È merito incontestabile dello sceneggiatore Mauro Boselli la naturalezza con la quale ha attinto ai moduli del linguaggio cinematografico e li ha trasferiti nel fumetto.
Boselli si avvale con particolare perizia di un espediente letterario dei film, utilizzato con economie anche più stringenti nei telefilm: quello del prologo. L’autore si serve dell’inserimento di un prologo all’inizio della storia per regalare all’avventura una ricca enfasi dalla quale, nella maggior parte dei casi, i diretti protagonisti sono esclusi. Nel momento del prologo l’azione è lentissima, il tempo-spazio è pressoché sospeso, incentrato in un luogo o su un elemento particolare dotato di particolare fascino o inquietudine, in attesa dell’evento travolgente (pauroso, orrorifico o violento) che darà origine all’azione vera e propria e che trascinerà il lettore e i protagonisti nel vortice degli accadimenti.
L’occhio del ciclone del prologo di questa avventura di Tex, che stiamo per raccontarvi, è in Arizona, sul Salt River Canyon, dove staziona pigramente il traghetto del vecchio Buzz. Ci soffermiamo su tali particolari perché abbiamo percepito, in queste pagine introduttive, un’altissima tonalità della modalità espressive di Boselli cui tiene perfettamente testa il tratto di Stefano Andreucci. Gli scenari sono tratteggiati con un’attenzione ai particolari anche minimi che va dagli stecchi rinsecchiti dei rami sino alle rughe dei singoli personaggi.
A questa generosità grafica, che investe le cose e i personaggi, fa riscontro adeguato il dettaglio interiore dei protagonisti, Buzz e il vecchio Corvo Giallo, di cui non conosciamo nulla eppure ne percepiamo le latitudini, le tendenze, le noie, le inclinazioni. La concitata cavalcata dei banditi di Jack Curtiss e la susseguente sparatoria di Tex Willer e Kit Carson, al loro inseguimento, sono i momenti fondanti da cui ha inizio l’azione scenica vera e propria. L’assassinio del vecchio indiano è, invece, il momento chiave, la cesura che chiude il prologo attribuendogli, al contempo, un nuovo senso, santificato da un sacro mistero. Tutto questo tourbillon di sensazioni, di emozioni e di informazioni viene espresso in poche tavole. Ma il fasto narrativo non si esaurisce qui. Sino alla fine del primo albo, Boselli continua a proporci personaggi di grosso spessore caratteriale che, se pure compaiono per poche pagine, coinvolgono senza riserve l’attenzione del lettore. Per non parlare poi della dottoressa Sarah Wyatt, bellissima, pura (apparentemente) e ammaliante, di cui si innamora (con gravi conseguenze) il buon Kit Willer.
Purtroppo lo spessore narrativo che aveva intriso la prima parte dell’avventura (coincidente con il primo albo: “Salt River“) si perde nella parte che si dipana nell’albo “Una donna in ostaggio“. La svolta è costituita dal personaggio di Sarah Wyatt, elemento che dapprima si presenta di grande originalità e suscita ottimo interesse: molto bella, tratti gentili ma autorevoli, carnagione chiara, chioma ramata (che diviene bionda nel secondo albo), Sarah appare come l’affascinante donna medico di Green City che non disdegna di prestare la propria opera presso una tribù di apache piuttosto malmessa. In questa veste caritatevole e filantropica, Sarah affascina il nostro Kit Willer, e anche i lettori non rimangono insensibili al suo incanto. Le speranze che Kit possa aver trovato una partner interessante cullano le illusioni del lettore ancora per poche tavole, sino a quando, cioè, un anonimo colpo con il calcio della pistola colpisce la nuca di Kit, incautamente introdottosi in una scuderia buia su invito della bella Sarah.
