Saga, il capolavoro narrativo di Brian K. Vaughan tra macrostoria e microstoria

Saga, il capolavoro narrativo di Brian K. Vaughan tra macrostoria e microstoria

Ciò che rende "Saga" un fumetto di grande qualità è l'abilità del suo sceneggiatore, capace di far interagire e dialogare alla perfezione diversi piani narrativi, raccontando una delle avventure più avvincenti e ricche degli ultimi anni.

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Il secondo volume di Saga, edito da Bao Publishing, raccoglie gli episodi dal numero sette al numero dodici.
Questo volume conferma e accresce il giudizio positivo sull’ultima fatica di Brian K. Vaughan e Fiona Staples che in molti lettori si erano fatti dopo la lettura del primo volume.

Saga non è solo una delle più belle storie degli ultimi anni provenienti dal mercato statunitense, ma è anche una delle storie narrate meglio. Il soggetto è quanto c’è di più classico: una coppia di innamorati ostacolati in ogni modo, un tema tradotto in mille salse, da mille penne, alcune magnifiche (William Shakespeare, Romeo e Giuletta), altre decisamente meno (Federico Moccia, Tre metri sopra il cielo, per intenderci). Non è nel soggetto, nell’idea alla base, dunque, la bellezza di Saga, ma nel suo meccanismo narrativo e nella destrezza del suo autore.

Se volessimo affibbiare delle etichette a questo fumetto per catalogarlo, potremmo dire che è una Space Opera, un sci-fi con forti contaminazioni fantasy; due generi che condividono una caratteristica: l’esistenza di una Storia (con la esse maiuscola e nel senso più largo del termine) dietro la storia (questa volta con l’iniziale minuscola e nel senso di vicenda, insieme circoscritto di avvenimenti). In entrambi i generi elemento di grande appeal è il fatto che la vicenda si svolge sullo sfondo di un mondo più o meno diverso dal nostro ma altrettanto completo, con tanto di geografia, culture, religioni, mentalità, diversità etniche, miti, leggende, passato “storico”, linguaggi, rappresentazioni del mondo e chi più ne ha più ne metta.
Una Storia che il lettore può scoprire e che l’autore deve narrargli.

Landfall

Jeux d’échelle1

Ma come si narra la Storia? Tornando al nostro mondo, lo storico britannico Lawrence Stone2 tempo fa sostenne che ogni storico deve compiere una scelta: ricostruire e narrare la storia con la prospettiva del “paracadutista”, quindi col grandangolo, analizzando gli eventi nel lungo periodo, prendendo in esame macroaree, affrontando grandi temi, occupandosi in particolare della storia politica, economica o delle mentalità, cogliendo grandi tendenze, giungendo alla costruzione di grandi affreschi e all’elaborazione di modelli archetipici; oppure scegliere di adottare la prospettiva del “cercatore di tartufi”, quella microstorica3, che permette di guardare gli eventi da vicino, nel dettaglio, analizzando singolarità, vicende circoscritte nello spazio e nel tempo, restituendo il passato in una forma più viva, meno bidimensionale, con tutte le sue sfumature, contro il quale spesso deflagrano le costruzioni e i modelli della macrostoria.

Applicando questi concetti alla fiction, gli esempi sono numerosi e i confini tra macrostoria e microstoria divengono, in alcuni casi, labili. Una narrazione macrostorica è ad esempio quella di una delle pietre miliari della letteratura fantascientifica, le Cronache della galassia (o Prima Fondazione, 1951) di Isaac Asimov4, mentre sull’opposto versante gli esempi di narrazioni microstoriche sono innumerevoli: vicende delimitate nello spazio, nel tempo, nel numero di personaggi dove la “grande storia” è più o meno presente e incisiva.

L’abilità di Brian K. Vaughan è, invece, quella di far interagire e dialogare i due piani della narrazione: da un lato la macrostoria rappresentata dalla guerra tra il pianeta Landfall e il satellite Wreath, dalla cultura e la mentalità generate da esse, segnate dal pregiudizio, dal bellicismo, da una visione “nazionalista” e patriottarda della vita, dall’aspirazione alla prevaricazione razziale e l’annientamento del diverso; dall’altro la microstoria della fuga di Marko e Alana, contro la quale deflagrano gli assunti e le certezze della prima. Marko e Alana in realtà sono solo le due tessere più vistose di un più grande mosaico composto dalle decine di personaggi, mai monodimensionali e sempre complessi, che Vaughan è in grado di introdurre, delineare e profondamente caratterizzare con una manciata di frasi, un rapido flashback o una semplice espressione del viso.

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In questo secondo volume, ad esempio, pochi dialoghi e un paio di flashback (di cui uno parlato nella “lingua blu” e dunque incomprensibile al lettore) sono stati sufficienti allo sceneggiatore per presentarci il padre di Marko: genitore amorevole, che nelle sue ultime ore di vita è pronto a mettere in discussione convinzioni e ideologie che hanno dominato e guidato la sua intera esistenza.
Tante tessere che insieme compongono una macro-immagine costruita attraverso il ritmo serrato dell’avventura e il susseguirsi rocambolesco di colpi di scena e capovolgimenti, degni (per fare un esempio) della prima trilogia di Star Wars. Il palcoscenico della vicenda – lo spazio – è quanto mai grande, quanto mai vario e inusuale, scevro com’è da ogni rigidismo scientifico e intriso di elementi fantasy.

