Se da ogni pagina, finanche da ogni vignetta di House of X #1 – esordio dell’era mutante di Jonathan Hickman – trasuda l’ambizioso progetto ad ampio raggio dello sceneggiatore statunitense, l’arrivo a una settimana di distanza di Powers of X #1 (pronuncia Powers of Ten) offre una doppia conferma.
In primis, che il racconto di questa “rifondazione mutante” è un’unica lunga storia che si snoda tra le due miniserie che sono tra loro intrecciate (Hickman, nella sua lingua madre, ha usato il termine intertwined che reca in sé ancor più forte che in italiano il senso di connessione tra le due serie) ed è imprescindibile la lettura di entrambe nel preciso ordine indicato negli albi.
Poi, che l’immane opera di world-building che si percepiva leggendo House of X #1 assume nel debutto della seconda miniserie degli orizzonti ancora più ampi, tanto che non è sbagliato dire che ci troviamo davanti anche a un’operazione di history-building e time-building.
Procediamo con ordine. Nell’albo è contenuta una pagina diffusa in anteprima (priva di lettering) mesi fa dalla Marvel Comics e definita “la scena più importante della storia degli X-Men”. La tavola, strutturata in vignette orizzontali che raccontano un gioco di sguardi e uno scambio di parole e pensieri tra Charles Xavier e Moira McTaggart, arriva alla conclusione della prima sequenza narrativa della storia che fino a quel momento era apparsa come una semplice scena ambientata nel passato del prof X.
Quella chiusura, con le parole riportate nei balloon di pensiero, stravolge e riscrive clamorosamente buona parte di quello che fino a oggi è stato raccontato sul passato di Charles e, alla luce dei fatti finora raccontati, porta a chiedersi: che la Marvel sia arrivata a concedere così tanto a Hickman per risollevare gli X-Men? Intendendo per “così tanto” una possibilità e ampiezza di manovra tali da fare tabula rasa di decenni di storie mutanti, anzi meglio, una reinterpretazione totale di molti avvenimenti delle storie degli X-Men.
Come già detto analizzando House of X #1, il grado di coraggio, di iconoclastia e di mutamento è direttamente proporzionale al successo di un rilancio del brand X: Grant Morrison docet.
In fin dei conti, chi meglio dei mutanti di casa Marvel presenta un terreno fertile per un reboot profondo e massiccio – più o meno duraturo nel tempo, questo resta da vedere – che stravolga completamente lo status quo? D’altra parte, rovesciando l’osservazione alla luce dei molti passi falsi recenti, potremmo argomentare che la valorizzazione dell’X-verse richiede grandi ambizioni e visioni in grande.
Esempi ce ne sono stati: la Seconda Genesi del 1975; Chris Claremont con le rivoluzioni di saghe come quella di Fenice e del Massacro mutante; L’Era di Apocalisse degli Anni Novanta, fino ai Nuovi X-Men di Morrison.
Da quindici anni, però, i mutanti sono diventati l’ombra di se stessi, involuti in storie basate su cliché logori nelle mani di autori che non sono riusciti a farli evolvere, bensì a stagnare. Per tutte, si consideri la gestione di B.M. Bendis e i suoi All New X-Men.
Ben venga dunque Hickman quale demiurgo assoluto di un nuovo rinascimento.
Se House of X pare avere nella componente politica uno dei fulcri fondamentali alla base della narrazione, Powers of X amplia l’orizzonte narrativo, mantenendo di fondo comunque l’aspetto politico. Nel numero #1 della prima miniserie abbiamo assistito all’inizio del racconto di un percorso (politico) di primo acchito giusto, nutrito da rivendicazioni, bisogni e tragedie (chi può biasimare il comportamento di Xavier e Magneto?), del quale vengono esplicitamente proposti i rischi verso, se non i prodromi, di una catastrofe totale.
La seconda miniserie, muovendosi avanti e indietro nel tempo partendo dal presente, esplora quest’ultimo aspetto mostrandoci un’era passata (X0 – Anno Uno. Il sogno), il presente narrativo (X1 – Anno Dieci. Il mondo), un futuro prossimo (X2 – Anno Cento. La guerra) e uno remoto (X3 – Anno Mille. Ascensione).
Questo enorme affresco temporale dà immediatamente la portata di quanto vasto sia il progetto di Hickman ma, soprattutto, fa capire quanto l’autore abbia studiato e strutturato nei minimi particolari l’intero canovaccio narrativo che si appresta a raccontare, con un ripensamento generale dell’intera mitologia mutante, passata, presente e futura.
