Mi piacerebbe una sua presentazione, fatta da lei stesso. Chi è, quali lavori ha realizzato in Brasile per la Disney, che attività sta svolgendo attualmente.
Mi chiamo Arthur Faria Jr. e ho 50 anni. Sono nato e ho sempre vissuto in una piccola e tranquilla città di provincia, chiamata Brazolpolis. Ho studiato ingegneria delle telecomunicazioni ma il mio sogno è sempre stato quello di lavorare coi fumetti, Disney specialmente, con i quali ho praticamente imparato a leggere. Per fortuna nel 1982, epoca in cui inviai alcune storie (sceneggiatura e disegno) all’Editora Abril, i fumetti Disney godevano di grandissimo successo in Brasile e la redazione Disney aveva un disperato bisogno di sceneggiatori; da quel momento cominciai immediatamente a produrre sceneggiature (per quanto inizialmente desiderassi anche disegnare) continuando per ben 16 anni, durante i quali ne scrissi all’incirca 700, fino a quando le vendite scesero sotto il livello preteso dall’Editrice determinando in tal modo la chiusura della redazione. Da quel momento scrivo soltanto qualche sporadica sceneggiatura, quando possibile, e sempre per la Disney. Continuo a sognare che un giorno, in Brasile, i fumetti Disney tornino ai “gloriosi livelli” di un tempo.
La storica edizione “Zio Paperone 200”, recentemente pubblicata, contiene una delle sue sceneggiature. Mi riferisco a “La prima cassaforte” o “Il primo deposito di Zio Paperone”. Ci racconti qualcosa su questa storia, su cosa la porto’ ad immaginare uno Zio Paperone bambino.
Quella è una storia che scrissi quasi all’inizio della mia carriera di sceneggiatore Disney e, purtroppo, persi la copia della rivista nella quale fu pubblicata; pertanto dovro’ riesumarla dalla mia memoria. Tanto per cominciare, gli sceneggiatori Disney brasiliani non hanno mai dato molta importanza alla continuità, perciò quello che immaginai per l’infanzia di Zio Paperone non segue necessariamente i canoni stabiliti da Barks e altri (come nella storia raccontata dal Prof. Ludovico e basata su un suo libro riguardante la Famiglia dei Paperi; si può dire che certe incoerenze o licenze si devono alla famosa distrazione del rinomato scienziato). In quell’episodio ci troviamo di fronte alla Paperopoli d’inizio secolo passato, con un Paperone-bambino che sta già accumulando una piccola fortuna in monete lavorando come lustrascarpe e sta costruendo una “cassaforte in un albero” per nasconderle, cassaforte che diventerà ben presto oggetto dei machiavellici piani della Banda Bassotti (il nonno e i fratelli degli attuali, credo), anch’essi bambini. In pratica tutta la storia è un gioco basato sul desiderio, comune a tutti i bambini, di costruire case sugli alberi. Ho semplicemente pensato che anche Zio Paperone non facesse eccezione, con l’unica differenza nel suo voler rendere un po’ più pratica ed economica la casa, in accordo al suo modo d’essere.
Per quanto riguarda la continuità, sono dell’opinione che essa costituisca, nei fumetti Disney, un fattore negativo: certo, si possono creare ottime storie rimanendo fedeli ad essa (Don Rosa è un esempio), ma trasformarla in una legge troppo rigida può far sì che eccellenti e divertenti sceneggiature non vengano mai scritte o siano semplicemente rifiutate.
Come artista, quali sono state le sue influenze?
Praticamente tutti gli eccellenti sceneggiatori e disegnatori classici della Disney, il cui lavoro ebbi il piacere e l’onore di leggere quand’ero bambino. Oltre a Barks, certo, apprezzo molto la deliziosa storia che Carl Fallberg e Floyd Gottfredson scrissero per Topolino. Sono anche un estimatore incondizionato di Harold Foster (Prince Vaillant) e della copia Stan Lee/Jack Kirby. Mi piace pensare che il mio stile di scrittura sia fortemente influenzato dallo stile di Barks e Fallberg, ma con un grande e imprescindibile schizzo del “jeitinho brasileiro” (il “modo di fare dei brasiliani” – ndt) senza il quale, per esempio, non si potrebbe neppure cominciare a scrivere la sceneggiatura di Zé Carioca (che adoro).
Prima di scrivere una storia faceva ricerche sul tema e raccoglieva informazioni per trasferirle nella sceneggiatura? Come faceva per trovare ispirazione e trattare gli argomenti con emozione?
Temi per storie semplici, per esempio, sorgono anche solo leggendo qualcosa in un giornale, in una rivista o assistendo a qualche programma in TV. Una semplice parola o situazione, con un adeguato potenziale, può far apparire nella mia mente un’idea per una rapida avventura umoristica di Zé o Paperino. Siccome sono sempre stato una persona molto curiosa, del tipo che adora assorbire e “digerire” ogni aspetto di una notizia, naturalmente umoristica, credo di essere riuscito in tal modo ad accumulare nella memoria un bagaglio considerevole di informazioni che, incrociate e mischiate adeguatamente, mi forniscono sempre buone idee: è sufficiente un tema iniziale simpatico e papabile di successo come scintilla ed il resto scorre quasi automaticamente. Per storie più elaborate e “importanti” faccio indagini, certo, ma spesso sorgono anch’esse spontaneamente mentre scrivo storie senza pretese, la cui unica funzione è divertire. Queste sembrano essere le mie migliori.
