Small is better? Ant-Man and the Wasp

Small is better? Ant-Man and the Wasp

Abbiamo visto in anteprima stampa “Ant-Man and the Wasp”, nuovo film dei Marvel Studios e sequel del primo “Ant-Man”, che non eguaglia la piacevolezza del capostipite a causa di una trama dispersiva.

Quando nel 2015 uscì per i Marvel Studios Ant-Man, i presupposti non erano dei più rosei: la produzione del film si era rivelata travagliata per l’allontanamento del regista Edgar Wright, che aveva già posto anche le basi della sceneggiatura, e con un conseguente cambio in corsa per la struttura del progetto. Il risultato fu invece di tutto rispetto: un’action comedy all’americana che mixava gli elementi classici del genere con spruzzate di fanta-tecnologia e con i capisaldi narrativi delle origini di un supereroe, fondendosi nella parte centrale anche con influenze da spy-story piuttosto riuscite. Una contaminazione multipla che portò a una pellicola piacevole e capace di differenziarsi dalle altre dello studio.
Ant-Man and the Wasp, il sequel che uscirà in Italia dal 14 agosto2018 , non riesce purtroppo a porsi sulla stessa scia, nonostante alcune buone idee.

Troppe trame

Uno dei principali difetti del film diretto da Peyton Reed è la presenza di troppe side-stories complementari.

La trama principale – la più interessante – si concentra sulla missione di recupero della moglie di Hank Pym, primo Ant-Man e mentore del protagonista Scott Lang nel primo film. Nella pellicola del 2015 avevamo appreso che molti anni prima la donna si era rimpicciolita fino al livello subatomico durante un’operazione militare condotta insieme al marito, smarrendosi nel mondo dell’infinitamente piccolo dal quale sembrava non esserci possibilità di ritorno. Almeno fino ad ora, dato che Hank e sua figlia Hope pensano di aver messo a punto la tecnologia necessaria all’impresa.

I vari passaggi, i dispositivi da recuperare e le difficoltà per arrivare a questo risultato costituiscono la principale attrattiva del film, anche grazie al fascino esercitato dal concetto stesso di regno quantico subatomico e ai combattimenti che devono affrontare insieme Scott e Hope, la quale riveste ora anche l’identità di Wasp indossando a sua volta una tuta che le permette di rimpicciolire e volare.

Interessante e ben gestito è il rapporto che si instaura tra Hank, Hope e Scott, con quest’ultimo disprezzato dagli altri due per via della sua partecipazione alla Civil War dell’omonimo film, che ha mostrato al mondo la tecnologia di Pym e costretto padre e figlia alla clandestinità. Le dinamiche relazionali appaiono in questo modo meno scontate rispetto a quelle di un team affiatato, e Michael Douglas è abile nel far trasparire il carattere scontroso e poco malleabile di Hank.

A questa narrazione si affianca la storia di Ava, ragazza che a seguito di un esperimento finito male è molecolarmente instabile, con consistenza e proprietà simili a quelle di un fantasma: per cercare di cambiare questo stato cerca di succhiare l’energia subatomica dal macchinario costruito da Hank per salvare la moglie, mettendo così a rischio la sua missione di recupero.
Potendo dedicare a questo spunto solo una parte del film, però, l’idea appare più che altro un pretesto per avere qualcosa di simile a un super-cattivo da contrapporre ai protagonisti. Il personaggio non coinvolge e non incide, offre solo la possibilità di vedere alcuni bei combattimenti.

Ancora più superflua appare la sottotrama del ricettatore di tecnologia che tenta in tutti i modi di impossessarsi dei macchinari e del laboratorio di Pym. Caratterizzato come una macchietta, non a caso appare spesso insieme ai tre amici di Scott sfruttati come spalle comiche, e non aggiunge nulla allo sviluppo del film se non qualche intermezzo ironico poco riuscito e francamente evitabile. A questo proposito si evidenzia infatti che l’umorismo funziona meno rispetto al primo film, con diverse battute annacquate che perdono quindi efficacia.