L’idea che ci si può fare dalla lettura di questi primi due albi è che, ferma restando la volontà di una globale ristrutturazione del mondo X, l’autore abbia ben preciso in mente dove andare a parare e quali temi affrontare.
Senza tema di esagerare, in alcuni passaggi di Powers of X, vuoi per l’estensione cronologica, vuoi per l’impostazione cosmica e vuoi anche per gli inserti di testo in forma di voce enciclopedica, si respira l’afflato del Ciclo della Fondazione di Isaac Asimov, uno degli più complessi e meravigliosi affreschi della fantascienza letteraria.
Hickman conferma di saper gestire con efficacia i vari protagonisti mutanti e dimostra una sorta di fusione tra la potenza innovativa morrisoniana e la capacità claremontiana dello sguardo ad ampia gittata.
Particolarmente efficace è il “movimento” della storia lungo la linea temporale, costruito in modo da non consentire la definizione di una netta demarcazione tra eroi e villain, ma allo stesso tempo impostato su una chiarezza narrativa che agevola la lettura di eventi in ogni caso complessi e ancora privi di tasselli fondamentali.
Anche i dialoghi, spesso profondi e articolati, rimandano in un certo qual modo a quelli di X-Chris: a volte suonano un po’ troppo letterari e sopra le righe, lontani dal realismo, ma mai banali o inutili.
Soprattutto Magneto ricorda da vicino il personaggio che Claremont amava: maestoso, nobile, cinico e spietato nei gesti come nelle parole.
La parte grafica di Powers of X è affidata a R.B. Silva che, pur avendo uno stile diverso da Pepe Larraz (disegnatore di House of X), fornisce una prova che dimostra una forte e compatta coerenza anche visiva del nuovo rilancio mutante.
La struttura delle tavole è molto vicina a quella della serie gemella, prova della guida precisa di Hickman a livello di sceneggiatura: pagine spesso composte da vignette orizzontali e, più in generale, una strutturazione che fa leva su vignette rettangolari o quadrate precisamente incastonate le une con le altre. Una composizione che gioca prima di tutto sulla chiarezza della lettura, lontana però dal semplicismo ed elemento fondamentale per veicolare la complessità e la densità del racconto, specie quando ci si muove avanti e indietro lungo la linea temporale.
Il tratto di Silva è più pulito e minimale rispetto a quello di Larraz, però non meno efficace o espressivo. Senza rinunciare ad arricchire ambienti e personaggi di particolari, lascia spazio alla tavolozza di colori di Marte Gracia che – grazie alla presenza su entrambe le serie – fa del colore l’elemento grafico che amalgama l’intero progetto. Anche su Powers of X, il colorista non rinuncia a quei giochi di luce che già avevano arricchito e impreziosito il racconto su House of X, segnando alcuni momenti cardine della narrazione.
Anche questo secondo capitolo dell’epopea mutante di Jonathan Hickman conferma l’ambizione di questo rilancio degli X-Men, dopo tanto tempo. Allo stesso tempo, la lettura di Powers of X per certi aspetti ribalta e rimette in discussione alcune certezze che potevano derivare dalla lettura di House of X #1. Anche in ciò la Marvel e Hickman erano stati chiari fin dall’inizio, solleticando le aspettative degli appassionati.
Fortunato chi vive in tempi di fumetti mutanti interessanti.
Abbiamo parlato di:
Powers of X #1 (di 6)
Jonathan Hickman, R.B. Silva, Adriano Di Benedetto Marte Gracia
Marvel Comics, luglio 2019
46 pagine, a colori – $ 5,49 (digital edition)
Wednesday Warriors
Nella puntata #40 di Wednesday Warriors su Dimensione Fumetto, Fabrizio Nocerino recensisce Jane Foster: Valkyrie #1.
C’è un mondo intero in un semplice pensiero, una frase che riassume il percorso di Jason Aaron tracciato per il personaggio di Jane Foster. Non c’è più traccia della Dea del Tuono – la Tonante è sparita nella Tempesta dei Thor che ha chiuso War Of The Realms. Al suo posto, una nuova Jane Foster ha preso il suo posto ed è nata una nuova (l’ultima) Valchiria.
Le prime parole incontrate dal lettore in prima pagina mostrano sicurezza e conoscenza del personaggio – ma è ancora possibile raccontare qualcosa di nuovo con Jane Foster?
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