Sintomi del buio: il bestiario umano di Danilo Manzi

Sintomi del buio: il bestiario umano di Danilo Manzi

Hollow Press pubblica una raccolta di storie brevi di Danilo Manzi profondamente legata all’universo della sua precedente opera, "Infetto". In questi brevi e folgoranti episodi si susseguono i racconti di esseri umani malati, affetti da mutazioni corporali e mali psichici.

Danilo Manzi presenta con Hollow Press una raccolta di storie brevi, ognuna dedicata alla vita di un protagonista affetto da una deformazione genetica e da una nevrosi psichiatrica; un parco degli orrori fra gemelli siamesi, progeria, istinti autolesionisti, accumulo compulsivo e altro.
L’opera può essere idealmente collegata alla precedente
Infetto, di cui abbiamo già avuto modo di parlare, vista la vicinanza di tematiche che in Sintomi del buio vengono ulteriormente declinate.

La malattia: dentro è fuori

In Sintomi del buio la malattia interiore diviene manifesta, esteriore. Le nevrosi umane quotidiane e la patologia psichica segnano i corpi, li tramutano in abomini e non li differenziano perfino dalle creature più abiette: un ratto, di colore bianco candido, è fatto della stessa sostanza carnosa di uno dei protagonisti.

In una storia in particolare, Proteo, personaggi in apparenza schifati da una donna storpia risultano poi segretamente attratti sessualmente da essa e dal fascino della sua mutazione; il finto conflitto interiore si giustifica con la percezione, e relativa piacevole scoperta, del cortocircuito dell’esistenza di quella donna, segno di un errore della natura: una natura che nasconde un’imperfezione cieca sotto l’apparente patina di simmetria, fatta di sezioni auree e sequenze di Fibonacci, mostrando così la sua reale essenza matrigna.

Avendo coscienza di ciò, i protagonisti sono spinti da una totale vocazione all’autodistruzione che è – in una parola utilizzata dall’autore come monito – “inevitabile”.
Solo nel finale viene mostrata la vera realtà, ovvero che la deformazione riguarda tutti gli esseri umani, indistintamente: un’intera folla di storpi che cammina per strada, alcuni assorti sugli smartphone, altri persi in vacui sguardi orrorifici ed espressioni fintamente felici, gesti inutili e privi di volontà.

La malattia è ormai evidente, ed è un moto che parte dall’interno e spinge verso l’esterno, facendo gonfiare, implodere e collassare le ossa e la carne; tuttavia nessuno ha il tempo o il coraggio di vederla, di alzare lo sguardo e dare attenzione alla persona che gli passa accanto.

Il male congenito: il trucco dell’eternità

Rispetto a Infetto, la precedente opera di Manzi, la concezione è molto cambiata: se la rinascita (simboleggiata dal protagonista Saturno) e il tentativo di ribellione, seppur forse vano, erano gli elementi cardine, in Sintomi del buio l’immobilismo regna incontrastato.

La malattia non è più un credo religioso o un’infezione, una miriade di minuscole pustole che si propagano di corpo in corpo per trasmissione; la malattia ora è congenita, riguarda chiunque sin dalla nascita, e affligge i personaggi senza alcuna speranza di redenzione.

È una sorta di peccato originale, una nevrosi presente in maniera evidente persino nel neonato protagonista di una storia. Anche i sentimenti più genuini, come l’affetto di una madre, sono ormai corrotti dalla mutazione.

Se in Infetto l’elemento visivo ricorrente era una sorta di texture puntinista, qui è l’iride nera e vuota di un occhio, un abisso buio su cui spesso indugiano le vignette.

I sintomi sono dunque evidenti, ma cos’è il Buio da cui scaturiscono e a cui il titolo fa riferimento? Il buio è il nulla e i sintomi sono le sue rovine, un presagio, ma anche una catarsi dell’autore.

Nella sua The Waste Land Thomas S. Eliot scrisse: “Con questi frammenti io ho puntellato le mie rovine”. La malattia è l’inganno dell’esistenza dell’eternità, che da questi segni mostra il trucco.

La morte come eterna presenza individuale

La madre morta, E. Schiele (1910)

Il senso di disfacimento che circonda questi racconti non può però essere racchiuso semplicemente nel solo concetto di Nulla.

In una delle sue opere più celebri, La madre morta, Egon Schiele dipinge una donna con un bambino (vivo) in grembo avvolto in una sindone, nera come a lutto.
Schiele, in tutta la sua dolorosa potenza, mostra come l’esistenza porta in sé la sua fine sin dalla nascita. Tutto ciò che è vivo è allo stesso tempo morto, e il nascituro esiste per morire.

Manzi, come Schiele, non intende più la morte come un’entità esterna dal sé, una tappa finale visibile in uno scheletro altrui, ma la vede già completamente compiuta dentro l’essere umano, nel proprio corpo “vivo”. 
È questo il buio di cui entrambi gli autori dipingono i sintomi congeniti: l’uomo è morte incarnata, e la morte si esibisce nell’atto di esistere.

La morte come eterna presenza sociale

Su questa concezione universale ma al contempo individuale, Manzi innesta anche un altro elemento: l’essenza dell’uomo di animale sociale. Il morbo non è insito esclusivamente nell’individuo in quanto tale, ma anche nella sua socialità.

Il buio infatti non inghiotte solo la vita stessa, ma anche e soprattutto i rapporti e le relazioni che l’essere umano edifica per la sua organizzazione e sopravvivenza.
Thanatos, la pulsione di morte di matrice freudiana, già così evidente in Infetto, consiste in vari meccanismi, fra tutti una pulsione in particolare: la coazione a ripetere.

Il sintomo nevrotico del trauma rimosso viene ripetuto anziché essere ricordato: si ripete per non ricordare, in un circolo vizioso. Tale reiterazione è atemporale, una tendenza inesauribile e mai appagabile che si impone alla volontà, risolvibile soltanto attraverso il ricordo cosciente del fatto che la causa.

Occorre dunque ricordare per impedire che gli “errori” accadano di nuovo. Ma in un contesto in cui la nevrosi è ormai collettiva, il ciclo quotidiano dell’esperienza traumatica viene reiterato per assuefarsi sempre più ad esso e soffrirne meno. In questo modo diviene impossibile uscire da una rete le cui maglie si stringono sempre più attorno a un soggetto per il quale le relazioni sociali non fanno altro che amplificare un circolo stagnante.

Evoluzioni stilistiche

Il segno di Manzi è divenuto in questa raccolta ancora più sicuro e maturo: le sue matite piene sembrano stendere sulla pagina, attraverso la grafite, una sorta di fluido viscoso e liquamoso con particelle in sospensione. 
La texture dei disegni, dagli sfondi ai personaggi, pare costituita da cellule, un tessuto vivo ma malato, come se il fumetto fosse scritto su uno strato di epitelio.
Le tavole, mai frammentate in un eccesso di riquadri, mostrano una predilezione per vignette ampie, e – nonostante ciò – per un meticoloso indugio su gesti, movimenti e particolari. 

Con questa raccolta di storie brevi Danilo Manzi delinea un esplosivo, terrificante e nichilista bestiario dell’intera razza umana, senza alcuna possibilità di redenzione: un incrocio fra i Fatti inquietanti e Il Libro dei mostri di J. Rodolfo Wilcock.

Abbiamo parlato di:
Sintomi del buio
Danilo Manzi
Hollow Press, ottobre 2018
64 pagine, brossurato, bianco e nero – 12,00 €
Acquistabile su hollow-press.net/products/sintomi-del-buio

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