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Alessandro Lise a Lo Spazio Audace di Lucca Comics 2025

A Lucca Comics abbiamo intervistato Alessandro Lise per “Il padiglione sulle dune”, adattamento di un racconto di Stevenson edito da Baya Comics.
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Alessandro Lise, sceneggiatore de Il padiglione sulle dune edito da Baya Comics, è stato ospite de Lo Spazio Audace – Vignette e caffè a Lucca Comics & Games 2025. L’autore, proprio con questo volume, ha anche vinto il Premio Boscarato 2025 nella categoria “Miglior artista (sceneggiatura)”.

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Alessandro, benvenuto! è inevitabile in questi casi farti una domanda banale, cioè: che cosa vi ha portati sulle rotte di Stevenson?
Stevenson è una delle nostre letture del cuore. Per me è stata una scoperta dei vent’anni, non dell’infanzia: non l’ho letto da piccolo. Il padiglione sulle dune l’ho trovato in una collana uscita in edicola con L’Unità nel ’94-’95.
Quando l’ho letto sono rimasto abbastanza folgorato perché è un romanzo breve, una novella lunga in cui Stevenson fa tutta una costruzione di mistero che, per me, fa morire dal ridere. Credo non fosse quello il suo intento, ma mi faceva ridere in un modo particolare, non “involontariamente trash”, ma di un altro tipo, un altro livello. Per cui mi ha subito colpito ed è rimasto a macinare (giusto o era “macerare”?) dentro di me per trent’anni finché Davide La Rosa non ci ha proposto di partecipare alla sua collana dei Classici non classici per Baya Comics. Non abbiamo avuto molti dubbi, anche perché Alberto avrebbe voluto fare Gordon Pym, ma era già stato preso da Francesco Matteuzzi.

Come si tradisce e in che cosa si tradisce Stevenson per adattarlo al linguaggio del fumetto? E in questo caso specifico a Il Padiglione sulle dune?
Noi abbiamo cercato in tutti i modi di non tradirlo nello spirito, cioè di tenere la trama il più possibile vicina all’originale, ma di tradire un po’ il punto di vista e aggiornarlo. Questo al fine di fare due operazioni. La prima, che ho già accennato, è appunto aggiornarlo, e adesso vi spiego meglio in che termini; la seconda è renderlo nostro. La nostra preoccupazione era che questo fosse un libro che, anche se uno non avesse conosciuto Stevenson o l’originale, potesse comunque percepire come nostro. Noi non abbiamo un grandissimo pubblico, abbiamo dei lettori affezionati e ci piaceva mantenere quel linguaggio là, quella lingua là, quello stile là, per essere appunto riconoscibili. C’interessava poi aggiornarlo perché questo è un libro sulla misantropia, è un libro molto maschile in un modo, come dire, adeguato alla sua epoca ma che adesso non è più tanto significativo o interessante. Non ci sono donne, o c’è una donna, ma più come oggetto del desiderio. Perciò ci piaceva raccontare quella mascolinità, quel modo di essere maschi, rendendolo più nelle nostre corde, un po’ più ridicolo. Lavorare sul rendere buffe delle situazioni che altrimenti sarebbero sembrate fumettose, poco piacevoli per la sensibilità odierna e anche anacronistiche.

Ilpadiglionesulledune cover

Prima di mettervi al lavoro avete dato un’occhiata ad altre trasposizioni a fumetti da opere di Stevenson, ad esempio L’isola del tesoro di Pratt o Mattotti o le varie cose che ha fatto Disney?
Sì, de L’isola del tesoro le abbiamo guardate tutte, anche perché per La fine del mondo stiamo lavorando proprio a una nostra versione di quella storia, però con tutti i personaggi anziani: anche Jim è anziano, sono tutti geriatrici, diciamo così.
Alberto si è riguardato molto Pratt, ma soprattutto per tenercene lontani: non perché Pratt non ci piaccia, anzi, ma perché quel suo stile così serio ed epico ci sembrava appartenere a un’altra epoca, e noi volevamo modernizzarci.
Però sì, ne abbiamo viste parecchie. Quella di Boscarato è molto bella, soprattutto l’inizio uscito sul Giornalino è interessante. Abbiamo guardato anche Mattotti: lui non ha fatto una trasposizione a fumetti del Padiglione, ma ha illustrato il racconto, e quindi la forma del nostro Padiglione richiama la sua.

