Seguiamo la nascita di Mimbrenos, l’ultima opera di Stefano Casini, un western pensato per il mercato francese, con una serie di interviste tematiche. Abbiamo parlato con l’autore della sua idea di western e di come nascono i protagonisti della storia, e analizzato il lato tecnico del passaggio dallo spunto iniziale alla sceneggiatura, nella quarta tappa abbiamo analizzato con l’autore gli strumenti del mestiere e nella quinta cosa significhi fare fumetto in Francia. Eccoci all’ultima tappa di questo percorso.
Stefano Casini è diplomato alla Scuola Superiore di Industrial Design e ha collaborato come grafico prima di approdare alla Sergio Bonelli Editore come disegnatore del primo Nathan Never sulle cui pagine si distingue per il suo tratto dinamico, spigoloso e personalissimo. Negli anni si dedica anche ad altre storie, fuori dal circuito popolare, come la serie Digitus Dei con Michele Medda o la saga in formato francese dedicata a Cuba, Hasta la victoria!. Attualmente ha terminato la realizzazione di un’opera per il mercato francese, un western dal titolo Mimbrenos.
Come è nata l’idea per questa storia?
In realtà in maniera improvvisa e programmata al tempo stesso.
Improvvisa perché ero già a lavoro sull’adattamento di un romanzo piuttosto importante che sembrava dover vedere la luce nel 2019, per il mercato francese prima, ed italiano successivamente. Se non che, per motivi editoriali, il progetto è saltato, e a questo punto il mio western, originariamente programmato per il 2020, è stato anticipato.
È nata già come una storia “del selvaggio west” o lo spunto era universale, in cerca di ambientazione?
A dire la verità, avevo in mente di fare un western ma, nella difficoltà di trovare qualcosa che fosse originale (tentativo quasi impossibile), ancora brancolavo nel buio. Il mio desiderio era di appagare soprattutto l’amore per questo genere, la passione per un mito che mi ha affascinato da sempre, ma, essendo un progetto lontano, mi sono trovato a dover cercare qualcosa che soddisfacesse questo mio desiderio in tempi brevi.
Mi sono lasciato così guidare dall’istinto, e siccome ho “visto” subito polvere, sole e deserti, l’itinerario naturale è stato quello di seguire le piste del sud. Stando attento però a non contravvenire a una “filosofia” che mi piace tenere sempre presente nei miei racconti avventurosi: condire sempre gli avvenimenti legandoli a fatti storici reali, contestualizzandoli in un ambito che sia coerente col periodo in questione, nella speranza di rendere tutto molto più credibile. E, anche se la lunghezza dell’albo (una storia standard di 46 pagine) non mi ha dato modo di sviluppare pienamente contesti precisi, dai dialoghi dei personaggi si possono conoscere alcune curiosità storiche contestuali al racconto e che ne influenzano lo sviluppo.
Mimbrenos è il nome di una tribù minore degli Apache: perché questa scelta per il titolo, cosa volevi sottolineare?
Perché i nomi di Mescalero, Chiricahua e Jicarilla si conoscono già da tempo e perché rispetto a Lipan, Coyotero e Tonto, il nome Mimbreno suonava meglio. Questa è la spiegazione più bieca e semplicistica che potrei darti, ma in realtà erano tutte piccole tribù sparse in un grande territorio e più o meno tutte queste comunità presero parte alle varie rivolte scoppiate per problemi legati alle riserve o soprusi ricevuti dai bianchi. Quindi, quella di usare una tribù meno conosciuta, ma in questo caso guidata da un capo belluino, mi sembrava una scelta abbastanza originale da sfruttare.
Il titolo lascia presupporre un punto di vista molto vicino a quello dei nativi americani, è così?
No, non è così. A dire la verità in questo caso si comportano semplicemente da indiani, almeno nel ruolo canonico usato per loro nelle “fiction”: svolgono il loro compito di assalire e combattere. Del resto gli Apache, in quasi tutti i contesti narrativi e cinematografici che ricordi, non sono mai stati tra le tribù con le quali il dialogo tra bianchi e nativi fosse la forma di contatto più usata. Almeno nell’immaginario collettivo gli indiani “più buoni” sono sempre stati immaginati come quelli delle pianure: i Sioux, gli Cheyenne, i Cherokee.
