Benvenuti e grazie per aver accettato questa intervista. La prima domanda è la più scontata: come nasce Malanotte?
La Came: Il mio coinvolgimento inizia con una telefonata di Ratigher che mi fa “Senti Came avevo in mente questo progetto… ti andrebbe di disegnare un libro scritto dal Taddei?” Me l’ha buttata così, senza specificare altro, né titolo, né che si trattava di un progetto Coconino/Fandango collegato a un film, ha solo fatto il nome di Marco e io ho detto sì!
Marco Taddei: Pensa te che audacia, ti sei lanciata subito!
Io sono stato contattato dai ragazzi di Coconino, che mi hanno proposto questo libro su una strega, uno spirito maligno legato al folklore. Specificando che il progetto era legato a un film che si chiama La Pantafa, il cui regista è Emanuele Scaringi, prodotto da Fandango. L’idea di affiancare al film un fumetto, che funge da prequel, nasce proprio da Emanuele. All’epoca forse non erano nemmeno iniziate le riprese del film.
La Came Infatti non avevamo nessun materiale di riferimento, se non qualche foto scattata sul set.
Marco Taddei: E il nome del paese, che è un nome di finzione, anche se in realtà esistono molte Malanotte in Italia, tra cui una in Abruzzo. E in Abruzzo è idealmente ambientato il film. La cosa non è mai esplicitata direttamente, però ci sono dei riferimenti a un certo tipo di folklore che sono propri di quei posti.
La Came:Mentre dalle mie parti, parlo della Toscana, almeno per quella che è la mia conoscenza personale, una figura simile non c’è. Bisogna già risalire di nuovo verso il Friuli per riavere le figure simili, in qualche modo vicine all’immagine della Pantafa ma con qualche differenza. Perché nel racconto popolare c’è sempre questo piccolo slittamento, come tante immagini che puoi sovrapporre ma presentano delle piccole differenze.
Perché solitamente la trasmissione di questi racconti è orale, per cui qualche dettaglio cambia, per volontà o per omissione involontaria.
LC: E secondo me è importante mantenere questa varietà all’interno dell’immaginario. Penso che sia anche per questo che si è pensato a due prodotti, per avere modo di espanderci in zone diverse da quelle prettamente trattate dal film.
Il fatto di fare parte di un progetto che prevedeva anche una produzione cinematografica ha fatto sì che abbiate ricevuto delle indicazioni molto specifiche o se invece siete stati liberi di gestire la storia come preferivate?
MT: In realtà quando siamo partiti non c’era quasi niente. Abbiamo avuto delle foto del set, l’idea che questa storia si svolgesse a Malanotte, ma abbiamo avuto comunque una certa libertà di creazione della storia. Poi, per i dettagli, ovviamente abbiamo scolpito piano piano, insieme all’entourage, Quindi il regista, la sceneggiatrice, ma anche Giovanni Ferrara, che è stato in questo caso un editor impeccabile ancor più del solito.
LC: Anche perché, era la prima volta che Coconino faceva una cosa di questo tipo con Fandango.
MT: Esatto, una cosa nuova, con tutte le incognite del caso. Poi in realtà, come succede in questi casi, capisci come funziona in corso d’opera. É stato interessante proprio perché abbiamo avuto triangolazioni continue. Abbiamo discusso su molti punti, è stato soprattutto un lavoro di limatura dei dettagli, in modo da far quasi combaciare il mondo che avevano ideato io e Laura con quello che poi sarebbe andato a finire sul grande schermo.
Tra l’altro sul volume non c’è la fascetta, a mio avviso un po’ odiosa, che rimanda al film…
LC: Chissà se comparirà! In realtà a me nemmeno dispiacerebbe tanto, perché alla fine si tratta di un fumetto di genere horror, e queste cose anche un po’ chiassose come la fascetta, il richiamo al film e cose del genere io non le scarterei a prescindere. Mi piace che sia un qualcosa che si espande anche oltre il fumetto. E comunque mantenendo la sua indipendenza: non è necessario aver letto il fumetto per apprezzare il film e viceversa. Sono due prodotti che “si incastrano” grazie alla Pantafa, questa figura oscura che accomuna i due progetti.
MT: Ovviamente abbiamo utilizzato questa possibilità di fare questo libro anche per veicolare molti elementi del nostro immaginario.
