Orfani: Ringo #9, una nuova società sulle note dei CSI

Orfani: Ringo #9, una nuova società sulle note dei CSI

Ringo #9 "Tabula rasa" di Uzzeo/Cremona è un racconto teso e inquietante che esplora con efficacia i confini delle convenzioni narrative bonelliane.

Introduzione

coverRingo9Lontani dagli sguardi dei Corvi ma non dalle insidie del viaggio in un’Italia post-apocalittica sempre meno accogliente e rassicurante, Ringo, Nuè, Seba e Rosa incontrano sulla loro strada un nuovo ostacolo sotto forma di una comunità retta da un folle santone e dedita a pratiche disumane e violente.
La storia si allontana dalla fantascienza per affiancarsi al genere horror grazie a toni maturi e scene decisamente forti e disturbanti. Con Ringo per gran parte dell’albo relegato a elemento passivo (particolare che la copertina riprende ribaltandone però il significato) viene seguita la maturazione caratteriale dei tre orfani, che devono lottare per sopravvivere senza il proprio “angelo custode”.
Nella trama si assiste a un importante punto di svolta intuibile fin dalle prime pagine, centro focale del racconto che pone una nuova prospettiva in attesa del ciclo finale della serie. Non manca il consueto gioco di rimandi e citazioni più o meno esplicite, da una intera sequenza presa da Swamp Thing di Alan Moore ad Apocalypse Now, dalle bande di sopravvissuti che tra i resti della civiltà tornano ad abbracciare usanze e simboli tribali – un classico dell’immaginario post-apocalittico dalla saga di Mad Max in poi – fino a riferimenti alla storia recente come quello al regime dei Khmer Rossi in Cambogia.

Orfani: Ringo #9, sceneggiato da Mauro Uzzeo e disegnato da Matteo Cremona, non stravolge quindi lo schema narrativo dei precedenti albi ma se ne distingue per toni e stile, risultando il più convincente e anche il più indipendente dalla struttura seriale, risultando fruibile anche come racconto a sé stante.

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Gabbia, tradizione e sperimentazione

Dal punto di vista tecnico, questo albo è senza dubbio un punto di arrivo e uno snodo cruciale nel percorso di ridefinizione dei limiti della gabbia bonelliana; quello sviluppato dalla serie ideata da Roberto Recchioni ed Emiliano Mammucari può esser visto come un work in progress che fin dal primo albo di Orfani ha tentato di forzare un linguaggio ben codificato senza tradirne lo spirito e cercando al contempo un equilibrio che ne mantenesse efficacia e immediatezza.
2Se finora questa ricerca non ha sempre raggiunto il proprio scopo, questo albo ne rappresenta il punto più alto. Al suo interno infatti viene fatto uso di un ampio numero di varianti alla classica gabbia a due vignette per tre strisce: pagine spezzettate in piccoli riquadri dal ritmo serrato, passando per strisce orizzontali “panoramiche”, vignette di grande formato e disegni a tutta pagina.

L’esempio forse più audace è però la doppia tavola di pagina 42/43, che evidenzia gli incubi di Ringo sotto gli effetti di un allucinogeno: una sorta di splash page è posta centralmente alle due pagine e mostra il movimento di Ringo congelato in quattro pose, una immagine quindi non statica ma che richiama le soluzioni usate per esempio da Gianni De Luca, ai cui lati si sviluppano in verticale tre vignette più piccole in una sorta di richiamo al passato violento del personaggio e a un possibile futuro di decadenza e morte.

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Pagina 45

Degna poi di nota la sequenza costituita da coppie di tavole affiancate che prende il via a pagina 45, nelle quali vengono alternati due riti barbari e truculenti a cui vengono sottoposti Ringo da una parte e i ragazzi dall’altra.
Si inizia con nove vignette per pagina, piccole e dal ritmo concitato. Si prosegue con le sei vignette standard per passare a una costruzione orizzontale, a quattro strisce prima e tre strisce dopo. Si passa poi a uno schema a due vignette che dividono la pagina in verticale, con un movimento di camera a stringere che sfocia in una doppia splash page affiancata, con una contrapposizione tra Ringo e Rosa – a loro modo entrambi oggetti di venerazione, ma in maniera molto diversa – e infine in una vignetta a doppia pagina che chiude il doppio snodo narrativo. Da una parte le lettura procede incalzata dalle onomatopee del suono dei tamburi e dal vociare della folla, dall’altra dal lento incedere dei deliranti versi del santone. Le due scene si alternano anche nei colori, con uno stacco tra quelli bluastri e freddi dell’esterno con quelli caldi, avvolgenti e intensi dell’interno, contribuendo a creare una sorta di cadenza nel passaggio da una all’altra.

