Ospite di Napoli Comicon 2007, durante la kermesse partenopea Joann Sfar si è sottoposto alle ferratissime sedute di intervista con il sorriso sulla faccia e la massima disponibilità. Accanto a lui, il fido oculele, di cui è un suonatore provetto e da cui non si separa mai.
I due aspetti evidenti della tua cifra stilistica sono l’umorismo e l’immaginario fantastico. Partendo dal primo, stupisce l’abilità nient’affatto banale nel rendere l’umorismo tipico dei bambini; questa capacità nasce dall’aver mantenuto uno stretto legame con la tua infanzia o dall’esperienza come genitore?
Le mie origini come narratore sono collegate all’aver perso mia madre quando ero molto piccolo. Molto presto, quindi, ho dovuto decidere se tutto nella vita era grave o se nulla lo era. Ho deciso che niente doveva esserlo. Quando ho cominciato ad occuparmi di libri per bambini era soprattutto a me che parlavo, al bambino che c’era dentro di me. Solo dopo ho indirizzato i miei lavori all’infanzia. All’inizio parlavo solo a me stesso.
Il tuo umorismo sa pero’ virare anche verso l’ironia più nera, macabra, in cui si riconosce l’influenza di un certo modo di fare cinema, dai b-movies agli horror tipici degli anni ’80. Da dove nasce questo aspetto?
Di certo il cinema è qualcosa che mi influenza molto. Noto infatti che in tutte le opere che mi piacciono c’é sempre qualcosa in comune. Che siano le commedie americane, che sia il cinema italiano di Risi, Scola o Fellini, che siano i film fantastici di Terry Gilliam, c’é sempre e comunque il riso e il tragico. Mi piace il tragi-comico. Mi piace quando un personaggio può far ridere e, subito dopo, far diventare tristi. Non mi piacciono le storie monocordi, ma quelle che emozionano.
Quindi l’umorismo “nero” è anche un modo per sottolineare il tragico attraverso l’ironia?
Certamente. Platone diceva che appartiene allo stesso uomo lo scrivere commedie e tragedie. è importante, è importante che sia lo stesso narratore a veicolare questo. Credo che una grande influenza nelle mie opere sia data da Moliére, che è l’autore di teatro che in Francia è maggiormente proposto ai bambini. Egli stesso si ispirava alla commedia dell’arte italiana, dove due giovani amanti, ad esempio, si amano e vogliono sposarsi ma vengono ostacolati. A questo io aggiungo i personaggi dei film horror, i vampiri, i vari Frankestein. L’origine del mio lavoro è da ricercare nei personaggi dei film espressionistici tedeschi e nella commedia leggera americana.
Dicevamo all’inizio dell’immaginario fantastico, pieno di creature sovrannaturali e magia, che è presente nei tuoi racconti, spesso non in contrasto con il mondo reale e quotidiano, ma anzi tranquillamente accettato. Qual è il rapporto tra reale e fantastico che intendi mostrare nei tuoi racconti?
Il punto di partenza del mio lavoro è sempre la realtà. Ma il fantastico che appare nelle mie storie è il fantastico a cui credo io. Ad esempio, non credo che se si hanno attaccate alle spalle un paio d’ali si possa volare. Non funziona così. Quando si sogna, non si sogna di avere un paio d’ali e quindi di volare, è un’immagine stupida. Invece si sogna di camminare e tutt’a un tratto di spiccare il volo. Si tratta perciò di realismo fantastico. Un filosofo francese, Bachelard, ha scritto molto su quest’argomento.
Quando un bambino piccolo comincia a fare i primi passi, poggia sempre i piedi a terra, ma quando prova a correre deve squilibrarsi in avanti e gettarsi nel vuoto. Per essere capace di fare questo, deve essere capace di immaginare il momento in cui il piede si stacca da terra. Credo che il mondo dell’immaginazione sia interessante quando conserva un rapporto sensibile con la realtà. La situazione che si racconta, cioé, deve avere un senso molto forte e se ha un senso emozionale molto forte allora è equilibrata. Si può essere, perciò, irrealisti ma veri. Per esempio, nel “Gatto del rabbino” il gatto al quale si tace di ciò che avviene nell’ambiente familiare è un ricordo della mia infanzia. Quando mia madre è scomparsa mi fu detto che era partita per un viaggio, non mi fu detto che era morta. E quando finalmente ci trovammo in famiglia, a tavola, anche allora la verità non mi fu svelata. Per me fu come essere l’animale della famiglia. A un animale non si parla.
A partire da questa struttura psicologica racconto la mia storia che, se si vuole leggerla in superficie, è fantastica, ma se si va nel profondo racconta di sentimenti veri. La cosa importante è che i sentimenti siano veri.