LC: Sì, esattamente, della nostra sensibilità. Io mi sono riposta molto all’interno di alcuni personaggi, specialmente quello di Sara, in cui mi sono identificata fin da dall’inizio. E grazie alla libertà concessa dalla sceneggiatura di Marco, sono riuscita a far esplodere la mia immaginazione che era quasi del tutto priva di punti di riferimento di tipo cinematografico. Su questo abbiamo lavorato assieme con Marco, scambiandoci i titoli di libri e di film, non necessariamente horror, da leggere o vedere. E per me, che non sono mai stata una vera appassionata del genere, è stato un viaggio pazzesco alla scoperta di un qualcosa che non credevo di saper fare: unire una componente horror al mio modo di narrare, che è molto pop. Alla fine, se tu guardi i personaggi questi hanno la loro coerenza, la loro dolcezza e le loro espressioni in alcuni momenti quasi un po’ cartoonesche.
Come si affronta un fumetto di genere?
Quali sono le difficoltà che un autore si trova davanti quando ha a che fare con un lavoro che deve necessariamente rifarsi a un canone preciso senza perdere in originalità?
MT: La domanda è interessante, perché spesso e volentieri ci viene la voglia di accostare o paragonare fumetto e cinema. Ricordo una mitica frase del buon vecchio Akab che diceva più o meno che il fumetto è un film che fai con le tue mani, in maniera indipendente. Te lo costruisci nella tua officina. D’altra parte, c’è anche l’idea che cinema e fumetto siano due linguaggi completamente differenti.
A mio avviso è più facile gestire il genere con un fumetto, perché il fumetto ti dà delle possibilità veramente stratosferiche.
È vero che l’idea di genere spesso deriva dal cinema, però secondo me si può fare anche un salto in più: immaginare che nel fumetto non ci sia uno standard horror di un certo genere, né uno standard fantascientifico di un certo genere. Del resto, se ci pensi, nel fumetto non esiste il genere drammatico, il genere per eccellenza del cinema. In questo senso possiamo immaginare cinema e fumetto come una spirale, si toccano e si allontanano, due linee che si muovono in maniera sinuosa. È anche vero che la mentalità del lettore è scolpita e tocca farci i conti. Quali sono le aspettative del lettore? Vanno assecondante o bisogna disattenderle? Nel fumetto puoi fare tutte e due le cose secondo me, hai tanta più libertà. Se le disattendi puoi dare vita a un fumetto d’atmosfera, sottile, psicologico, inquietante. Se le accetti, fai comunque un buon lavoro legato all’azione, al divertimento, al casino.
In questo caso abbiamo giocato, cercando, proprio come dicevamo prima, di metterci un po’ del nostro immaginario personale, di inzupparlo nel folklore oscuro, nero e cupo che conosciamo. Da parte mia sicuramente la fascinazione per il cinema, per i film di Pupi Avati. Penso a film come Zeder, alla struttura de La casa dalle finestre che ridono, Il signor diavolo, L’arcarno incantatore, tutto quel cinema italiano, che ha un’ambientazione che potremmo definire casereccia.
LC: Durante il mio lavoro di documentazione mi sono studiata i classiconi dell’horror per impararne un po’ il ritmo, le atmosfere e quant’altro. E mentre guardavo La casa dalle finestre che ridono ho pensato “ma io lo conosco questo posto! Io qui ci sono stata!”. Ho poi realizzato che sono le zone in cui portavo la posta appena mi hanno assunta come postina.
La casa dalle finestre che ridono lo ricordo come un film abbastanza inquietante…
LC: A me inquietava soprattutto questo senso di dejà vu! Andando poi a indagare ho trovato tutti questi collegamenti con il mio passato di postina e la cosa mi ha aiutata a penetrare ancora di più nell’atmosfera horror, permettendomi di capire cosa volevo trasmettere al lettore. Una cosa importante quando lavori, oltretutto per la prima volta, a una storia horror è rendersi conto di quanto sia fondamentale ottenere il ritmo giusto attraverso il volta pagina.
Nelle sceneggiature di Marco, molto libere, c’era una particolare attenzione al ritmo di lettura del fumetto, che è l’unica cosa che forse puoi controllare, attraverso appunto il volta pagina. Anche per separare in qualche maniera le atmosfere, attraverso un alternarsi vorticoso fra situazione piuttosto normali e altre decisamente assurde. É stato stimolante per me trovarmi a disegnare un qualcosa di questo tipo.
MT: Credo che per qualsiasi autore, in realtà, essere originale sia la cosa più importante. É il modo per lasciare un segno nel lettore, ma l’originalità sta non tanto – o non solo – in quello che racconti, ma soprattutto in come lo racconti, stando in equilibrio tra quello che uno si aspetta e quello che tu gli dai. Per me è bello immaginare che un lettore senta un po’ l’arsura in bocca, voglio che si senta come che chi, dopo aver bevuto una buona birra, abbia voglia di berne un’altra, appagato ma non sazio.