Attraverso i mezzi di comunicazione riceviamo quotidianamente prodotti culturali di natura nazionale ma anche numerosi altri di paesi stranieri. Per questo molti dicono che “sappiamo tutto quello che succede nel mondo, ma non sappiamo quello che succede nel nostro quartiere”. Anche per i fumetti Disney una medesima opera circola spesso in vari paesi. Quando scriveva una storia, lei pensava ad un lettore brasiliano o ad un lettore internazionale? Come articolava i temi globali con i temi locali?
Dipende dal personaggio. Disney ha talmente tanti tipi differenti di personaggi, regionali e non, che un autore può scrivere qualsiasi cosa per qualsiasi tipo di pubblico; questo spiega perché le storie Disney hanno riscosso grande successo in tutto il mondo. Con i paperi possiamo scrivere una storia dal tema universale, gradita al mondo intero, oppure a tema locale, poiché i personaggi sono molto flessibili. Al contrario, le avventure di Zé Carioca sono marcatamente regionali tanto che sono molto apprezzate (o almeno lo erano) dal lettore brasiliano, ma praticamente sconosciute o tali da attrarre poco l’attenzione fuori dal Brasile (quando Don Rosa decise di utilizzare Zé, quello che vedemmo fu una versione “Carmen Miranda” del pappagallo, tanto per capirci. Humm…).
Ovviamente cercavamo di non essere troppo regionali (eccetto con Zé e Dinamite Bla che, da eremita tipicamente nordamericano, passo’ ad essere un tipico contadino brasiliano) e producevamo in una maniera da poter editare e adattare successivamente senza grossi problemi: esportare la produzione locale è sempre stato un fattore importante per le case editrici e gli studi coinvolti, non importa di quale paese. “Importare e tradurre” può rivelarsi molto comodo e redditizio ma, indipendentemente dai risultati economici, non si può dire che non si tratti di una vergogna e un regresso, almeno nella mia opinione.
I fumetti sono anche espressione di cultura popolare, di folklore e costituiscono un poderoso strumento di educazione. Qui in Brasile la pubblicità si affida sempre più spesso a questo mezzo, sia attraverso la creazione di personaggi, sia tramite l’utilizzo di riviste promozionali, campagne pubblicitarie, istituzionali, educative, ecc. Nello stesso tempo la comunicazione attraverso riviste a fumetti viene utilizzata come forma di educazione degli adulti. Esistono fumetti rivolti persino all’addestramento per la sicurezza sul lavoro e alla certificazione ISO 9001. L’utilizzo del fumetto a questi fini è positivo secondo lei?
Certo, lo sottoscrivo in pieno. Ma l’aspetto curioso di tutto questo, perlomeno dal mio punto di vista, è che nonostante sia convinzione diffusa che tutti amino leggere fumetti in qualche momento della propria vita, la maggioranza delle persone (leggi gli adulti) è, tuttavia, imbarazzata ad ammetterlo dato che i fumetti – così come i cartoni animati (che anch’io amo) – sono culturalmente considerati “roba da bambini”(anche quando rendono fortune). Finché perdurerà quest’atteggiamento, non credo che i fumetti svilupperanno tutto il loro reale potenziale culturale ed educativo.
Negli ultimi anni il Brasile è stato letteralmente invaso da decine di nuovi personaggi che hanno richiesto un massiccio investimento pubblicitario. Allo stesso tempo Zio Paperone – con il quale lei ha lavorato molto – e i personaggi dei fumetti Disney, nonostante nessuna promozione pubblicitaria, continuano ad essere molto amati dai brasiliani e ad attrarre nuovi fan tra i giovani e i bambini. A cosa attribuisce questo fascino?
Zio Paperone è uno di quei personaggi che non furono progettati minuziosamente: è sorto spontaneamente dalla mente geniale di Barks e con l’unica intenzione di riempire una lacuna in una trama. Era soltanto una scusa, per Paperino, per andare fino alle montagne in quella memorabile storia natalizia con gli orsi. Tutti adesso sanno che Barks non pensava di riutilizzarlo, ma il personaggio ebbe un immediato successo tra i lettori e da quel momento Barks inizio’ progressivamente a modellarlo. Il resto è storia.
Personaggi che entrano nel gradimento del pubblico in quel modo sorprendono: sarebbero nati e arrivati al successo in qualsiasi maniera. Esistono eccezioni, certo, ma la maggior parte dei personaggi “destinati all’eternità” nasce così, d’improvviso. Sono estensioni del proprio autore e, spesso, questi neanche se ne accorge. Come si usa dire: si deve scrivere sull’argomento (e, di conseguenza, creare personaggi) che conosciamo meglio; e quali personaggi conosciamo più a fondo se non noi stessi?
Per concludere, immagini di ricevere una telefonata in questo momento, con la quale le venga chiesto di scrivere una storia da pubblicare diciamo nel prossimo mese. Che storia sceglierebbe?
Una storia in cui qualcuno chiede a Zé Carioca di fare qualcosa, ma lui si adagia nella sua rete per “pensare” alla proposta e dopo un mese si rende conto di aver dimenticato completamente la richiesta; per questo crea una trama mirabolante per far fronte alla situazione, tentando di uscirne bene…
Leggi la versione in brasiliano/portoghese dell’intervista