Avengers uniti: Endgame e il punto di non ritorno

Avengers uniti: Endgame e il punto di non ritorno

Dopo undici anni di pellicole e di successi di pubblico, con "Avengers: Endgame" finisce un’epopea cinematografica che, probabilmente, non avrà eguali. La nostra recensione senza spoiler dell'ultimo film del Marvel Cinematic Universe.

In un certo senso mi sento fortunato. Fortunato di esser stato in sala a vedere Iron Man nel 2008 e in seguito praticamente tutti gli altri film del Marvel Cinematic Universe fino a questo Avengers: Endgame. Fortunato per averli visti uno per volta, a distanza di tempo uno dall’altro, per aver avuto il tempo di metabolizzarli e di stupirmi per la creazione di un unico universo condiviso capace di ricreare su schermo quello che su carta era una prassi di vecchia data; una operazione che appariva difficilmente replicabile su un media la cui struttura si presta meno alla serialità propriamente detta, più adatta piuttosto alle produzioni per la televisione.

Invece, con la fine di questa Fase 3 della linea narrativa coordinata dal guru Kevin Feige, si porta a compimento un’epopea che non ha precedenti nella storia cinematografica e, forse e al di là del proseguimento del MCU, non avrà seguito. Nelle tre lunghe ore del terzo film dedicato ai Vendicatori non solo compaiono tutti i personaggi che hanno popolato undici anni di film, ma non mancano riferimenti anche ai peggiori di questi episodi  (Thor: The Dark World, sto parlando di te!) e ci si rende conto della compattezza del progetto, che ha fornito una visione unificante sia alla costruzione dei singoli racconti sia al trattamento dei personaggi.

Un lavoro importante di scrittura che ha approfittato del poter considerare ogni film come un piccolo tassello di un quadro generale e che ha valorizzato e offerto spazio a un numero impressionante di personaggi, dai più rappresentativi e protagonisti di più pellicole fino a quelli che non hanno mai avuto un film in solitaria. E quanto sia stato importante questo conoscere gradualmente e con lentezza questi personaggi, lo si avverte dalle reazioni in sala e, in particolare, dalla differenza di enfasi e di pathos che dà l’entrata in scena dell’ultima arrivata, quel Capitan Marvel che non ha avuto ancora il tempo non solo per esser conosciuta dal pubblico, ma soprattutto per sviluppare un rapporto con gli altri personaggi e mostrarsi in base a questa relazione fallibile e, quindi, più vicina.

Perché il non essere infallibili, tanto quanto il saper rialzarsi e sfidare l’impossibile, può essere uno dei messaggi più abusati eppure più forti dell’intero MCU fino a oggi e in fondo è tale è anche in questo caso.

Avengers: Endgame è un film dal ritmo ondivago, che inizia con un susseguirsi di eventi traumaticamente veloce per poi rallentare vistosamente in un anticlimax inaspettato, concedendo un certo respiro ai personaggi, passando poi a una parte più strettamente avventurosa che sfocia in un crescendo pieno di epica e termina infine con ritmi nuovamente più blandi, in un’atmosfera da calma dopo la tempesta.
E se questi cambiamenti di registro e ritmo rischiano di lasciare un poco spiazzati, se i tanti snodi che costellano la pellicola e la gestione di tanti personaggi rischia di frastornare un poco, è proprio grazie alla gestione del tempo che i fratelli Anthony e Joe Russo riescono a tenere tutto insieme, concedendo a tanti dei protagonisti di questi undici anni la giusta battuta o il momento topico che il pubblico aspettava.

Analizzando Avengers: Endgame si possono trovare difetti comuni a gran parte delle pellicole del MCU: effetti speciali lontani dall’eccellenza, una regia funzionale ma poco incisiva, una colonna sonora piuttosto anonima, momenti di alleggerimento a volte efficaci ma altri forzati, una messa in scena generale non ricca quanto avrebbe potuto essere – e che ha portato molti a paragonarli con i serial TV più che con il cinema.
Ancora, la risoluzione della vicenda, iniziata con Avengers: Infinity War, può risultare in fin dei conti scontata e costellata di scene che vanno nella direzione di “dare al pubblico ciò che vuole” solleticando e confortando il gusto dello spettatore, attraverso una lettura sostanzialmente convenzionale dell’immaginario supereroico. Eppure, come altre pellicole non esenti da difetti e, continuando con il parallelo, come tutta la gestione del MCU fino a oggi, il risultato finale risulta migliore della somma delle sue componenti.

Da oggi in poi (anzi, dalla Fase 4 che inizierà dopo l’uscita di Spider-Man: Far from home), il franchise sarà chiamato a cambiare volto, a rinnovarsi, perché alla fine del film la prima impressione è veramente che lo spettatore sia messo di fronte alla fine di un’era. E non tanto, o non solo, perché alcuni personaggi lasceranno le scene, altri saranno chiamati a un cambiamento di status o costretti a maturare e ad affrontare nuove sfide, ma soprattutto perché una tale alchimia di attori, di storia, di eroi capaci di interagire tra loro lungo questo arco di tempo sembra davvero irripetibile. E forse è giusto così.

Giusto che il cinema non viva di eterni ricicli come avviene nei fumetti, giusto che rinunci alla lusinga del “che tutto cambi perché nulla cambi”, giusto salutare quello che è stato per abbracciare con curiosità quello che sarà, aspettando qualcosa di nuovo, di diverso e andando verso direzioni ancora più lontane da quelle del materiale fumettistico originario per creare un immaginario indipendente, parallelo.

Giusto aspettarsi un futuro pieno di Meraviglie.

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