LC: Dal mio punto di vista devo dire che non mi sono mai posta il problema, se vogliamo chiamarlo così, dell’originalità. Io parto proprio dal presupposto che è già stato fatto. Tutti hanno già la maglietta di qualsiasi cosa. L’unica cosa che io posso fare di diverso è esprimere attraverso personaggi la mia intimità, dargli una sorta di spessore . Mettere la mia esperienza personale al servizio dei personaggi cercando di immergermi in quelli che possono essere i loro sentimenti, le loro sensazioni. Studiando un’espressione o dedicando a una vignetta più tempo di quello che magari richiederebbe normalmente, tra continui ripensamenti.
Ho un grandissimo rispetto nei confronti delle persone che leggono. Non perché io faccia un libro apposta per un lettore, lo faccio principalmente per una soddisfazione personale, per il brivido che mi dà il fatto di disegnare e creare tavole. Però devo dire che ho sempre tenuto tantissimo a essere quanto più chiara possibile e l’essere chiari in un horror significa anche, a volte, nascondere, giocando con la luce, ad esempio.
Ho veramente messo tutta me stessa in questo libro e ho alzato l’asticella di quello che io sono sempre riuscita a fare, perché il mio modo di approcciarmi ai disegni, sempre molto concentrato sui personaggi, è stato stravolto dall’incontro con questa sceneggiatura e con il personaggio principale del libro che è un paese con le sue atmosfere.
Hai detto che il luogo è il personaggio principale della storia. Come avete fatto a dargli una sua “fisionomia”?
LC: Come disegnatrice sono fortemente influenzata dal manga, ma per questo lavoro ho studiato Breccia. Come detto il luogo ha un’importanza decisiva e volevo che in qualche modo fosse presente in ogni vignetta. Ho realizzato questo fumetto interamente su iPad, quindi in digitale, e questo mi ha consentito di ingrandire le tavole a piacimento e mettere una quantità di dettagli spropositata.
Ovviamente è stato fondamentale anche il confronto con Marco, con la redazione Coconino, che è un gran gruppo con cui avere a che fare, e poi naturalmente non sono mancati anche i riscontri dalla parte di Fandango e di Scaringi.
Su certe cose abbiamo poi fatto di testa nostra, perché effettivamente, come dice anche giustamente Marco, fumetto e film sono medium diversi, con ritmi diversi.
MT: Come detto Malanotte nasce da un progetto cinematografico, ma molti dettagli del libro nascono da un luogo specifico che abbiamo dovuto/voluto scegliere. Avendo l’esigenza di ricreare qualcosa di simile alle foto del set, abbiamo scelto un paese che poteva assomigliare a Malanotte, che è il paese in cui sono cresciuto io da ragazzino. La vecchia casa di Ernesto, uno dei personaggi principali del libro, è al 90% la casa dei miei nonni. Questa è una cosa che faccio spesso, una specie di trucco se vogliamo. La casa di Anubi, ad esempio, è quella dove abitavo io all’epoca. Usare come modello un paese vero, organicamente pensato, stratificato dal punto di vista storico che non sia una semplice costruzione mentale, ci ha consentito davvero di rendere Malanotte la vera protagonista della storia.
Il folklore è un elemento presente nei vostri lavori, pensiamo a Il battesimo del porco o I tre cani. Il nostro paese offre un bacino enorme a cui attingere ma sono pochi i fumetti che si rifanno o trattano il tema del folklore. Perché secondo voi?
LC: La mia impressione, da totale ignorante dell’argomento – sicuramente rispetto a Marco – è che a un certo punto della storia di questo paese si siano volute mettere da parte tutta una serie di credenze e superstizioni a vantaggio di una cosa chiamata progresso. Una sparizione in qualche modo collegabile alla scomparsa della cultura contadina. Io ricordo bene che il nostro medico di famiglia – era il 1995 – suggerì a mia mamma di portare mio fratello di dieci anni da una specie di santone del paese per un problema che, a suo avviso, non poteva essere risolto coi medicinali. All’epoca erano cose all’ordine del giorno, c’erano pure le varie specializzazioni! Per esempio mia nonna era specializzata nel togliere la tosse ai bambini: ricordo telefonate notturne di mamme i cui bimbi non dormivano per la tosse. Mia nonna si faceva dire nome e cognome e indirizzo del bambino, diceva una preghiera e la tosse passava! Cose apparentemente inspiegabili ma che in realtà hanno una spiegazione, come ad esempio ce l’hanno i placebo. Tutte cose che di cui abbiamo bisogno, perché il nostro corpo funziona in una maniera misteriosa.
MT: Pensiamo allo stress. Una specie di malattia magica, come il malocchio. Oggi quando abbiamo mal di testa diamo la colpa allo stress, una volta magari si chiamava in causa il malocchio.
LC: Personalmente soffro la scomparsa di tutto questo. Se riuscissimo in qualche maniera a rivalutarlo, aggiungeremmo ricchezza alla nostra esistenza, senza necessariamente rinunciare alla modernità.
