dove il rapporto sembra essere anche più intimo e riservato e, perciò, più caldo e fraterno.

Abbiamo parlato di:
Il grande male, di David B. – Coconino Press, 2003/2004 – 2 vol. 176/208 pagg. bros. b/n – 13,50/14,50euro
Pillole Blu, di Frederik Peeters – Kappa Edizioni, 2004 – 200 pagg. bros. b/n – euro 15,00
La ragazza senza piedi, di Kaisa Leka – Coniglio Editore, 2007 – 64 pagg. bros. b/n – 10,00euro
Il cancro mi ha reso più frivola, di Miriam Engelberg – TEA, 2007 – 120 pagg. bros. b/n – 9,00euro
Mom’s cancer, di Brian Fies – DOUble SHOt/Bottero Edizioni, 2007 – 128 pagg. bros. b/n e col. – 10,00euro

Riferimenti:
Coconino Editore: www.coconinopress.com
Kappa Edizioni: www.kappaedizioni.it
Frederik Peeters (sito chiuso): www.atrabile.org/frederikpeeters
Coniglio Editore: www.coniglioeditore.it
Kaisa Leka, sito ufficiale: www.kaisaleka.net
TEA Libri: www.tealibri.it
Miriam Engelberg, sito ufficiale: www.miriamengelberg.com
DOUble SHOt: doubleshotpress.blogspot.it
Brian Fies, blog: momscancer.blogspot.com

Si ringrazia il professor Federico Ferrari, docente di Psicologia dell’arte e Psicologia dell’arte e della letteratura presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna.

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