Le scelte cromatiche sono particolarmente narrative. Avete sempre un’attenzione particolare, ma qui è chiaro che ci abbiate lavorato parecchio.
Probabilmente sapete già come lavoriamo io e Alberto, ma ve lo rispiego velocemente. Ci sono libri più “normali”, in cui io scrivo la sceneggiatura e lui fa i disegni, e altri in cui lui fa tutto e io poi devo correre ai ripari, sistemare la narrazione, scrivere i dialoghi, ecc. Ci sono poi libri che facciamo completamente insieme.
Questo è uno del primo tipo, nel senso che io ho fatto una sceneggiatura classica e Alberto aveva molto più tempo e possibilità di stare attento al disegno e alla scelta narrativa, che è poi quello che ci piace di più. La cosa che ci interessa non è tanto fare un bel disegno, fare un’illustrazione, ma proprio fare un bel fumetto che si possa leggere, che si possa guardare. È tutto funzionale, non decorativo. In più c’è la scelta di rendere facile anche per Alberto il lavoro. Per cui due tinte e con queste due giocarci con i retini, anche sovrapponendoli in modo da fare delle tinte di verde diverse più scure o più chiare a seconda della situazione. È molto narrativo appunto come dicevi tu.

Hai detto che avete deciso di fare un fumetto che i vostri lettori potessero riconoscere: secondo te, quale potrebbe essere il target di questo fumetto?
Questa è una bella domanda, nel senso che questo è probabilmente il nostro libro più leggibile; quindi, ha un’apertura sul pubblico molto più vasta. Abbiamo fatto una presentazione a Padova con Claudio Calia e lui ci ha dato una definizione che secondo noi è adeguata. Ha detto che è il nostro Un uomo un’avventura [N.d.A. collana avventurosa di Edizioni CEPIM, attualmente Bonelli] e in effetti è vero. È il nostro libro d’avventura più classico, quindi certo, noi volevamo essere fedeli alla linea un po’ per i lettori, un po’ per noi stessi, perché ci piace questo tipo di fumetto qua. Però anche cercare di allargare un po’ a un pubblico più eterogeneo anche di ragazzi e che potesse magari essere utile anche nelle scuole volendo. In questo senso, uno potrebbe fare un lavoro sul testo originale confrontandolo con la trasposizione, perché è interessante vedere come due media diversi possano trasformarsi da una cosa all’altra.

Hai citato la scuola ed essendo tu anche insegnante, il discorso di trasferire ad altre generazioni la propria esperienza come si coniuga nel tuo caso con il fatto di essere un autore con una visione molto particolare? Nel senso, il tuo insegnamento è un insegnamento sul fumetto in generale o su una tua visione molto specifica del fumetto?
Adesso dico una cosa che va contro di me: io insegno delle cose che non faccio. Fondamentalmente si tratta di un insegnamento che cerco di tenere a tutto tondo sul fumetto, ma molto dipende anche dalle persone che ho davanti: dalla loro esperienza, dai loro interessi, dalla loro direzione come autori. Quindi devo dare delle basi e delle strutture su cui lavorare. Queste strutture sono cose che conosco bene, ma che poi ho abbandonato perché forse un po’ semplici, un po’ di base, con il tentativo poi di portare anche gli altri a trovare una voce propria.
Io come insegnante sono al servizio degli studenti ma, come dicono tutti quelli che insegnano, anch’io imparo tantissimo da chi ho davanti, sia come gusti, come novità, ma anche proprio come approccio alla scrittura e come modo di vedere le storie. Il tentativo è sempre quello di uno scambio, non alla pari, però un po’ osmotico, dove le cose passano da una parte all’altra, non solo in una direzione con l’obiettivo di vedere a più ampio raggio possibile.

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Prima hai citato la rivista La fine del mondo. Mentre Bacilieri ce ne ha parlato in termini di Linus, tu ne parli appunto come nuova pubblicazione del Manifesto, guidata e curata da Maicol & Mirco. Come siete stati coinvolti e soprattutto che cosa significa per voi partecipare a questo progetto?
Ci ha chiamati Maicol. Anche se, da quasi un anno, ogni volta che ci incontravamo ci diceva: «Vi chiamerò. Vi chiamerò per una cosa di cui non posso parlare, ma vi chiamerò.»
Poi, tra aprile e maggio, la chiamata è arrivata davvero: ci ha detto che stava per uscire questa rivista, che ci voleva dentro e che avremmo dovuto preparare un po’ di numeri. Potevamo fare praticamente quello che volevamo, ovviamente sotto la sua guida e supervisione. A noi è sembrata una cosa eccezionale: un po’ per i nomi coinvolti, un po’ per il tipo di rivista. Siamo molto contenti di andare in edicola con questo esperimento. È qualcosa che ci mette alla prova, perché dovremo produrre ogni mese (e io sono lentissimo), ed è un pubblico molto più vasto di quello a cui siamo abituati.
Questo ci emoziona molto e ci rende felici, finalmente avremo più di cento lettori, ma allo stesso tempo ci spaventa, perché non sappiamo come verrà accolto il nostro stile.
Facciamo fumetti da tanto tempo e oltre un tot non siamo mai andati, anzi abbiamo sempre un po’ calato dalle vendite e dallo “sbattezzo”.
Quindi per noi ha questa doppia visione: entusiasmo e timore insieme.

