Riyoko Ikeda: intervista alla regina degli shojo manga

Riyoko Ikeda: intervista alla regina degli shojo manga

Intervista a Riyoko Ikeda, la celebre mangaka autrice di "Le rose di Versailles", presente a Bologna in occasione della manifestazione NipPop 2015.

Il suo nome rimane indissolubilmente legato al suo personaggio più celebre, quella Lady Oscar, protagonista del manga Le rose di Versailles (titolo giapponese Versailles no Bara), eroe/eroina nella Francia prerivoluzionaria per la quale “anche nel duello eleganza c’è”. Riyoko Ikeda, che per quel fumetto è stata insignita della Legion d’onore della Repubblica francese per il suo contributo alla diffusione della storia e della cultura d’oltralpe, appartiene storicamente al “Gruppo dell’anno 24” (“Hana no Nijūyo-nen Gumi”, letteralmente “Il gruppo di fiori dell’anno 24”), che comprende le autrici di manga nate attorno al 1949 – l’anno 24 dell’era Shōwa – che hanno rivoluzionato il fumetto nipponico. Altre sue opere di successo sono state Caro fratello, Orpheus, Elisabetta – La regina che sposò la patria ed Eroica – La gloria di Napoleone. All’età di 47 anni la Ikeda ha intrapreso nuovamente gli studi di musica diplomandosi al conservatorio in canto e inaugurando così una nuova carriera nella lirica come soprano.

Venerdì 5 giugno abbiamo partecipato alla roundtable con Riyoko Ikeda a Bologna, nell’ambito della manifestazione NipPop 2015 di cui è stata ospite: vi presentiamo il resoconto, in collaborazione con Quinlan. Rivista di critica cinematografica.

Lady Oscar Maria Antonietta

Recentemente hai realizzato il manga Opera Nyumon (“Introduzione all’opera”). Puoi parlarci del tuo rapporto con l’opera lirica e il teatro?
Va detto che da quando ero proprio piccolissima, io avevo questo sogno. Il mio primo sogno ancor più che essere una mangaka era quello di poter lavorare con la musica, soprattutto con la musica classica, quindi con la lirica. Per questo già da bambina ho studiato pianoforte con l’intento di riuscire a coronare questo sogno. Inizialmente mi sentivo un po’ frustrata perché temevo di non avere il talento necessario. Ma una volta passati i quarant’anni, ho pensato che fosse giusto cimentarmi ed è per questo che sono poi entrata in conservatorio. Proprio per quanto riguarda l’opera, mi sono resa conto, andando avanti anche nella carriera di mangaka, che ci sono dei punti in comune che possiamo affiancare. E questi hanno a che fare con l’estetica di quelli che poi sono gli sviluppi della storia di quello che si può vedere sul palcoscenico. Più della stessa attività canora mi piace moltissimo la possibilità di avere talento per la performance sul palco. Per quanto riguarda le opere che mi piacciono, e con le quali ho avuto a che fare, ci sono Le nozze di Figaro, La traviata e la Carmen.

Riyoko IkedaLa tua opera più famosa, Le rose di Versailles, è stata conosciuta soprattutto per la versione nella serie di anime, iniziata nel 1982. Prima ancora, nel 1979, ci fu una versione cinematografica a opera di Jacques Demy, che peraltro è stato per tanto tempo l’unico film cui fu concessa l’autorizzazione a girare nella reggia di Versailles. Inoltre è stato realizzato anche un adattamento teatrale di successo a opera della Takarazuka Revue, la compagnia i cui componenti sono esclusivamente di sesso femminile, che interpretano anche ruoli maschili, amplificando così l’ambiguità sessuale già presente nel personaggio di Lady Oscar. Qual è il tuo giudizio su tutte queste trasposizioni? Fino a che punto ne sei soddisfatta? E hai avuto un ruolo in queste?
Ciò che sto per dire si applica anche alla serie animata. Si tratta di quello che potremmo definire degli spin-off, cioè di opere secondarie rispetto a quella primaria. Rispetto all’originale hanno un’esistenza totalmente a parte. Quindi ovviamente quelle che sono le volontà degli sceneggiatori del teatro Takarazuka, quella che è la volontà della sceneggiatura di Jacques Demy sono assolutamente delle cose che io apprezzo e stimo. Detto questo, secondo me, in Giappone molto spesso si tende a dimenticare il fatto che queste sono opere secondarie, quindi sono da ritenersi distinte dall’originale. Non sono mai stata coinvolta in questi vari progetti, comunque ho applicato una verifica delle bozze dei copioni perché se il concetto si distanziava troppo a quel punto cercavo di fare in modo che rientrasse nella storia originale.

