“Caro Jean, sto bene. Oggi sono a San Francisco. Gli americani sono molto gentili. Guidano grosse macchine e masticano il cicles. Stamattina mentre facevo la spesa ho incontrato un indiano. Si chiama Cane Nuvola e mi ha aiutata a spingere il carrello. Però poi è scappato di corsa, quando abbiamo incontrato un uomo vestito da cowboy. Questa sera vado a vedere Bufalo Bill che fa il rodeo. Ti abbraccio fortissimo. La tua mammina che ti vuole bene.”
(Lettera della mamma a Jean)
Con il nuovo millennio c’è stato un proliferare delle cosiddette graphic novel che hanno letteralmente invaso il mercato europeo; poca avventura, zero azione e molta introspezione. Ma soprattutto tanto ma tanto autobiografismo. Parecchi autori hanno adattato a fumetti la propria vita o parte delle loro esperienze personali; alcuni splendidamente come Frederik Peeters con Pillole Blu o Craig Thompson con Blanchets, altri in modo non proprio memorabile.
Ecco, se però dovessi usare l’aggettivo memorabile lo userei per questa storia tenera scritta da Jean Regnaud e disegnata da Émile Bravo. Mia Mamma è in America, ha conosciuto Buffalo Bill è uno di quei fumetti del cuore, un’opera toccante e commovente ma allo stesso tempo ironica e piena di umorismo; merito della scelta vincente di Regnaud di affidare i disegni a Bravo che usa un segno fanciullesco, che ricorda quello di alcune strip americane come Cul de Sac di Richard Thompson. Regnaud racconta la sua infanzia di bambino cresciuto senza la mamma fin da piccolo; il padre preferì non dire niente né a lui né al fratellino e Jean crebbe con la convinzione di avere una mamma che viaggiava per il mondo da un paese all’altro, fermandosi in America e conoscendo perfino Buffalo Bill.
Tutto il fumetto è raccontato dal piccolo Jean in prima persona. Il padre è sempre assente per lavoro e quindi lui e il fratellino passano il loro tempo seguiti dalla loro tata, dai nonni e con qualche amichetto. In tutte queste situazioni emerge sempre la mancanza della madre. A scuola Jean spera che non le venga chiesto della madre; a casa del suo amichetto spera che la mamma di lui non gli chieda niente di sua madre; quando è ospite dei nonni, loro fanno finta di niente, del resto come balbetta il nonno di Jean “Non sta a noi decidere se dirlo!”. Tutta la storia ruota intorno a questo senso di vuoto che il piccolo Jean prova e non basta che ci sia Yvette, la sua tata, che cura lui e il fratellino come una mamma, in modo amorevole e senza fargli mai mancare niente. Per fortuna che esistono gli amici e uno di questi è la sua vicina di casa, Michèle: lei è di un paio d’anni più grande e con una famiglia di genitori che urlano di continuo; si incontrano di nascosto, lui le pettina i capelli e lei le legge delle cartoline che la mamma le manda da tutto il mondo.
La storia è suddivisa in capitoli che si concludono con degli interludi davvero esilaranti e questo rende l’opera non una classica biografia, piuttosto una storia a fumetti raccontata senza necessariamente voler puntare sulla commozione, ma più sulle situazioni divertenti che questa mancanza materna genera: la visita alla coppia dei coniugi anziani amici di famiglia è davvero molto divertente nella sua tristezza, con Jean e il fratellino catapultati in una casa dove il tempo si è fermato e la TV è in bianco e nero, “Ma per una volta possiamo guardarla tutto il pomeriggio” esclama Jean.
Regnaud non vuole mettere in scena l’ennesimo bambino che pensa come un adulto, piuttosto gli interessa rappresentare un bimbo tenero e ingenuo, che crede a Babbo Natale (la sequenza finale in cui aspetta che tutti siano andati a letto per alzarsi la notte e scattargli una foto è a dir poco stupenda), crede nelle lettere che le legge la sua amica e non capisce perché le amiche della nonna quando lo incontrano si mettono a piangere. Un bambino circondato dal mondo degli adulti che hanno comportamenti strani ai suoi occhi, come lo psicologo infantile con cui ha un colloquio e il terrore di finire nella sezione per “cretinetti” chiamata SS.
Tutto questo Regnaud lo sa descrivere in maniera sublime e i disegni di Émile Bravo, permettetemi di dirlo, sono da applauso; un segno che ricorda un pastello a cera o una secca pennellata, con una caratterizzazione dei personaggi riuscitissima e un uso del colore semplice ma efficace. Le sue tavole sono spesso prive di sfondo in modo da focalizzare l’attenzione del lettore sui personaggi; scelta vincente che serve a valorizzare la storia di Regnaud, creando un perfetto equilibrio tra realismo e comicità.
“Alla materna, l’hanno scorso, la maestra ci ha fatto preparare un regalo per la festa della mamma. Io ho fatto una collana con la pasta dipinta di tanti colori… Avevo voglia di dire: Buona festa della Mamma”, invece ho detto: buona festa Yvette! Perché so che non vuole che la chiamiamo mamma… le è scesa una lacrima.”
La stessa che scende a chi legge questa storia, insieme a molti sorrisi che rappresentano la grazia di questo gioiello della narrativa disegnata.
Curiosità
Il fumetto ha vinto nel 2008 il Premio Essentiel ad Angoulême e il Deutsher Jugendliteraturpreis della Buchmesse di Francoforte. Bravo è noto anche per aver disegnato le avventure di Spirou e Fantasio.
Dal fumetto è stato tratto l’omonimo film d’animazione nel 2013 per la regia di Marc Boréal e Thibaut Chatel.
Edizione Consigliata
Molto semplice, copertina con alette e stampa di buona qualità anche perché è l’unica disponibile.