
Il sentimento principale che Parker ha sempre provato nella sua vita è il senso di colpa. Peter si sente in colpa per la morte di Zio Ben, per mettere in pericolo Zia May e MJ, per non riuscire ad essere sempre l’uomo che vorrebbe. Ne Il Regno questo senso di colpa è quadruplicato dalla morte di MJ, dalla caduta della sua amata New York sotto un regime dittatoriale, dalla sua inettitudine e incompetenza a svolgere qualsiasi lavoro e quindi a vivere e a far vivere la moglie (che lui vede ancora) in condizioni abbienti, e dalla vecchiaia. La vecchiaia che gli porta in dote anche la rabbia. Peter non può fare a meno di sentirsi in colpa, ma è stanco di esserlo. E allora giù urlacci contro il fantasma di MJ che non gli risponde, quando lui gli parla, giù un pugno a Jameson (da quanto volevamo vedere questa scena?). E allora preferirebbe morire, come cerca di fare nella battaglia finale contro il Venom più cattivo mai visto, come quando cerca di abbandonarsi nelle spire di un Dottor Octopus ormai ridotto uno scheletro, che invece lo salva, quando lui si era cullato nella speranza di rivedere MJ.
Ma la rabbia è anche un aiuto per fargli combattere la dittatura, il Regno del titolo. E allora, grazie anche al suo vecchio capo e “nemico” J. J. Jameson e a una ragazzina testarda, che ricorda la Carrie-Robin creata da Miller per il suo DK, che si rivelerà la figlia mai conosciuta dal padre dell’Uomo-Sabbia, Peter batte Venom e torna a fare il suo vecchio lavoro, l’Uomo Ragno, per un finale inaspettato e stranamente confortante, viste le premesse precedentemente costruite da Andrews. Andrews, oltre ai soliti leitmotiv del rapinatore non fermato da Peter che uccise Zio Ben, inserisce un nuovo motivo di dolore che il comportamento di Peter ha provocato a sua Zia May: l’abbandono della casa dove abitavano insieme per andare a vivere con la consorte. Può sembrare una frase buttata lì così, ma nello scontro con il vecchio nemico Kraven, contro Peter si parano le sue più recondite paure. E la frase di Zia May inserisce un nuovo argomento di discussione, poco o per nulla analizzato fino ad oggi. In definitiva, un soggetto non originale, ma ben sviluppato, una lettura che potrebbe essere pesante ma che invece Andrews rende gradevole, ma anche sofferta, addirittura commossa e commovente in certi punti.
Al termine della lettura, non vedo quindi un plagio di DK in Spider-Man: Reign. Solo un tentativo di emulare una grandissima storia: a chi non piacerebbe guardare nel futuro del nostro personaggio preferito? Kaare Andrews ne ha avuto l’opportunità. E se Frank Miller è stato il migliore nel creare una storia da questa premessa, qual è la vergogna nel cercare di imitarlo?

La parte grafica merita un discorso a parte, e se la storia è gradevole il tratto di Andrews non è sicuramente da meno. Anzi forse è superiore e nasconde simbolismi forti. Se in DK l’immagine dell’anziano Bruce Wayne è forte, statuaria, Peter Parker del futuro è un vecchio mingherlino, fallito e fallimentare, solo e dimenticato da tutti (tranne che da Jameson, per il quale è un’ossessione). E questa è la differenza più grande tra le due opere: il protagonista. Un uomo deciso e decisivo Batman, indeciso e perennemente sull’orlo del baratro Spider-Man. E ad Andrews piace raffigurarlo anche graficamente così. Per il resto, giù il cappello, anche ai colori di Josè Villarubia che rendono l’atmosfera cupa e nerissima dei testi e dei disegni, tranne per quelle pagine completamente bianche che vogliono rappresentare le pagine più felici o più infelici della vita di Peter.
Abbiamo parlato di:
Spider-Man: Il Regno (Grandi Tesori Marvel)
Kaare Andrews
Traduzione di Pier Paolo Ronchetti
Panini Comics, aprile 2023
168 pagine, cartonato, colori – 30,00 €
ISBN: 9788828726661