Infine, anche le parentesi di vita famigliare di Scott, tra gli arresti domiciliari e il rapporto con la figlia Cassie (adorabile nella caratterizzazione e nell’interpretazione della giovane Abby Ryder Fortson), per quanto utili a mantenere la parte più umana della storia, inframmezzano troppo lo sviluppo narrativo.

La difficoltà nel tenere uniti questi fili in un insieme coeso si nota in più passaggi nei primi due atti, e costituisce il principale deficit del film.

Il terzo atto

I punti a favore della pellicola sono indubbiamente nei due protagonisti e in quanto accade negli ultimi venti minuti.
Lo Scott Lang di Paul Rudd rimane un buon personaggio, simpatico il giusto e vagamente cialtrone; l’attore caratterizza un protagonista non sopra le righe come un Peter Quill ma sufficientemente leggero per reggere la parte, valido sia in abiti civili che con il costume da Ant-Man. La vera rivelazione è Hope/Wasp, che come suggerisce il titolo è co-protagonista a tutti gli effetti e in alcuni momenti è definitivamente al centro dell’azione. Evangeline Lilly approfondisce un personaggio che in Ant-Man faceva intuire potenzialità che non venivano sfruttate appieno, e le dà un taglio action che funziona e regala bei momenti, sia in grandezza standard che ristretta.

Giocare con il cambio di dimensioni è il leit-motiv del film, in modo più massivo che nel capitolo precedente dedicato all’uomo formica: le gag si sprecano, tra insetti giganti, edifici che si riducono a trolley e macchinine giocattolo che diventano vere auto, anche se nella maggior parte dei casi si rivelano trovate poco brillanti.
Nel terzo atto della pellicola lo stratagemma viene però ben sfruttato in un inseguimento per le vie di San Francisco molto emozionante e costruito proprio utilizzando un susseguirsi di ingigantimenti e riduzioni dei due eroi e di diversi oggetti sulla strada, che offre alcune scene ben girate e in grado di intrigare lo spettatore e di coinvolgerlo nella corsa.
Appare poi visivamente stuzzicante, in questi concitati momenti, la contrapposizione voluta tra la visione fortemente urbana di questa caccia all’uomo e l’estetica psichedelica del regno quantico.

Film minore

Dopo l’epicità di Infinity War, era ovvio aspettarsi un prodotto con molte meno pretese, sia perché è normale voler riprendere fiato dalla moltitudine di avvenimenti del terzo Avengers sia perché Ant-Man stesso come eroe non si presta ad essere tra gli elementi di maggior spicco del pantheon supereroistico.
Sotto il profilo tecnico, gli effetti visivi sono nella media per questo tipo di produzioni, mentre il 3D appare perlopiù superfluo, nonostante il senso di profondità sia reso in modo convincente.
In attesa di capire se e quanto il micromondo subatomico possa avere un ruolo nella trama orizzontale del Marvel Cinematic Universe, Ant-Man and the Wasp rimane un film minore, che si pone nella fascia bassa delle produzioni Marvel Studios: un passo indietro rispetto al buon capitolo iniziale della serie, che contiene una mitologia affascinante e alcune idee molto buone che non è riuscito a gestire nel modo migliore, ottenendo un prodotto poco incisivo, un po’ pasticciato nello sviluppo e che scivola addosso in maniera piuttosto indolore.

Abbiamo parlato di:
Ant-Man and the Wasp
Sceneggiatura di Chris McKenna, Erik Sommers, Andrew Barrer, Gabriel Ferrari, Paul Rudd
Regia di Peyton Reed
Interpreti: Paul Rudd, Evangeline Lilly, Michael Peña, Michael Douglas, Michelle Pfeiffer, Judy Greer, Laurence Fishburne, T.I., David Dastmalchian, Randall Park, Goran Kostic, Walton Goggins, Hannah John-Kamen, Bobby Cannavale, Abby Ryder Fortson
Marvel Studios, agosto 2018
Durata: 118 minuti

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