Una domanda un po’ più generale. Parliamo dell’opera di Stevenson e di letteratura di fine Ottocento. Spesso i classici, oggi, si leggono con fatica. Questa operazione ha avuto anche l’obiettivo di rendere il libro fruibile ai più giovani?
Ti devo dire, questa cosa noi non l’abbiamo pensata. Cioè tendenzialmente siccome per noi questo è sì un lavoro, ma anche una cosa che non ci dà da vivere, facciamo essenzialmente le cose che ci piacciono. La nostra idea è quindi quella di riproporre una cosa che a noi piace molto, che magari non è tanto nota e di farla con il nostro stile. Poteva essere questo, ma anche un libro del novecento. Perché è questo? Un po’ per il gusto personale, un po’ perché è fuori dai diritti e un po’ perché era parte di questa visione di Davide la Rosa, di questa collana dove ci sono “classici non classici”, ovvero trasportare in un mondo del fumetto un autore e qualche lavoro che non è tanto noto. Quello che mi dici non so, a me le cose un po’ didattiche, un po’ come dire con una missione di diffusione mi spaventano un po’, non è quello il mio intento. Il mio intento è proprio quello di trasportare quello che mi piace e far piacere anche agli altri le cose che piacciono a noi.

Grazie per la disponibilità, Alessandro.
Grazie, grazie a voi.

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Intervista realizzata il 31 ottobre 2025 a Lucca Comics & Games.

ALESSANDRO LISE e ALBERTO TALAMI

Il sodalizio artistico tra Lise e Talami si rinnova di opera in opera a partire dal 2001. Le opere principali del duo sono Morte ai cavalli di Bladder Town! (premio Nuove Strade al Napoli Comicon), Quasi quasi mi sbattezzo, Saluti e bici e Il futuro è un morbo oscuro, dottor Zurich!, editi da BeccoGiallo, Rosa Ananas, Guida galattica alla Costituzione e le serie autoprodotte Eschaton e Listalamise. (Fonte: Coconino Press, Jungle Justice)

Giovanni Dacò

Giovanni Dacò

Da molti anni legge fumetti. Per pagarseli ha fatto anche il giornalista, il giardiniere, l’addetto stampa, il muratore, il direttore di riviste, l’agricoltore, lo scrittore.

Giuseppe Lamola

Giuseppe Lamola

Nato a Martina Franca nel 1984, Legge fumetti praticamente da sempre. Con il tempo si appassiona alla Nona arte come mezzo espressivo. Insieme ad altri amici fonda a inizio 2012 il blog de Gli Audaci.
Collabora con Lo Spazio Bianco dal 2011, ne è redattore dal 2015 e ha contribuito all'ideazione e al coordinamento degli Speciali tematici dedicati a Martin MystèreMarvel Now!, BatmanOrfani: da Ringo al Nuovo Mondo, Nathan Never e Dylan Dog.
Continua ad accatastare pile di fumetti.

David Padovani

David Padovani

Fiorentino, classe 1972, svolge la professione di architetto. Grazie a un nonno amante della fantascienza e dei fumetti, scopre la letteratura fantastica e il mondo degli albi Corno della seconda metà degli anni '70.
Tex e Topolino sono sempre stati presenti nella sua casa da che si ricordi, e nella seconda metà degli anni '80 arrivano Dylan Dog e Martin Mystere e la riscoperta del mondo dei supereroi USA.
Negli anni dell’università frequenta assiduamente le fumetterie, punti d’incontro di appassionati, che lo portano a creare assieme ad altri l’X-Men Fan Club e la sua fanzine ciclostilata, in un tempo in cui di web poco si parlava ancora.
Con l’avvento del digitale, continua a collezionare i suoi amati fumetti diminuendo la mole di volumi cartacei acquistati, con somma gioia della compagna, della figlia e della libreria di casa!

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