La genesi di Mimbrenos di Stefano Casini: un’idea di western

La genesi di Mimbrenos di Stefano Casini: un’idea di western

Prima di una serie di interviste a Stefano Casini per scoprire la nascita, lo stile e le fasi di realizzazione della sua prossima opera: Mimbrenos, un western pensato per il mercato francese. Iniziamo parlando del concetto stesso di western per l’autore.

Stefano Casini è diplomato alla Scuola Superiore di Industrial Design e ha lavorato come grafico prima di approdare alla Sergio Bonelli Editore come disegnatore del primo Nathan Never, sulle cui pagine si distingue per il suo tratto dinamico, spigoloso e personalissimo. Negli anni si dedica anche ad altre storie, fuori dal circuito popolare, come la serie Digitus Dei con Michele Medda o la saga in formato francese dedicata a Cuba, Hasta la victoria!. Attualmente sta terminando la realizzazione di un’opera per il mercato francese, un western dal titolo Mimbrenos.

Puoi parlarci come è nata l’idea per un western?
In realtà dovevo realizzare per il mio editore francese l’adattamento di un romanzo ambientato nel ‘700, poi la cosa è saltata, ma avendogli anticipato che dopo quell’impegno avrei avuto in mente di realizzare un western (che non avevo mai fatto), sono passato subito all’opzione B.
Il cambiamento è stato quindi abbastanza veloce ed ho dovuto pensare a questo progetto a tempo di record.

Il western per te è un’ambientazione o un genere?
Credo si possa definire un genere, ma per me è un’ambientazione, perché cerco di tradurre tutto quello che faccio in atmosfere che riconducano al periodo nel quale faccio muovere la mia storia e, potendo, cerco proprio di ribaltare o comunque cambiare gli stilemi di un genere, ove ci fossero. Se non avessi paura di cadere nella retorica, mi verrebbe da dire che il western è “uno stato dell’anima”, ed anche se ho una certa riluttanza a dirlo perché non vorrei sembrare spocchioso, in questo caso, nel mio caso specifico, credo sia una definizione abbastanza calzante.

Cosa rende ancora oggi affascinante il racconto di frontiera, l’America dei cowboy e degli indiani?
La possibilità di raccontare una società che, anche se relativamente moderna, è priva di regole, libera da lacci e laccioli e dove l’essere umano si esprime perciò in tutta la sua autenticità, crudeltà e violenza. A questo si aggiunge la possibilità di costruire o demolire leggende che, per un autore come me e soprattutto della mia generazione, hanno condizionato il mio immaginario e hanno costituito la spina dorsale di ciò che sono; sono elementi narrativi che rappresentano una ghiotta opportunità alla quale mi è impossibile rinunciare.
Non che in altri periodi storici non ci siano le stesse possibilità, ma l’epopea cinematografica e il condizionamento intellettuale e dell’immaginario del West, che per anni ha surclassato tutto il resto, hanno lasciato un sentimento di affinità tale che nel momento che vedo un cavallo, un cappello ed una pistola, io torno bambino, e al nostro bambino interiore non sappiamo resistere, o almeno io non ci riesco.
Non so voi.

Per documentarti, quanto ha pesato l’idea di western del cinema, del fumetto e della letteratura e quanto le fonti storiche e bibliografiche?
Sono un appassionato del genere, da sempre.
Ho letto libri, conservo riviste ed ho maturato e custodito informazioni e curiosità su tutto o molto del periodo storico (posseggo anche alcuni libri in inglese di una famosa enciclopedia americana di quarant’anni fa, che mi procurai con enormi difficoltà), al punto che il “mio West” nella testa c’è e c’era già, potrei andare a memoria, ma nonostante questo ho voluto raccogliere foto e documenti per essere più preciso possibile, visto che oggi è tutto a portata di clic, e il materiale non manca, anzi.
Ma siccome adoro far confluire la realtà dei fatti storici con la fantasia delle mie trame e dei miei personaggi, una volta che ne ho definito i contorni sono andato alla ricerca di informazioni su alcuni episodi storici che potevano contestualizzare e dare credibilità al mio racconto.
In sincerità, nonostante non l’abbia mai disegnato professionalmente, il “mio West” l’avevo già talmente radicato dentro di me, che non ho dovuto pensare a formarmelo, l’unico mio obbiettivo è stato quello di pensare e trovare una storia sufficientemente originale (trovarla in un genere così sfruttato è praticamente impossibile), e creare un personaggio che potesse avere una continuity, perché non posso pensare di immaginare un character e lasciarlo lì, dopo uno sviluppo di sole 46 pagine. Ma il “corpo pulsante” del mio West era già lì, da tempo, da anni oserei dire, maturo e consapevole di voler uscire, quasi a rimproverarmi di non averlo fatto prima.