MT Il fatto è che prima il folklore era reale, era una certezza. Una cosa che incontravi per strada, dovevi crederci per forza.
Del resto parliamo genericamente di streghe quando si trattava di persone che spesso fungevano da guaritrici od ostetriche, che magari si addossavano dei compiti utili alla comunità ma di cui nessuno voleva prendersi la responsabilità.
LC: Infatti non vanno chiamate streghe, queste donne avevano tutte un nome! É importante partire dal fatto che sono state tutte persone che per un motivo o per un altro sono state messe in una posizione scomoda: nel momento in cui curi qualcuno sei osannata, ma nel momento in cui fai morire un feto si abbatte su di te la sciagura. Anche se con quella azione hai salvato l’onore di una famiglia.
MT: E magari la stabilità di tutto il paese. Per rispondere anche all’altra parte della domanda, sul perché non sono così tante le storie folkloristiche in Italia, vorrei aggiungere che il folklore in Italia ha un serbatoio gigantesco e che spero venga sfruttato prima che scompaia. Non saccheggiato però: gli autori che lavorano per bene sanno che non devono saccheggiare, serve rispetto per un mondo che ormai non esiste più.
Mi auguro che sfruttino anche il modo in cui folklore è arrivato a noi, nel senso che tanti autori possono attingere a quel mondo, non in maniera didascalica, ma veicolando la loro storia attraverso quel tipo di racconto.
LC: Quando il folklore viene trascritto, diventando un documento, perde di vitalità, si fossilizza. Mentre nella tradizione orale era continuamente soggetto a modifiche operate da parte chi lo tramandava, arricchendosi e aggiornandosi di volta in volta. Per questo credo che il senso vero del folklore sia usarlo per raccontare la propria storia, riportandolo quindi in vita.
Quando io e Sam (Samuel Daveti n.d.r.) abbiamo fatto I Tre Cani pensavo che si trattasse semplicemente di riscrivere una fiaba in chiave femminista. Ma più studiavo il tema della fiaba, più mi sono resa conto che è stato come riportare in vita il folklore tramandato a voce attraverso il linguaggio – attuale – del fumetto.
MT: Questa cosa è un vantaggio per la storia in sé, che trovando un ambiente e un veicolo nuovo, o comunque poco usato, si ravviva. Ma è vitale anche per il folklore, che non dobbiamo immaginare come un mondo chiuso a cui si accede attraverso una porta: probabilmente anche adesso, da qualche parte in questo palazzo (la Camera di Commercio di Lucca, sede della Sala stampa del LC&G 2022, n.d.r.) pieno di computer e tecnologia c’è un santino o un ferro di cavallo. Lo stesso cristianesimo ha veicolato il folklore per far arrivare la religione alle persone più semplici: in questo senso è un sistema che funziona come un aeroporto, nel quale puoi fare atterrare tutti gli aerei che vuoi.
Un aeroporto senza radar, però, quindi bisogna stare molto attenti.
Intervista condotta dal vivo il 31/10/2022 a Lucca
Biografie
Marco Taddei (1979) esordice nel 2008 con una raccolta poetica intitolata In DOSI MInime per Firenze libri. Nel 2012, assieme a Simone Angelini esce Storie Brevi senza pietà e nel 2013 Altre storie brevi e senza pietà, che vale agli autori il premio Boscarato come Migliore Rivelazione al Treviso Comic Book Festival 2014. Nel 2015, sempre con Angelini, crea Anubi, Premio Boscarato come Miglior Fumetto italiano nel 2016 e Miglior fumetto del 2015 per i lettori di Repubblica XL.Tra gli altri suoi lavori ricordiamo La Nave dei Folli e Il nuovo palazzo della sirenetta, per Orecchio Acerbo, Malloy, Gabelliere Spaziale per Panini, 4 Vecchi di Merda, Coconino Press. Il 2020 è l’anno de Il Battesimo del Porco, disegnato da Samuele Canestrari e pubblicato da Maledizioni, mentre l’anno successivo esce La Quarta Guerra Mondiale con i disegni di Spugna, edito da Feltrinelli Comics.
Laura Cameli – La Came (1983)
Membro del collettivo Mammaiuto, i suoi lavori si possono leggere su www.mammaiuto.it Ha partecipato a Un ragazzo parte per un viaggio, ferisce qualcuno non torna più a casa, Escamotage e 10, le antologie pubblicate dal collettivo. Ha collaborato con Lök Zine, Éditions Sarbacane, Inuit, Linus. Sempre con Mammaiuto ha pubblicato Suomi, Under a Spell, I tre cani con Samuel Daveti, vincitore del Premio Boscarato come Miglior Fumetto Web nel 2018.