Pagina 52 - dettaglio
Pagina 52 – dettaglio

Il ritmo parte accelerato nelle prime vignette ed è lento sulla pagina nella sua interezza, rallentando progressivamente nelle singole vignette sempre più grandi e dense anche nei contenuti mentre ne diminuisce il numero per tavola. A questo corrisponde un aumento progressivo dell’effetto scenico e della forza delle immagini, causando una dilatazione dei tempi di lettura che raggiunge il culmine nella vignetta finale a doppia pagina.

Questa libertà nell’impostazione della struttura delle tavole non è uno sfoggio di tecnica fine a se stesso e non viene sfruttato come un banale effetto speciale. Piuttosto è uno strumento per scandire il tempo di lettura, creare atmosfera, definire stacchi di sceneggiatura e di ambientazione. Il ritmo imposto da queste scelte è evidente ed efficace sia nelle pagine più concitate sia in quelle nelle quali il racconto rallenta e si scontra con una sorta di “spiegone”, senza per questo smorzare l’attenzione o perdere atmosfera.

Musica e politica

Un altro elemento importante è rappresentato dai dialoghi asciutti e diretti. A essi si contrappone il delirio mistico del santone che pesca a piene mani dai testi dei CCCP e del gruppo nato dalle loro ceneri, i CSI. Questo dimostra tra l’altro come nella cultura italiana ci sia un sommerso fatto di idee e spunti dal forte potere evocativo senza dover andare a scomodare sempre realtà lontane dalla nostra.

Dall’anima punk rock delle due band fondate da Giovanni Lindo Ferretti l’albo sembra riprendere non soltanto il titolo (dall’album Tabula rasa elettrificata, 1997, Blackout) o estratti e riadattamenti dei testi, ma la stessa atmosfera cupa, ossessiva e disturbante che emerge dall’ascolto delle loro canzoni.
Non è certo casuale che l’albo sia ambientato nella pianura padana, in quell’Emilia “paranoica dove i CCCP/CSI sono nati, come se questi luoghi fossero impregnati da certe specifiche atmosfere e sensazioni. Una Pianura padana che nonostante gli spazi piatti e aperti fino all’orizzonte si manifesta come luogo claustrofobico, ammantata di nebbia e cenere che limitano lo sguardo a pochi metri e creano una realtà sospesa e isolata. Una realtà sociale e politica ancor prima che geografica, che non era affatto scontato riuscire a riportare su carta.

24La scelta dei testi di CCCP/CSI rivela inoltre un sottotesto politico e l’ampio spazio dato al santone della comunità lo conferma. Uzzeo approfondisce efficacemente un aspetto presente fin dai primi albi di Orfani: Ringo ma mai analizzato tanto efficacemente: quello delle derive comunitarie sorte dopo che la civiltà moderna è stata spazzata via e ha perso di significato. Due sono gli esempi che vengono mostrati.

Da una parte la ridefinizione della famiglia rappresentata da Nuè, Seba e Rosa: per loro i concetti di amore, amicizia e appartenenza perdono i propri confini e significati per fondersi in qualcosa di nuovo, una nuova “famiglia allargata” nella quale proteggersi e confortarsi a vicenda.

Dall’altra parte si racconta di una comunità chiusa e ostile verso l’esterno e dedita a pratiche orribili e sorretta dalla fede cieca verso una sorta di nuova religione. Questo ristretto gruppo di individui riprende, estremizzandole, le derive assolutistiche e asociali di certe tendenze culturali moderne, quando esse vengono abbracciate non come sviluppo di un proprio percorso personale, ma come dogmi indiscutibili e immodificabili nei quali nascondere le proprie insicurezze.