Quali sono le opere di fantasia che sono state più importanti per delineare il tuo western?
Del cinema ho visto quasi tutto (lo so che è ambizioso affermarlo, ma ho perso davvero poco), non amo il western americano degli anni ’60, letteralmente ucciso per novità e spirito di rinnovamento dal western spaghetti (pur salvando Peckinpah, Altman, Penn e pochi altri), mentre adoro quello in BN dei ’40 e ’50.
Ma ricordo volentieri tra i più recenti Open Range, Missing, Apaloosa e anche l’ultimo Hostiles non era male, ma anche qui per svariati motivi ci sono podi particolari per Mezzogiorno di fuoco (High Noon), Ombre rosse (Stagecoach), Il piccolo grande uomo (Little big man), l’intera opera del west di Sergio Leone e Gli spietati di Clint Eastwood che mette una pietra tombale sul west leggendario e farlocco millantato per anni.
Di libri negli anni ne ho letti moltissimi: Zane Grey, Elmore Leonard, Luis L’Amour, Cormac Mc Carthy, e poi Lansdale e molti altri, ma al di là delle storie io resto coinvolto dalle atmosfere che mi si fanno respirare e quelle di polvere e cuoio di “Cavalli selvaggi” di Mc Carty, o i personaggi intriganti de “La foresta” di Lansdale.
Per il fumetto ho quattro personaggi (e relative serie) nella mia personale golden list che sono, in ordine di apparizione: “La storia del West” di Gino D’Antonio, Blueberry di Charlier/Giraud, Red Dust di Hermann/Greg e il Ken Parker di Berardi/Milazzo, su questi personaggi e questi autori si basa la mia crescita fumettistica del West. Ma anche tra questi una menzione speciale va a Gino D’Antonio, uno dei più grandi autori italiani (mai sufficientemente ricordato per meriti ed innovazione) e il primo autore che ho conosciuto personalmente, perché è sua l’idea, di cui mi sono appropriato e ho fatto mia, di un racconto che, seppur basato su fatti reali, non rinnegndo il suo valore storico, coinvolga anche personaggi di fantasia.
Ma, ripeto, il mio West è un melting pot di roba, mangiata, digerita e, spero, rigenerata, se non altro dal mio personale punto di vista e dal mio personale stile grafico.
Ma sempre western è.

Mentre per chi volesse approfondire il contesto storico, quali libri consiglieresti di quelli che hai consultato?
Nessuno in particolare, perché la costruzione culturale e storica del periodo della frontiera nel mio caso è stato anarchica e a macchia di leopardo, realizzata non in modo lineare ma incollando pezzi, ritagliando curiosità ed assemblando in modo del tutto personale. Tuttavia, se pur privo di una sua ortodossa composizione, è sicuramente fondato su una conoscenza piuttosto approfondita e di cui sono moderatamente orgoglioso. Ma lungi da me l’idea di suggerire libri antologici che costituiscano un’ossatura solida per una conoscenza che, nel mio caso, è stata personale e eterogenea nella struttura e nelle tecniche di costruzione, perché costruita in modo multimediale ed accostando pezzi come in un puzzle che non potrebbe mai essere replicato.
E poi, non amo i metodi ortodossi.

Intervista realizzata via mail nel corso del 2018. Continua.

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