Gli Apache, per loro natura, per il territorio e le abitudini che avevano, ma soprattutto perché combattuti da nord a sud da yankees e messicani, erano tribù che dovettero sempre lottare per mantenere il poco che avevano, e la loro scarsa inclinazione alla trattativa era dovuta all’ostilità che avevano sempre trovato nei loro vicini.
E poi è molto probabile che la cultura americana abbia sempre visto più di buon occhio nativi che si sono fatti “addomesticare” meglio, mentre gli Apache, in piccole bande e con pochi uomini, hanno fatto tribolare interi eserciti ,portandoseli a zonzo per tutti i territori del sud. Oltre a essere stati tra gli ultimi ad arrendersi all’uomo bianco.
Detto questo, però, da un breve dialogo tra i due ufficiali all’inizio della storia, si capisce il perché la banda di Nacho (così si chiama il Mimbreno rivoltoso), stia imperversando per il sud del Nuovo Messico.
Molti autori raccontano che spesso sono i personaggi a guidare lo sviluppo del racconto, è così anche per te?
Sì, a dire la verità sì. Una volta che li hai investiti di una personalità, diventano quasi autonomi, almeno per il comportamento e i dialoghi. Poi è ovvio che le linee guida le detti tu, altrimenti che ci stai a fare, ma loro, specialmente quando la loro personalità è forte e caratterizzata, sanno e possono aiutarti in certe occasioni. Quasi ti suggeriscono che cosa fargli fare.
Come è cambiata la storia a causa di questa “autonomia” dei personaggi?
In questo caso non molto. Come ti dicevo prima, le linee guida le detti tu, e in questo caso, essendo anche una storia di sole 46 pagine, non avevo né tempi né spazi per potermi permettere voli pindarici troppo alti e sono stato molto attento a utilizzare ogni spazio e ogni vignetta al meglio. Ma siccome io sono uno a cui piacciono trame abbastanza articolate, anche qui succedono diverse cose: tra inseguimenti, rapine e sparatorie, ho dato fondo a tutto il corredo che il western mi metteva a disposizione.
Diciamo che non mi sono fatto mancare niente, nonostante lo spazio esiguo.
In quanti volumi prevedi di sviluppare Mimbrenos?
Un unico volume.
Il progetto è pensato per il mercato francese, e serie lunghe non è facile farsele produrre, data l’iperproduzione di albi e l’inevitabile dispersione dei lettori. A parte Hasta la victoria!, nata più di un decennio fa, solo La lama e la croce ha avuto una serialità seppur minima, ma anche lei era pensata per quattro albi e fu poi condensata in due. Questa tendenza è nata nel momento in cui, su alcune serie che non producevano gli utili aspettati, alcune case editrici hanno deciso di bloccarle interrompendole. Questo ha fatto sì che molti lettori, all’uscita delle nuove serie (che ricordo in Francia corrisponde ad un uscita di un albo ogni sei/otto mesi, se va bene), non acquistassero gli albi al momento dell’uscita: dopo l’acquisto del primo attendevano l’uscita dell’ultimo numero della serie per poi comprare tutti gli altri. Questo per avere la sicurezza che la serie non venisse interrotta a metà. Ma non avendo continuità di vendite, le case editrici scelgono di chiudere le serie per mancanza di guadagni relativi. Il classico cane che si morde la coda. Questa tendenza fa sì che una certa serialità sia prerogativa di nomi di autori molto importanti e conosciuti, e che soprattutto danno garanzie di un continuo flusso di lettori alle case editrici in grado di sostenerle. In una libreria francese è facile individuare quali sono i titoli sui quali le case editrici puntano di più, perché sono quelli meglio posizionati e con cataste di copie impossibili da non notare perché messe in modo che tu debba inciamparci appena entri.
Detto questo, poi ci sono gli outsider, per fortuna.
Per tornare a noi, e perdonami questa digressione sulle “serie”, se Mimbrenos non avrà un seguito, probabilmente lo avrà il protagonista della storia: un ufficiale di cavalleria chespero cavalcherà ancora in altri luoghi, con altri compiti e tra altre sparatorie.
Di avventure ce ne possono essere molte altre, visto che a realizzare il mio western ci ho preso gusto.
Intervista realizzata via mail nel corso del 2018.