Come mangaka vieni inclusa nel “Gruppo delle 24”, quali sono le innovazioni che avete introdotto nel fumetto giapponese?
In realtà io non sono del 24 ma del 22 dell’era Shōwa. Senza dubbio con Moto Hagio sono davvero in confidenza. In quegli anni i manga per il Giappone non venivano neanche considerati cultura. Godevano di una considerazione estremamente bassa, erano fortemente criticati e si diceva anche non fossero assolutamente letture consigliabili per i bambini. Quindi succedeva che venivano letti e buttati. Invece il nostro sentimento comune era il desiderio di far arrivare i manga alla stessa altezza della letteratura. E fare in modo che diventasse quindi un tipo di cultura che rimane. I manga avevano davvero una considerazione bassissima e, all’interno di questi, quelli che godevano della reputazione peggiore erano gli shōjo manga. C’era una sorta di maledizione per il fatto che, se c’erano argomenti storici, non avrebbero avuto successo. E quindi anche i redattori, quasi tutti uomini, trattavano con una grande leggerezza questo tipo di argomento, quasi ritenendoli sciocchi. Anche seguendo il ragionamento: “I lettori sono o bambini o donne, quindi sicuramente non capiranno”. Quello era il loro pretesto. Io invece gli ho spiegato quale fosse la grande importanza della storia e ho poi garantito che sarei riuscita a farne uscire un successo.

Jotei Ekaterina

Ci puoi parlare dei motivi che ti hanno portata a realizzare tante opere a sfondo storico nella tua carriera?
Devo anzitutto sfatare una convinzione diffusa. All’interno delle mie opere quelle che hanno carattere storico non sono le più numerose. Il rapporto fra opere contemporanee e storiche è cinquanta a cinquanta. Le opere storiche ovviamente comportano il fatto che il tempo che si deve dedicare a esse per la ricerca è sempre abbastanza lungo. Anche nel minimo del tempo è pur sempre di due, tre anni. Nel caso in cui si vada avanti si può arrivare anche a sette anni. È un qualcosa che va avanti nel tempo ed è questa la ragione per cui rimane molto l’impressione nel cuore di chi legge queste opere. La cosa che a me interessa particolarmente è quella di dipingere, ritrarre drammi e storie degli esseri umani.

E puoi raccontarci i motivi del tuo interesse verso la figura storica di Maria Antonietta, che hai omaggiato anche nel tuo secondo cd, incidendo alcune arie settecentesche da lei composte?
È una cosa che hanno percepito molte persone al mondo, soprattutto quarant’anni fa, e ovviamente la stessa cosa si applica in Giappone. L’esistenza di una donna, questa donna si chiamava Maria Antonietta. Era stata la donna che, a causa del grande lusso e del grande sfarzo in cui viveva, indusse il popolo francese alla rivoluzione. E sui testi di scuola veniva sempre proposta come una figura negativa. Negli anni ebbi la fortuna di imbattermi nella biografia di Maria Antonietta di Stefan Zweig. Scoprii che si trattava di un altro tipo di esistenza e pensai che era venuto il momento di cercare di riportare la storia di questa donna nel modo più delicato possibile. Inizialmente le mie velleità non erano quelle di una storia storica. Si trattava semplicemente di voler riportare la vita di Maria Antonietta.

Lady Oscar Andrè

Le rose di Versailles suscitò polemiche anche per una scena audace, per l’epoca, di sesso.
Molto probabilmente la prima scena di letto all’interno di uno shōjo manga. In redazione arrivarono delle chiamate da parte dei genitori che dicevano “È una cosa assolutamente improponibile, una vergogna!”. La cosa grandiosa fu che rispose a una di quelle chiamate un redattore davvero splendido che così rispose a una madre: “Lei ha mai letto tutta la storia dall’inizio? Perché io adesso la invito a rileggere tutta la storia dal principio e nel caso in cui alla fine quando si imbatterà in questa scena dovesse pensare ancora trattarsi di una scena vergognosa, la invito a ricontattarci telefonicamente”. E dal quel momento non chiamò più.