Mentre il lettore dotato di intuito appena normale capisce subito in quale razza di traditrice si sia imbattuto il povero Kit, questi, evidentemente oramai cotto dalla fattezze della sedicente dottoressa, ripresosi dal colpo, concede tutte le attenuanti alla sua bella e si ostina a credere alla storia, fatta propalare da Sarah medesima, che lei stessa sia ostaggio dei banditi. Sino a quando, decine e decine di pagine dopo, una seconda botta, sempre con il calcio della pistola, non toglie a Kit, oltre che la temporanea coscienza, anche tutte le illusioni sulla buone intenzioni della Wyatt.
Il repentino isterilirsi di una figura dalle grande potenzialità come quella di Sarah nello stereotipo della spia ingannatrice e moglie del capo banda Jack Curtiss, delude e non convince del tutto.
Come aggravante dello sceneggiatore c’è il fatto che il colpo di scena del tradimento, che pure poteva essere di qualche interesse, non sia stato preparato con sufficiente cura. La vera natura di Sarah emerge troppo repentinamente e distrugge quell’alone affascinante che nelle prime tavole aveva aleggiato sulle sue sembianze.
Egualmente, tutti gli spunti che ci avevano piacevolmente sorpresi nella prima parte dell’albo verranno ricondotti verso l’unico versante della caccia spietata di Tex e Carson al bandito Curtiss e sui tentativi di quest’ultimo di sottrarsi alla cattura. L’avventura rimane ricchissima di tributi non banali al cinema d’azione western (la crudeltà degli uomini della posse, l’assalto al treno…), ma piuttosto povera di contributi importanti per la definizione dello spessore dei personaggi. Kit, che da questa storia ne esce veramente maluccio, appare un povero zimbello indifeso nelle mani della femme fatale. Il figlioccio di Carson, storicamente, è la figura meno convincente e più spersonalizzata, non solo fra i quattro pard, ma dell’intero universo texiano. Schiacciato da un modello paterno troppo alto, Kit non ha mai avuto la possibilità di assumersi un proprio ruolo, una diversa tipicità. A volte relegato nel ruolo di modesto clone del padre, a volte addirittura dimenticato dagli sceneggiatori, il giovane Willer ha avuto pochissime occasioni per mettersi alla ribalta. Diciamo pure che uno degli autori che ha dato maggiori opportunità al figlio di Tex è stato Boselli stesso. La vicenda scaturita da Salt River poteva essere, dunque, un’occasione per collocare alla ribalta della storia il personaggio di Kit Willer. Lo sviluppo è stato invece un’ennesima conferma dei lati deboli del personaggio: ingenuità, impersonalità, sterile impetuosità, capricciosità.
Del tratto di Stefano Andreucci si è già detto. Esordisce con alcune tavole di altissima definizione. Genera linee infinite produttrici di ritratti dettagliatissimi, evidenzia personaggi che non si staccheranno tanto facilmente dagli occhi e dalla mente del lettore. Egualmente la definizione degli scenari è di altissimo livello. Quello che si nota è però una certa discontinuità della prova. Ribadisco: le tavole iniziali sono inappuntabili. Non è così per numerose parti del secondo albo, quando la linea perde i dettagli e diviene confusa e arzigogolata. In alcune soluzioni il dettaglio svanisce a favore di una veloce silhouette, sommariamente delineata. A volte si hanno spiacevoli sensazioni, come se l’autore sia stato forzato a concludere in fretta il lavoro a scapito dell’accuratezza (ma queste cose non succedono in casa Boneli, o no?). Sicuramente l’opera è stata lavorata in fasi diverse e probabilmente distanti nel tempo; solo così si può spiegare come a vignette tanto dettagliate da sembrare quasi degli intarsi perfetti, si contrappongano confusi gomitoli di linee frettolosamente dipanate.
Abbiamo parlato di:
Tex #627 – Salt River/Tex#628 – Una donna in ostaggio
Mauro Boselli, Stefano Andreucci
Sergio Bonelli Editore, gennaio/febbraio 2013
114 pagine, brossurati, bianco e nero – 2,90€