La rosa sepolta è un fumetto che nasce molti anni fa. Ricordo bene di averlo seguito nella sua incarnazione online per poi perderlo di vista. Mi ha sorpreso ritrovarlo nuovamente ora, a distanza di tanti anni, e ho colto l’opportunità per intervistare i suoi due autori.
Potete presentarvi rapidamente ai nostri lettori?
Dunque, siamo una coppia, nel lavoro e nella vita, di ricercatori sociali: abbiamo lavorato nell’università facendo ricerca, scrivendo e insegnando. Dietro a questo onorevole (ma, ahinoi, precario) curriculum scientifico nascondiamo un’identità di fumettisti: nottetempo – tra una poppata e un cambio di pannolino (eh già, abbiamo anche due bimbe piccole) – sceneggiamo e disegniamo graphic novel, votando le nostre energie residue all’altare della nona arte.
Parlateci di come nasce La rosa sepolta.
La genesi de La rosa sepolta risale a parecchi anni fa. Con una certa esagerazione, si potrebbe dire che il fumetto è figlio delle tensioni degli anni ’90. In quel decennio sono scoppiati alcuni terribili conflitti armati, che hanno mostrato gli effetti devastanti che le guerre hanno sulle comunità e le persone: le guerre balcaniche in ex Jugoslavia, il genocidio in Rwanda… Eravamo studenti allora, ma vivevamo indirettamente questi eventi che hanno segnato lo “spirito del tempo” (basti pensare ad Appunti per una storia di guerra di Gipi, che indaga temi simili ai nostri). Naturalmente, non ci siamo messi intorno ad un tavolo per dire: “Bene, ora facciamo un romanzo a fumetti sulle conseguenze sociali della violenza.” É stata una messa a fuoco per gradi, un lavoro di definizione di personaggi e situazioni, ma il nucleo originario della storia nasce lì.
Il fumetto prende il via anni fa online, in netto anticipo coi tempi, ma solo ora giunge su carta. Qual è stata la sua vicenda in questi anni, come si è sviluppato?
Abbiamo iniziato come graphic novel autoprodotta, pubblicando sul web i capitoli che via via riuscivamo a realizzare. Ancora non si parlava di web comics e, tanto per dire, non esistevano i social network, che hanno cambiato completamente la fruizione e la visibilità potenziale dell’autoproduzione. Ciò nonostante raccogliemmo intorno a noi una piccola ma affezionata comunità di lettori, oltre che apprezzamenti da parte di professionisti – non scorderemo mai la soddisfazione nello scoprire di essere stati citati dal grande Antonio Serra in un intervista sul futuro del fumetto1 -. Poi l’esperienza on line si esaurì, fummo assorbiti dagli impegni universitari e il progetto rimase per un po’ in stand by, senza essere di fatto concluso. A un certo punto, però, i nostri personaggi sono venuti a chiederci conto di questa distrazione. Sono loro che ci hanno imposto una sorta di periodo sabbatico per dedicarci in modo più continuo alla storia.
In totale, quanti anni avete impiegato per portarlo a termine?
Beh, se dovessimo fare un calcolo, da quando è stata concepita la sceneggiatura e disegnate le prime tavole pilota, oltre dieci anni. Però, come detto, ci sono state tante soste e sopratutto un lavoro di riorganizzazione del romanzo, mettendo mano anche al vecchio materiale. Dal punto di vista della struttura, abbiamo rimontato il racconto in quattro parti composte ognuna da quattro capitoli, dando una maggiore chiarezza formale all’opera. In quanto autodidatti, tutto ciò ha richiesto anche una crescita tecnica – sugli strumenti per inchiostrare, ad esempio, o l’uso del digitale per i retini…- che naturalmente non può dirsi conclusa.
Come siete cambiati sotto il punto di vista del vostro esserne autori? Stile di narrazione, stile grafico… Come avete gestito questo cambiamento all’interno del fumetto? Avete ripreso il vecchio materiale com’era o lo avete riscritto e ridisegnato?
