Infetto di Manzi: la sfida moderna di eros e thanatos

Infetto di Manzi: la sfida moderna di eros e thanatos

Danilo Manzi esordisce con Infetto, opera che tratta di mali moderni e irrimediabili e di come col sacrifico possano essere inspiegabilmente vinti.

Infetto di Danilo Manzi, edito da Hollow Press, è la storia di Saturno Cotard, un normale fallito sommerso dai debiti, proprietario di un piccolo e pulcioso bar, che conduce una vita opprimente e ha patito una difficile situazione familiare.
Saturno non ha mai conosciuto davvero sua madre, probabilmente l’ha persa da piccolo; non l’ha conosciuta in ciò che conta, nelle sue passioni, in ciò che davvero la definiva. Ha però memoria della sua enorme tenerezza e del suo calore materno, al cui ricordo si aggrappa come unica salvezza.
Afflitto da un giorno all’altro da una strana malattia che causa dei puntini scuri sulla pelle, Saturno si avvicina ad una setta segreta che promette di aiutarlo a convivere col morbo, sfruttando la malattia stessa per ottenere fama e ricchezza.

Oppressione liquida

Le chiavi di lettura dell’opera sono stratificate e colme di simbologie, Manzi si prende il grande rischio di raccontare una storia difficile che mette alla prova il lettore, lo costringe ad un esame di coscienza, senza mai tendergli la mano per aiuti o scorciatoie.
Infetto è una storia profondamente moderna, o meglio, postmoderna.

L’autore parla di un male silente che ha contagiato tutti, una malattia paralizzante che porta ad alienarsi, a rinunciare a qualsiasi sogno, ad appiattirsi l’uno sull’altro e ad annichilire ogni forma di protesta o ribellione.

Tutti i personaggi principali di Infetto rinunciano infatti alla propria identità, staccando il cervello, abbandonando ogni tipo di riflessione etica e immergendosi totalmente nella malattia: un parassita senziente, una vera e propria seconda personalità che li porta al successo.
La ricerca della propria identità, e l’abbandono di qualsiasi manifestazione peculiare del carattere o spinta di vita, costituiscono dunque il fulcro dell’opera.

Ciò che colpisce di più tuttavia sono le atmosfere rarefatte, delle sensazioni che difficilmente si scrollano di dosso, un misto fra la cieca e immotivata paura che aleggia in molte delle opere di Thomas Pynchon, fino ad una poderosa e kafkiana percezione di una giustizia superiore che condanna i personaggi ad una ansiogena, ingiustificata – ma in apparenza democratica e conveniente – prigionia.

Costantemente durante la narrazione si percepisce l’esistenza di qualcosa di ambiguo ed opprimente, una forza immateriale che osserva e determina sadicamente ogni mossa dei personaggi.

Potremmo dire che buona parte del racconto sembra essere uno di spionaggio delle vite dei protagonisti, dalla prima parte nel bar ripresa dalla telecamera di un inconsapevole amico di Saturno, alle videocamere installate in ogni angolo della sede della setta – a cui nessuno sembra far caso, tanta è l’assuefazione alla loro presenza –, fino ad un televisore in sottofondo che viene mostrato durante un flashback sull’infanzia del protagonista, e che risulta profetico nel dichiarare questa sorta di determinismo autoimposto:

“Guarda, guarda là. C’è un gruppetto di mutanti. Li ho visti però sono ancora assai distanti”.

A far ancora più paura è la contiguità grafica con cui Manzi rappresenta le videocamere di sorveglianza e i puntini della malattia, che sommergono ogni parte dei corpi, vero e proprio leitmotiv grafico dell’opera: questi sembrano essere fatti della stessa sostanza delle videocamere, anch’esse costellate di puntini nell’obiettivo.

Saturno è resistenza: eros e thanatos

È in questa situazione che si innesta la figura del protagonista, un fallito che però nasconde, miracolosamente, una forza sovversiva.
Saturno Cotard è l’uomo della redenzione sin dal suo nome, un ossimoro vivente che ha in sé due anime antinomiche e si eleva ad archetipo: è al tempo stesso Cotard (thanatos, morte), come l’omonima patologia, la sindrome di Cotard o delirio di negazione, una rarissima alterazione nervosa che induce il malato a credere di essere morto, di mancare di alcune parti del proprio corpo e di essere dannato eternamente; dall’altro lato è la divinità romana Saturno (eros, pulsione di vita), il nume simboleggiato dai compedes1 tipici degli schiavi.

Da qui deriva la festività dei Saturnalia che cadevano a dicembre, dies festus in cui cessava l’autorità di Giove (che garantiva l’ordine) e agli schiavi veniva concessa totale libertà, tanto da poter banchettare coi loro padroni ed essere addirittura serviti da questi. Il periodo dei Saturnali era dunque un momento in cui l’ordine e i ruoli venivano sovvertiti e le forme si confondevano, il tutto a propiziare l’avvento di un nuovo ordine, un cambiamento che avveniva alla fine dell’anno per far spazio a un ristorato periodo sacro che aveva inizio con l’anno nuovo: Ianuarius (gennaio, da Giano, il dio protettore delle porte, simboleggiante un passaggio, un nuovo inizio).