Punto di unione di questi due esempi contrapposti è rappresentato dall’importanza della figura femminile assimilabile al concetto di società matriarcale: in una realtà nella quale il futuro appare insicuro e la speranza ha lasciato il posto alla rassegnazione, la figura della donna come dispensatrice di vita diventa fondamentale per il perpetrarsi della specie. La donna da oggetto di disprezzo e violenza in questo mondo senza leggi diventa soggetto da venerare e adorare.

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Testo, disegni e colori

Nella riuscita del fumetto risulta fondamentale l’intesa tra sceneggiatore, disegnatore e coloriste, che qui ancor più che in altre occasioni appare come un unicum indivisibile. Le scelte di sceneggiatura di Mauro Uzzeo, forse all’esame più complesso e completo come autore, si rivelano ardite e potenti, ma è anche evidente che la prova di Matteo Cremona sia tra le migliori apparse nel pur importante parco disegnatori di Orfani, e il connubio con il lavoro di Giovanna Niro e Fabiola Ienne ai colori è un elemento fondamentale per trasmettere l’atmosfera e le emozioni della storia.

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Rispetto ai suoi inizi su John Doe e David Murphy 911, Cremona ha emendato quelle poche indecisioni nelle posture e nei movimenti, maturando uno stile spettacolare e incisivo, molto dettagliato ma senza mai scadere nel maniacale. Le pagine di questa storia sono potenti, riempiono gli occhi e richiedono di essere osservate con attenzione per coglierne tutti i dettagli. Solo in un paio di vignette si notano piccole incertezze che sorprendono proprio per l’accostamento con il resto dell’albo e l’impegno posto nelle tavole più complesse.
Nel disegnare i personaggi l’autore è attento alle espressioni, che risultano marcate e realistiche, e per esse si affida tanto agli occhi quanto alle labbra e al linguaggio del corpo. Il risultato sono figure dalla forte carica empatica che riescono a comunicare il proprio stato d’animo senza bisogno di parole superflue. Se in altre prove del disegnatore emergeva una tendenza a caratterizzare i volti fino quasi al caricaturale, qui l’incidenza è ridotta al minimo, dimostrando così la sua duttilità.
95La ricerca di una maggiore pulizia nel segno necessaria per accogliere il colore – uno stile distante dai tratteggi e dalle ombre per esempio dell’albo Mexican Standoff (Le Storie #9, testi Diego Cajelli) – risulta estremamente adatto alle matite sottili del disegnatore e ad alleggerire la resa delle tavole che risultano così ancora più dirette e leggibili.

Il lavoro delle coloriste integra perfettamente tra loro disegni e testi, sottolineando la cappa grigia che sovrasta l’ambiente arido attorno ai personaggi, il calore e l’intensità delle fiamme e soprattutto comunicando elementi importanti nell’identificare i cambi di scena e l’atmosfera di ognuna. L’esempio più evidente di questa cura si può leggere nel finale, quando i protagonisti si trovano a lottare divisi e le pagine alternano la narrazione passando da uno scenario all’altro: i toni azzurri accompagnano Seba e Nuè alla scoperta dei segreti più sordidi dei loro carcerieri, il verde segue la fuga dal sapore lisergico di Ringo e il giallo esalta la figura di Rosa, sottolineandole la fierezza e la sensualità di fronte a chi vorrebbe usarla per i propri deliranti scopi.

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Conclusioni

Un albo tra i più importanti pubblicati negli ultimi anni da Sergio Bonelli Editore e probabilmente il punto più alto della serie ideata da Roberto Recchioni ed Emiliano Mammucari. Un albo che riesce a combinare una storia avvincente e matura a soluzioni artistiche importanti e coraggiose.

Abbiamo parlato di:
Orfani: Ringo #9 – Tabula rasa
Mauro Uzzeo, Matteo Cremona
Sergio Bonelli Editore – giugno 2014
98 pagine, brossurato, colori – € 4,50
ISSN: 977228330200350021

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