Abbiamo lavorato per sgrossare il racconto e lo stile grafico, operazione inevitabile dato il tempo intercorso e la dimensione dell’opera. La regia è diventata più stringente e serrata nel ritmo. Lo stile di narrazione e i personaggi hanno perso alcune influenze dichiaratamente manga che avevano all’inizio. Abbiano anche ridotto l’eccessiva commistione di registri diversi, per dare un tono più unitario al racconto. Sul disegno Barbara ha lavorato per renderlo più pulito, giocando maggiormente sul contrasto, sul bianco e nero e misuratamente con le mezze tinte del retino. Questo non vuol dire che la disomogeneità di tratto fra i vari capitoli sia del tutto sparita; ci sono alcune parti, non necessariamente le prime in ordine di apparizione, meno toccate dalle rielaborazioni. Speriamo che la cosa sia compresa per quello che è: la testimonianza di un percorso. La rosa sepolta è stata un po’ come una palestra per noi.
Il tema del fumetto, quello dei soldati bambino, è purtroppo attuale oggi come nel 2000. Per affrontarlo quanto vi siete documentati?
La nostra intenzione non era fare un fumetto di denuncia, ma raccontare una storia innanzitutto valida dal punto di vista narrativo. Abbiamo messo al centro del romanzo un ex bambino soldato, una figura difficile e delicata, che per essere “maneggiata” ha richiesto un lungo lavoro di documentazione tra testimonianze e saggi (si veda la bibliografia che abbiamo inserito nel libro). L’addestramento e le atrocità commesse da soldato, non solo hanno rubato l’infanzia a Sergio, il protagonista, ma anche la capacità di provare sentimenti, di capire gli altri e comprendere il dolore che ha procurato durante la guerra. Il fumetto racconta di come Sergio sarà via via trascinato fuori dal suo guscio di silenzi, rinunce e rimozioni e di come si riapproprierà della voglia di vivere e anche di innamorarsi. Il fenomeno dei bambini soldato costringe a confrontarsi con temi forti: la colpa, le responsabilità individuali e sociali, i diritti negati, ma anche il riscatto, la riconciliazione e la possibilità di reinserimento nella vita civile.
Com’è cambiata la situazione da quando avete iniziato?
La risposta non è facile. Quando stavamo ancora lavorando al soggetto del fumetto, era in corso la guerra civile in Sierra Leone, che è durata undici anni (1991-2002) e ha visto un massiccio uso militare dei bambini (e delle bambine) da parte delle milizie ribelli. Qualche settimana fa la corte speciale sulla Sierra Leone ha condannato a cinquant’anni di carcere Charles Taylor, riconoscendolo responsabile per aver programmato, aiutato e approvato l’esecuzione di crimini contro l’umanità (tra i quali, per la prima volta, anche l’arruolamento di bambini soldato). È un punto di svolta importante. Ma se si legge il dossier “Ancora troppi bambini soldato”, che hanno scritto per il nostro libro gli amici dell’organizzazione umanitaria COOPI – Cooperazione Internazionale, si capisce che c’è ancora moltissimo da fare.
L’opinione pubblica è più informata rispetto ad allora, e sopratutto, lo è abbastanza?
Se parliamo dell’Italia, non lo è ancora abbastanza e, purtroppo, temiamo non lo sia di più rispetto al 2000. Forse paradossalmente, se ne parlava di più allora, in concomitanza con diversi conflitti in Africa. Poi le guerre finiscono, o diventano endemiche, i riflettori si spengono, certe realtà vengono completamente dimenticate dai media. A livello internazionale, invece, c’è per fortuna una maggiore attenzione: si pubblicano libri e rapporti, ci sono organizzazioni umanitarie attive e ascoltate e se ne parla di più sui giornali e nei media.
Prima di completare definitivamente La rosa sepolta siete diventati genitori. Immagino che questo evento carichi di ulteriori significati una storia che parla di chi ruba l’infanzia ai bambini per trasformarli in soldati.
Quando abbiamo iniziato quest’avventura eravamo ancora ben lontani da diventare genitori. Vedere le nostre bimbe crescere (abbiamo due figlie piccole, una anzi piccolissima) ci ha resi più consapevoli ex post della rilevanza che i bambini occupano ne La rosa sepolta. Il protagonista è un ex bambino soldato strappato alla sua famiglia e inserito in un sistema di violenza continua che non lascia apparentemente vie di uscita. Bambina di strada è Gio, un altro personaggio importante che proprio in Sergio troverà una figura di riferimento, senza neanche immaginare cosa si cela nel suo passato. E in conclusione della storia (senza voler fare spoiler) c’è la nascita di una bambina, inizio simbolico di una nuova vita.
Ringraziamo gli autori per la loro disponibilità.
Intervista rilasciata via mail a ottobre 2013