The old Lie: Dulce et decorum est pro patria mori 

My friend, you would not tell with such high zest
To children ardent for some desperate glory,
The old Lie; Dulce et Decorum est
Pro patria mori.
(
Amico mio, non ripeteresti con tanto compiaciuto fervore
a fanciulli ansiosi di farsi raccontare gesta disperate,
la vecchia Menzogna: Dulce et decorum est
pro patria mori.)
(Wilfred Owen, Poesie di guerra, a cura di Sergio Rufini, Einaudi, Torino, 1985)

war

Saga è un racconto di conflitti: personali, interpersonali, tra civiltà.
La guerra combattuta tra Landfall e Wreath è una guerra totale: priorità politica di entrambi i governi, coinvolge e bellicizza in ogni aspetto la vita dei due popoli combattenti. Il conflitto prende le vite di chi muore così come quelle di chi vive, impone la visione dell’altro (stereotipata, pregiudizievole, demonizzata, incentrata sull’odio), impone un’immagine di se stessa (teatro della virilità, del coraggio, luogo del trionfo del “bene”).

A Vaughan bastano poche sequenze per descrivere l’effetto totalizzante della guerra: un bambino portato su un campo intriso del sanguinoso ricordo di una battaglia, per imparare “a non dimenticare quelle merde malvagie con le ali”; un rapido battibecco sulla veridicità del contenuto dei libri di storia; la stessa spropositata reazione che il soldato Alana ha dopo la lettura di Fumo di notte, il “galeotto” libro del ciclopico scrittore Oswald Heist. Questo racconto della guerra non corrisponde all’esperienza di essa: la retorica, la propaganda e la rielaborazione pubblica e di massa del conflitto e del lutto vengono sopraffatte dall’esperienza concreta dell’individuo.

Pur nella sua finzione, Saga condivide con la lettaratura postbellica prodotta dopo la prima guerra mondiale, la prima terribile guerra totale della realtà, le stesse antinomie: Niente di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque (Im Westen nichts Neues, 1929), i componimenti dei poeti inglesi Wilfred Owen, Siegfried Sassoon, Robert Graves, Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu (1938), tanto per fare degli esempi. Questo secondo volume di Saga, in particolare, rende ancor più palese tale meccanismo: l’eroismo cede il passo al trauma e alla disperazione, il discorso virilista scopre la sua banalità, un contatto “vero” con il nemico, privato della sua divisa, riesce a vincere l’effetto alienante che la guerra totale porta con sé.

4wnuj7Il capitolo dodici che chiude il volume è esemplificativo del discorso sovrastante. L’incontro tra il Principe Robot IV e lo scrittore Heist mette l’uno di fronte all’altro due personaggi estremamente provati dal conflitto militare. La tragedia bellica ha suscitato, nei due personaggi, opposte reazioni: la caduta nel cinismo spietato per il primo, la scelta del pacifismo estremo nel secondo.

Il capitolo, inoltre, si apre con una splash page che mostra, tra l’altro, un rapporto orale omosessuale che giunge al termine nella pagina seguente. Per un iniziale divieto di distribuzione da parte di Comixology (dovuto a una sbagliata interpretazione delle norme dell’Apple Store), le due vignette hanno suscitato negli States un vivace dibattito che ha portato l’autore stesso a intervenire, spiegando che la scena non è una semplice provocazione ma è indispensabile ai fini narrativi. Forse, Vaughan intende toccare nei prossimi capitoli un altro tema caldo, quello dell’omosessualità nelle trincee tra commilitoni, fenomeno anche nella realtà tanto diffuso (i tre poeti inglesi sopra citati erano tutti omosessuali, ad esempio) quanto taciuto perché contrario al racconto mitico della guerra moderna.

Fiona Staples

Star dietro alla penna e all’immaginazione di Vaughan non dev’essere affatto semplice. Fiona Staples ci riesce in parte: l’inventiva nel creare l’enorme quantità di mostri e razze non le manca, riesce a passare da scene di pura azione e violenza a scene emotivamente più cariche, dove protagonisti sono i volti, le rughe, le occhiaie, gli occhi o i sorrisi. Tuttavia, troppo spesso alcuni dettagli vengono persi tra una vignetta e l’altra, i riferimenti spaziali sono poco precisi, inoltre, le prospettive non sempre funzionano, generando un senso di appiattimento e sovraffollamento della vignetta. Sembra, infine, più a suo agio con le fisionomie e i volti femminili rispetto a quelli maschili. Pur con questi limiti il lavoro della disegnatrice canadese è, però, godibile.

Abbiamo parlato di:
Saga – Volume due
Brian K. Vaughan, Fiona Staples
Bao Publishing, Luglio 2013
152 pagine, brossurato, colore – 14,00 €
ISBN: 9788865431696


  1. Jeux d’échelle (Giochi di scale) è il titolo di un famoso saggio dello storico francese Jacques Revel pubblicato, in Italia, nel 2006 dall’editore Viella 

  2. The Family, Sex and Marriage in England, 1500-1800, 1977 

  3. La microstoria è probabilmente il maggior contributo dato dagli storici italiani al dibattito storiografico mondiale nel corso del XX secolo. Padri della microstoria sono gli storici modernisti Carlo Ginzburg, Edoardo Grendi e Giovanni Levi. 

  4. In tale libro, ciò che interessa all’autore, più che le singole psicologie ed esperienze, sono le grandi “forze” che operano nella storia quali la religione, l’economia, la politica, la scienza e nel quale il modello narrativo è, non a caso, un classico del genere macrostorico, il settecentesco The History of the Decline and Fall of the Roman Empire di Edward Gibbon

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