Serpenti ciechi: la morte può attendere

Serpenti ciechi: la morte può attendere

Tunué pubblica "Serpenti ciechi" di Cava e Seguí, un fumetto nel quale le strade di New York conducono fin dentro le trincee della guerra spagnola.

Dopo aver portato in Italia Storie del Barrio, Tunué presenta un altro fumetto disegnato da Bartolomé Seguí: Serpenti ciechi. L’artista maiorchino nel 2009 ha vinto il Premio nazionale di fumetto proprio grazie a questo racconto scritto da Felipe Hernández Cava, ambientato principalmente a New York nel 1939.

La prima tavola è di grande impatto: senza riuscire a distinguerne i tratti somatici, seguiamo un individuo elegantemente vestito di rosso, mentre scende da un tetto e si inoltra nelle strade della Grande Mela, dichiarando, per mezzo di didascalie in prima persona dallo stile tipicamente noir, il proprio obiettivo: cerca Ben Koch per punirlo.
Cava allude da subito all’identità dell’uomo misterioso, ma la prima sequenza non è affatto sufficiente per risolvere l’enigma. Gli indizi sono distribuiti lungo tutta la storia, ma la rivelazione arriva solo nel finale, con lo stupore del lettore oppure con la dolce conferma delle supposizioni fatte.

Il narratore col borsalino, però, non è il personaggio principale né la sua identità costituisce l’unico motivo di interesse durante la lettura di Serpenti ciechi. Ben Koch, a cui è dedicata la maggior parte dei sette capitoli raccolti, è sia preda che cacciatore: deve riuscire a vendicarsi di Curtis Rusciano, uomo dai mille volti, prima che il suo persecutore lo raggiunga.

Per spiegare il rapporto tra Ben e Curtis, Cava riavvolge il nastro fino al 1936, cambiando lo scenario dagli Stati Uniti alla Spagna della Guerra Civile. Viene subito da pensare a No pasarán di Vittorio Giardino e l’opera illustrata da Seguí può, a tutti gli effetti, essere inserita nel novero dei fumetti ambientati durante i conflitti, nei quali a essere fondamentali sono le microstorie che emergono dal flusso della Storia. Oltre alle peregrinazioni di Max Fridman, si possono citare i tomi di Mattéo, Il rinvio e Il volo del corvo di Jean-Pierre Gibrat.

La vita nella trincea viene fotografata nitidamente grazie alle didascalie che riportano i pensieri di Ben. I ricordi toccano la paura, la speranza, la rassegnazione e perfino l’amicizia, nata negli intervalli tra la caduta delle bombe. Cinque tavole sono sufficienti per mostrare gli stati d’animo dei personaggi, non solo attraverso i gesti, ma soprattutto grazie ai testi, densi nel flusso di coscienza, secchi e agili nei dialoghi.


Non sempre la sceneggiatura prevede scambi di battute sintetici: talvolta la scrittura di Cava riecheggia le narrazioni di una certa produzione francese, in cui spicca il nome di Jean-Michel Charlier. Il mimetismo del parlato cede il passo a un registro più didascalico, utilizzato in prevalenza per spiegare il contesto politico. In questi casi, anche se lo svolgimento della trama rallenta e diventa più macchinoso, l’interesse del lettore non diminuisce drasticamente. In tal senso risulta fondamentale l’equilibrio creato nell’alternanza tra il presente e i flashback riferiti al 1936 e al 1938. Mentre il filone principale procede come se si trattasse di un’indagine da risolvere raccogliendo gli indizi e seguendo le piste, quello secondario indaga rapporti tra i personaggi.

Nelle interazioni, tutti i personaggi tengono l’interlocutore all’oscuro di qualche dettaglio, indossano delle maschere e diffidano degli altri. Ognuno sembra fare buon viso a cattivo gioco con una naturalezza sorprendente. In questo modo, non solo i protagonisti, ma anche i comprimari – dall’albergatore Red fino alla sospettosa moglie di Curtis – trasmettono carisma e paiono sfaccettati, pur con poche vignette a disposizione.

Per quanto riguarda la recitazione degli attori è sicuramente determinante il lavoro di Seguí, abile a trasporre nelle tavole la sceneggiatura di Cava. Il realismo è rintracciabile tanto negli ambienti quanto nei personaggi, con il naso di Red e la foggia di alcune capigliature che si segnalano come eccezioni. Prendendo in esame solamente la postura delle persone raffigurate, si può azzardare un paragone con Spirit di Will Eisner, fumetto seminale con cui Serpenti ciechi ha in comune lo scenario urbano di fine anni Trenta.

Con rarissime deroghe coincidenti con i picchi emozionali della storia, l’artista dispone numerosi riquadri di dimensioni medio-piccole lungo quattro strisce, senza sacrificare la cura per i dettagli e il dinamismo e alternando inquadrature larghe e strette. A beneficiare dei primi piani sono i volti espressivi e diversificati, accomunati solo dai contorni ben marcati. I colori corposi usati dallo stesso Seguí, tra i quali risaltano il rosso e l’arancio, accrescono il volume di corpi, oggetti e sfondi, amalgamandosi efficacemente col tratto spesso ma non grezzo.

Prodotto realizzato grazie all’evidente sinergia tra sceneggiatore e disegnatore, Serpenti ciechi è, quindi, una lettura interessante sia per quanto concerne gli elementi di fantasia, avvincenti e fluidi, che per gli inserti storici cuciti insieme alla trama principale.
La curiosità di scoprire sia l’identità dell’uomo in rosso che il movente di Ben vince sulla prolissità di alcuni momenti della scrittura, conducendo gli occhi appagati dalle matite verso un epilogo esaustivo e soddisfacente.

Abbiamo parlato di:
Serpenti ciechi
Felipe Hernández Cava, Bartolomé Seguí
Traduzione di Diego Fiocco
Tunué, novembre 2017
72 pagine, cartonato, colori – 14,90 €
ISBN: 9788867902484

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