Ieri sera, 25 ottobre 2016, nella fredda Edimburgo, mia attuale città di residenza, ho avuto l’occasione di vedere in anteprima Imax (è importante sottolinearlo e dopo capirete perché) il film di Doctor Strange. Avrei voluto scrivere una recensione approfondita, in cui analizzavo anche parallelismi con il fumetto e offrivo nuovi spunti sia per lettori affezionati che per coloro che si stanno avvicinando a questo personaggio (grazie anche alle ristampe Panini reperibili in edicola). Avevo anche in mente di fare un bilancio di questa ultima fase cinematografica dell’universo Marvel, ma un volo di 8 ore complessive con tanto di ritardo per maltempo non mi ha permesso di mettere agevolmente in atto tutti i miei progetti, non senza l’occhio di Agamotto.
Perciò, andrò ad analizzare il film in sé, e mi scuso per la limitatezza delle osservazioni.
L’origine dello Stregone Supremo ricalca esattamente quella del fumetto: Stephen Strange è un chirurgo geniale e di immenso successo, ma dall’ego ipertrofico ed arrogante. Un incidente gli causa la perdita di numerose connessioni nervose nelle mani. Niente più sensibilità manuale e fine della luminosa carriera.
Disperato, Strange arriva a rivolgersi alla medicina orientale e si reca a Katmandu, nella speranza di una guarigione. Incontra quindi l’Antico, personaggio enigmatico che gli apre le porte della percezione e delle migliaia di universi che coesistono attraverso le dimensioni. Accanto alle meraviglie, nel buio interdimensionale giacciono pericoli e minacce.
Da qui in poi la trama si dipana in modo rapido e dinamico, restando comunque abbastanza chiara anche a chi non ha mai letto il fumetto, grazie a una sceneggiatura solida e ritmata che riesce a mantenersi coerente per l’intero film. La struttura ricalca quella classica di una storia d’avventura, con i suoi crismi atavici che possiamo ritrovare anche nelle fiabe: ostacolo, chiamata all’azione, scoperta delle proprie capacità e uso degli oggetti magici, confronto con l’antagonista, elevazione del protagonista.
Si ha la sensazione di perdere molte informazioni, vista la mole di storia e concetti che albergano dietro Doctor Strange e la sua personale mitologia, ma data la compressione cinematografica ritengo fosse piuttosto difficile dare il giusto approfondimento a tutto. Se i personaggi di contorno restano bidimensionali (in particolare Kaecilius, di cui non arriviamo mai ad apprezzare pienamente il passato) le nozioni principali utili alla comprensione di questo preciso universo filmico ci vengono offerte tutte.
Il senso di epicità che ci si aspetterebbe da un cine comic è palpabile e ben costruito, grazie anche a un sapiente uso della colonna sonora. Essendo questo un pezzo personale, posso anche sbilanciarmi sulla parte attoriale per dire che Benedict Cumberbatch sembra nato per questo ruolo, e ci offre un ottimo Stephen Strange, che resta in buon equilibrio anche con le buone prove degli altri comprimari (Tilda Swinton, Chiwetel Ejfior e Mads Mikkelsen).
La parte visiva riveste certamente il ruolo più importante, e qui torniamo all’Imax e in generale al 3D. Il film è studiato per essere goduto appieno proprio in 3D, senza comunque risultare stancante per gli occhi. La trama mette in campo numerosi poteri nuovi, molto più “spirituali” rispetto alle “botte” viste in Capitan America: Civil War, e riesce a sfruttarli tutti senza mai ripetersi.
Se molti avevano pensato a Inception nella sequenza delle città che roteano su se stesse, vi avviso che è solo una minima parte del trionfo visivo che vi troverete davanti, che resta ben fedele all’idea surreale che aveva Ditko del personaggio quando lo ha creato assieme a Stan Lee.
I rimandi pittorici e le suggestioni sono numerose e interamente godibili (richiamando anche il viaggio molecolare visto in Ant Man), in un climax inarrestabile.