Portugal di Cyril Pedrosa, un ritorno nell’anima delle cose e delle persone

Portugal di Cyril Pedrosa, un ritorno nell’anima delle cose e delle persone

Pedrosa crea uno straordinario omaggio alla memoria, un’operazione a ritroso attraverso tre generazioni, per questa che non è la sua autobiografia ma poco ci manca. Un viaggio immenso perché fatto a piccoli passi.

“Quando ero piccolo, tuo nonno tornava dal lavoro in motorino, a tarda sera… Faceva il secondo turno al mulino della farina. Una notte, tornando a casa si accorge che la capra non è rientrata… Solitamente stava a me riportarla, prima di dormire. Dovevo fare quello e sfamare quei cazzo di conigli. Quella volta mi ero dimenticato la capra. Lui non ha detto niente. Mi ha lasciato dormire e ci ha pensato lui. Solo che la sera dopo me ne sono dimenticato ancora.
Quando mio padre è tornato non ha gridato né niente… mi è venuto a svegliare e mi ha detto, calmo: Jean, alzati. Devi andare a cercare la capra.
Ho passato più di un'ora al buio nel boschetto, prima di trovarla. Avrò avuto dieci anni e credimi, avevo una fifa blu… ma non ho mai più dimenticato di far rientrare quella stronza di una capra… ”

Quante volte capita di innamorarsi di un libro dalla copertina? Quante volte ci lasciamo ingannare come gazze davanti a un pezzo di vetro? Portugal è uno di quegli ormai rari casi in cui il contenuto è più prezioso dello stesso contenitore, una scoperta che vale la pena fare. Eppure il volume è imponente, gargantuesco; nessun contenitore, nessun altro formato avrebbe meritato e valorizzato meglio la totalità dell'opera.

E poco importa se ha vinto il Prix Bande Dessinée FNAC 2012 al Festival di Angoulême, si vede che di tanto in tanto i premi li vince chi li merita.

La prima cosa che colpisce di Portugal sono i colori, il modo in cui riescono a trasmettere la malinconia sfruttando il calore e le prospettive. Il tratto poi è una vera rivelazione: una linea nervosa e decisa contemporaneamente; una matita a metà strada tra e ; un dettaglio impressionante e maturo su ogni particolare di ogni singola vignetta, anche quelli di sfondo. Niente è lasciato al caso, tanto che nonostante la leggibilità “tutta d'un fiato”, sarebbe un peccato voltare pagina senza essersi goduti ogni angolo e ogni anfratto, senza essersi gustati tutto con delicatezza.

La storia si divide in tre parti, nella prima c'è la perdita, dove anche il tratto e il colore raccontano la città, con le sue forme veloci, la gente indaffarata, tanto da non riuscire sempre a tratteggiarne i contorni, ma disegnandone i movimenti fino ad amalgamare volutamente la gente con l'ambiente.

Nella seconda parte c'è la ricerca, l'abbandono di una stanca sicurezza verso la meraviglia di un passato sconosciuto, dove i personaggi divengono intensi e credibili, frutto per forza di cose di ispirazione a storie vere. Storie di famiglia così vicine da farti sentire parte di loro, scene di vita quotidiana, di affetti (nel bene e nel male) così umani da volervi partecipare. Un taglio da Invasioni barbariche mediterraneo e “silenzioso”, dove al contrario del capitolo precedente la gente entra in armonia con la campagna che la circonda fino a farne parte integrante ma senza confondersi con essa.

Nella terza e ultima parte c'è la riscoperta, il ritorno all'origine, e la consapevolezza dei propri bisogni e dei propri limiti; e Pedrosa tratta questa parte ricorrendo alla filosofia popolare e a sentimenti veri e gratuiti, a quella ospitalità che meraviglia chi vivendo in città scopre nella gente di paese. Qui il protagonista prende coscienza di sé e attraverso il passato capisce cosa vuole fare del suo futuro.

Portugal è un viaggio immenso perché fatto a piccoli passi. Pedrosa dipinge egregiamente le emozioni. Compie uno straordinario omaggio alla memoria in un'operazione a ritroso attraverso tre generazioni, chiedendosi sempre perché, ma mai mettendo questa domanda come priorità alla sua ricerca.

Portugal è una gioia per gli occhi e per il cuore, il senso della luce e dello spazio mostrano quanto Pedrosa abbia preso padronanza del mezzo fumetto. Il tratto, senza mai momenti di stanca, è dinamico nonostante la delicatezza delle immagini, spesso si vede che Pedrosa si è fatto le ossa tra i cartoni animati.
Ogni colore è al posto giusto, un'esperienza cromatica da regalare al proprio spirito.

Pedrosa usa la scusa del ritorno al proprio paese d'origine, per questa che non è la sua autobiografia ma poco ci manca, per raccontarci un ritorno nell'anima delle cose e delle persone.
Sfrutta gli sbalzi d'umore del protagonista per tratteggiare ogni linea, ogni colore, ogni espressione, mettendola lì dove dovrebbe stare, emozionando magnificamente ogni lettore che abbia almeno un briciolo di cuore, che conservi dentro di sé quella felicità di essere tristi che è la malinconia.

“Teresa aveva gentilmente protestato. Alessandro sarebbe arrivato dopo poche ore e lei sosteneva che sarebbe stato molto più bravo a commentare le foto. Ma io non avevo la pazienza di aspettare. E poi era con lei che volevo scorrere quegli album. Rispondeva con pazienza alle mie domande. Il mio portoghese era traballante ma cominciavo ad abituarmi a quelle conversazioni tortuose nelle quali il mistero di una frase si svelava alla comprensione di una sola parola… come per incanto… ”

 

Abbiamo parlato di:
Portugal

Traduzione di
, 2012
264 pagine, cartonato, colori – 27,00€
ISBN: 9788865430828

 

 

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