Come mai hai deciso di far morire Lady Oscar durante la presa della Bastiglia?
In realtà ho pensato già in fase prematura a come far terminare il manga. Una delle possibilità era quella di far sì che Oscar morisse il 14 luglio 1789. Però poi, a metà, ero un po’ indecisa sul cosa fare. E se non l’avessi fatta morire in quell’evento? Per quello avevo creato la situazione della malattia, lei ha la tubercolosi ai polmoni. Quindi sapevo che in un modo o nell’altro sarebbe morta.

OscarC’è un personaggio che hai creato cui sei particolarmente legata, perché gli hai conferito qualcosa di te o perché concependolo ti ha comunicato qualcosa?
Più che aver imparato qualcosa dai personaggi che ho disegnato posso dire che non esiste un personaggio che ho portato in vita con la mia attività che abbia tutto di me, questo no. Posso dire che il modo di intendere, di pensare che ha Oscar è un qualcosa che ha molto della proiezione anche del mio modo di vedere le cose. E poi ad esempio in Orpheus il personaggio di Maria Barbara assomiglia a me stessa. Invece per quanto riguarda il fatto di aver avuto un’ispirazione, un’influenza, posso dire che dopo aver creato Le rose di Versailles – ovviamente sono andata avanti con la mia attività lavorativa per molto tempo – quando a livello personale, nel lavoro o per altre cose, passavo dei momenti difficili, o momenti in cui dovevo fare una scelta, mi è capitato di pensare: “Se fosse stata Oscar chissà cosa avrebbe fatto?”.

Possiamo vedere un’evoluzione nel tuo stile di disegno, fin dalle prime opere ancora molto influenzato da Osamu Tezuka. Con Le rose di Versailles c’è un primo cambiamento e poi uno successivo con Orpheus per arrivare allo stile definitivo di Eroica – La gloria di Napoleone, anche se alcuni cenni di quest’ultimo cambiamento erano ravvisabili in L’imperatrice Caterina e in Lady Oscar – Le storie gotiche. Si tratta di una naturale maturazione artistica, inconsapevole, o deriva da fattori tecnici?
Durante la serializzazione di Le rose di Versailles ho cominciato a percepire una sorta di incapacità di evolvermi da quello che era il mio status artistico, quindi ho chiamato degli studenti dell’accademia di belle arti e ho cominciato a studiare, da zero, la pittura a olio e anche altre forme d’arte. Cio ha fatto sì che ci fosse un cambiamento molto drammatico e vistoso nello stile e poi naturalmente la crescita è andata avanti con gli anni. A volte questi cambiamenti possono avere a che fare con il mio stato fisico, con il mio stato mentale, anche il fatto di dimagrire o ingrassare, tutto questo si ripercuote all’interno dei disegni in qualche modo. Ad esempio proprio quando ho realizzato Lady Oscar – Le storie gotiche era un periodo in cui ero dimagrita tantissimo ed ero pure in uno stato mentale molto provato. Quando riguardo quell’opera mi rendo conto che tutto traspare dentro i disegni. Tra di noi amici mangaka può capitare che non ci vediamo per un certo periodo, e poi ti arriva la telefonata: “ Ma, è un periodo in cui ti senti poco bene?” perché tutto questo traspare nella nostra arte.

Lady Oscar BeruBara KidsCon Lady Oscar – Le storie gotiche hai sviluppato in chiave gotica i personaggi di Le rose di Versailles, mentre in BeruBara Kids (Versailles no Bara Kids) hai rifatto l’operazione stavolta però in chiave umoristica, parodistica. Come mai?
Proprio nel periodo di Lady Oscar – Le storie gotiche, dove c’è la nipote di Lady Oscar, è nata anche a me una nipote, e quindi torniamo al discorso del riflesso. Invece per quanto riguarda BeruBara Kids, va detto che quelli che erano stati personaggi che per tanto a lungo si erano protratti nella storia di Lady Oscar, quindi Oscar stessa, Andrè, hanno vissuto appieno le loro vite. Però hanno vissuto delle vite molto dure, molto difficili. E quindi con BeruBara Kids volevo finalmente trovare la possibilità di far divertire, in un modo tranquillo.

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