Il tuo linguaggio è sempre molto riconoscibile, sia nei racconti per gli adulti che in quelli per l’infanzia. Quanto è importante per te scrivere tenendo a mente il tipo di lettore e la sua età?
Se nel fumetto il personaggio è adulto, il libro è leggibile dagli adulti; se il personaggio è un bambino la storia è per bambini. Anche se un personaggio si confronta con argomenti da adulto, se è un bambino sarà una storia per bambini. In “Piccolo Vampiro“, ad esempio, se l’eroe assiste a qualcosa di molto violento o di sessuale, lo vive e lo comprende alla maniera di un bambino. Se il mio eroe è Pascin, che è un adulto, la vita che vivrà sarà da adulto, con riferimenti al sesso e a quant’altro. Quello che determina l’età dei miei lettori è l’età del mio personaggio.
Un passo fondamentale della tua carriera è stato l’ingresso nella Association, un rapporto che recentemente si è chiuso. Cos’era l’Association oggi, e quale pensi sarà il prossimo passo?
Devo premettere innanzitutto una cosa: non sono stato uno dei fondatori dell’Association. Sono arrivato lì solo due anni dopo la sua creazione. L’Association non è stata creata in opposizione al resto delle case editrici. è stata creata perché nessuno voleva pubblicarci. Ossia, anche quando qualcuno si mostrava disponibile, subito dopo pretendeva che non si pubblicasse in b/n. Non sono un autore che viene dall’underground per dirigersi verso il mainstream, perché sin dall’inizio ho lavorato nello stesso tempo per l’Association, da un lato, e Dargaud e Delcourt, dall’altro.
All’inizio l’Association era assai pluralista. C’erano più correnti al suo interno. Recentemente pero’ J.C. Menu, che è il più visuale tra noi tutti, il più interessato all’avanguardia plastica, si è un po’ sbarazzato degli altri fondatori e io mi sono sentito più vicino artisticamente a David B. e a Lewis (Trondheim -ndr).
Quando poi Lewis è diventato editor presso Delcourt, creando la collana “Shampooing”, io l’ho seguito. Non abbiamo litigato con Menu, siamo rimasti amici, ma è giusto che ognuno abbia preso strade diverse. Per il futuro Menu ha infatti in progetto di dedicarsi all’avanguardia. Io invece ho solo voglia di continuare a raccontare storie. Il mio maestro assoluto è Pratt.
Processo “Charlie Hebdo” [1]. Vorremmo conoscere la tua opinione e cosa pensi del vento censorio nei confronti della satira.
Quello che sta succedendo in Francia e nel resto del mondo è molto pericoloso. Si spingono gli artisti all’autocensura: ci sono cose che non si possono dire perché shockano, offendono, etc. C’é la religione da un lato e dall’altro la polizia. In Francia un disegnatore se l’é passata male per aver disegnato un poliziotto con la testa di maiale. Io invece milito per un’idea semplice: se non ti piace un giornale non comprarlo! Non si deve necessariamente bruciarlo o perseguitare chi ci scrive.Per questo credo che sia importante raccontare la storia di questo processo.
Quindi credi che sia importante aver vinto questo processo?
No. Non è una buona notizia perché “”Charlie Hebdo”” non poteva perdere. Non aspettavamo l’esito. Il fatto che si sia svolto questo processo ha comportato che per un anno il giornale ha vissuto sotto la protezione della polizia, che per un anno ha ricevuto minacce di morte. è stata un’intimidazione continua. Il processo è costato sia in termini di denaro che di tempo.Il messaggio che i gruppi islamici hanno voluto far passare è che, d’ora in poi, quando si parlerà di Maometto si avranno dei problemi. Vincere o perdere non era la cosa importante. La legge francese non avrebbe permesso a “”Charlie”” di perdere, date queste premesse.
Note:
[1] – settimanale satirico francese dallo stile irriverente, molto apprezzato per i suoi interventi sulla difesa delle libertà individuali e collettive; Sfar vi ha collaborato fino al 2005. Nel 2006, in seguito alla pubblicazione di una serie di caricature di Maometto, riprese dal giornale scandinavo Jyllands-Posten, la rivista viene portata in tribunale e viene chiesto da alcune organizzazione musulmane francesi di mettere al bando il numero incriminato e di pagare 30 milioni di euro di danni. La causa è stata vinta dalla rivista.
Riferimenti:
Le petit monde de Joann Sfar: www.pastis.org/joann
Coconino Press: www.coconinopress.com
Kappa Edizioni: www.kappaedizioni.it
(traduzione Nadia Rosso)