Saturno Cotard è dunque figura di resistenza, ed è infatti la sua redenzione a rendere sacra, quasi mitica, la sua presenza nel racconto, perché manda in tilt il microcosmo di certezze costruito dal Grande Malato (capo della setta), assieme alla figura di Beniamino, altro ribelle all’interno dell’ordine che è stato però sopraffatto ed arso vivo.
Nonostante la mediocrità a cui la vita lo ha relegato, nonostante chiunque gli dica che non ci sia scampo da quella malattia, che l’unica soluzione sia assuefarsi ed entrare sempre più in simbiosi con essa annullando il proprio io, Saturno si ribella e paga la libertà con la sua stessa carne, iniziando letteralmente a scorticarsi la pelle per eliminare il veleno.

L’immobilismo del malato affetto dalla sindrome di Cotard, la morte apparente, è del resto qualcosa a cui in fondo siamo ben avvezzi, un male moderno: la resa davanti alla apparente necessità dell’organizzazione sociale capitalista e del consumo, il credere che non possa ormai esistere nessun altro modello di convivenza su questo pianeta, hanno insite delle spinte conservative d’immutabilità.

È solo col sangue e dopo una quasi completa assuefazione che Saturno si redime, con uno sconvolgimento che prima che di contenuto è soprattutto di forma: Manzi lo rappresenta in maniera efficacissima, si passa dai fitti puntini neri della malattia che in precedenza invadevano tutto, ai candidi puntini bianchi di una purificante (ma sempre ambigua) nevicata nel finale.

Che cosa è mai un uomo?

Molte volte nel racconto si parla di fantomatiche “strade giuste”, scelte che costituirebbero la chiave di volta per una perfetta esistenza fatta con lo stampino, dell’impossibilità di sbagliare – una delle manifestazioni invece più squisitamente umane che esistano –, del non poter amare perché qualcuno ha deciso che si è “incompatibili”. È questo il patto faustiano con cui i personaggi scambiano la propria umanità con una fredda realizzazione.

Allora Infetto è soprattutto una storia attuale, una ricerca di se stessi e di cosa renda davvero tale un essere umano, una riflessione sulla possibilità di una convivenza etica fra uomini e con la natura (anch’essa ormai dall’aspetto malato), che rappresenta una presenza secondaria – ma fondamentale – nel racconto, e un’esaltazione del gesto sacrificale e dei sentimenti più genuini, dell’amore e anche dell’affetto materno, vere e proprie ancore di salvezza per il protagonista; un disperato grido di guerra contro l’infezione dell’omologazione, in cui la pluralità e la diversità sono perseguitate come corsare: la notte in cui tutte le vacche sono nere.

Si badi bene però: nonostante la svolta finale, l’autore non pretende di dare risposte, Saturno paga il suo intonso candore con la sofferenza fisica e probabilmente con la perdita della ragione, tanto che nell’ultima tragica battuta, novello Diogene,2 è ancora in cerca dell’uomo:

“Che cosa è mai un uomo?”.

Un malato puntinismo acromatico

Il tratto di Manzi è evanescente e minuzioso, le figure vagano fra le pagine comparendo come dai fondo di caffè fra gli ampi bianchi e i sapienti sfumati delle matite.
Non esistono chine o neri pesanti in questo fumetto, ma solo carboni e grafite, ombre, martoriate dal nevrotico e certosino puntinismo dell’infezione. Le composizioni sono ricche e gli sfondi, spesso a motivi geometrici, accrescono la sensazione alienante del narrato.
Nella gestione dei volti si nota una certa inesperienza dell’autore, è netta la differenza d’impatto fra i primi piani, curatissimi, e alcune vignette di passaggio in cui i visi dei personaggi diventano molto incerti, oltre all’utilizzo di un lettering in stampatello dalla resa altalenante, che meriterebbe una maggior cura formale.

Danilo Manzi non sembra un esordiente, è per questo che il suo fumetto appare sorprendente ed inatteso, e restituisce al lettore un racconto raffinato e complesso, una sorta di horror body pieno di simbolismi e dalle atmosfere opprimenti che segnano irrimediabilmente il ricordo, oltre a un segno grafico affascinante, ricco e corposo, che ricorda alla lontana l’uso dei bianchi di Dino Battaglia.
Un vero atto di coraggio, che porta avanti la personale concezione di fumetto dell’autore, senza esitazioni, e che per ciò merita di essere premiato.

Abbiamo parlato di:
Infetto
Danilo Manzi
Hollow Press, novembre 2017
168 pagine, brossurato, bianco e nero – 20,00 €


  1. Lacci o vincoli che caratterizzavano gli schiavi e che venivano spesso accompagnati nella rappresentazione della divinità. Venivano sciolti all’inizio della festa dei Saturnali 

  2. Diogene di Sinope: “Una volta uscì con una lanterna di giorno, e, alla domanda su che cosa stesse facendo, rispose: “cerco l’uomo!”. Egli cercava qualcuno che avesse le qualità che ci si aspetterebbe di trovare nell’uomo naturale, come spiegano, tra i tanti, Giovanni Reale e Dario Antiseri: “… (Diogene) voleva significare appunto questo: cerco l’uomo che vive secondo la sua più autentica natura, cerco l’uomo che, aldilà di tutte le esteriorità, le convenzioni o le regole imposte dalla società e aldilà dello stesso capriccio della sorte e della fortuna, ritrova la sua genuina natura, vive conformemente a essa e così è felice.” Tratto da Wikipedia 

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