Gli influssi futuristi su Carlo Bisi

Gli influssi futuristi su Carlo Bisi

Pino Jubatti racconta aneddoti relativi a Carlo Bisi, creatore del personaggio Sor Pampurio. Nella vita e nelle esperienze di Bisi, Jubatti trova velati richiami al futurismo

In occasione del 125° anniversario della nascita di Carlo Bisi, Lo Spazio Bianco ripropone un articolo di Pino Jubatti pubblicato sulla rivista Fumetto. In questo racconto carico di aneddoti anche personali, Jubatti ricostruisce le frequentazioni di Bisi e i riflessi artistici che il futurismo ebbe sull’autore di Sor Pampurio.

Pampurio ammiccava al Futurismo

[Articolo apparso originariamente su Fumetto n° 81 a firma di Pino Jubatti]

Fu nella primavera del 1965 che incontrai per la prima volta Carlo Bisi. Da tempo collaboravo al Bertoldo di Gino Sansoni, sul quale curavo alcune rubriche di satira; contemporaneamente, assieme a Giovannino Manca, Beppe Novello, Mario Vellani Marchi, stavo realizzando alcune dettagliate schede biografiche di caricaturisti viventi, che dovevano andare ad infoltire il testo Storia della Caricatura Europea – libro di importante riferimento settoriale che uscirà due anni dopo, per i tipi della Casa Editrice Vallecchi di Firenze – del noto storico della Caricatura, Enrico Gianeri, in arte GEC.

Ma prima di procedere oltre, occorre qualche cenno sulla “conoscenza precedente” del celebre inventore del Sor Pampurio: conoscenza, s’intende, d’arte grafica e di cultura fumettistico-caricaturale, quindi assai incisiva dal punto di vista della crescita di certo giornalismo per la gioventù; infatti, avendo sempre operato nel campo della satira, con compiti a volta a volta grafici e testuali, avevo approfondito i più diversi autori dai lontani Anni Quaranta – prima nelle vesti di semplice fruitore di letture giovanili, ergo Corriere dei Piccoli in testa, quindi come studioso dei “segni” di illustratori affini, relativamente ai classici di riferimento –, mi è occorso di sondare opere e complementi dei disegnatori più in vista. Tra costoro, l’arte di Carlo Bisi mi conquistò per il suo notevole equilibrio formale e per quella asciuttezza di segno geometrizzante, grazie ai quali si affermò in un lungo arco di tempo, pur in presenza di notevoli concorrenti quali Tofano, Manca, Angoletta, Baldo, Palermo, Pompei, de Vargas ed altri (senza contare i pregressi Mussino, Sgrilli, Rubino… ed escludendo quell’autentico gigante – sia per imponenza fisica, quanto per destrezza di penna – dell’illustrazione, di nome Gustavo Rosso, alias Gustavino). Assieme all’aspetto ineludibile – ma che molti critici continuano ad ignorare – dei testi in rima sotto forma di distico anti (polemicamente) ed ante fumetto (nuvoletta); significando che, per un giudizio individuale più congruo, non ritengo separabili quei due aspetti di proiezione storico-critica, perché altamente identitari: il tratto grafico e il lessico letterario!

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Ad uso del lettore attento aggiungerò, in modo sommesso: ogni tanto, a complemento accessorio di quelle molte rime, appariva tuttavia uno spaurito, isolato balloon – innocente e vagamente allusivo, quasi dispettoso – sotto forma di anticipatore e non fuggevole presagio del suo trionfo… futuribile).

Né mi sento di escludere certa atmosfera – anche se la relativa conquista arrivò dopo –, nient’affatto bambinesca, anzi di chiara destinazione alto-critica, riguardante gli aspetti culturali sempre visti con sospetto dalla (ex) cultura ufficiale, almeno anteriormente agli Anni Settanta del Novecento1 e, in particolare, dell’ampio periodo pre-bellico.
Sicché, in quel luminoso pomeriggio del maggio milanese, combinammo di andare a far visita a Carlo Bisi e, dopo aver fissato un appuntamento da parte del suo vecchio sodale Giovannino Manca, ci recammo nello studio dell’autore del Sor Pampurio, in Via Fratelli Bronzetti a Porta Vittoria.
Eravamo in quattro: assieme a chi scrive, erano Beppe Novello e Gec, arrivato apposta da Torino, con i quali passammo a prelevare l’autore di Pier Lambicchi, in Via Tadino ai bastioni di Porta Venezia, per proseguire verso il non lontano studio di Carlo Bisi.

Gec, che mi aveva voluto conoscere grazie alle mie caricature di Charles De Gaulle e di Ludwig Erhard, esposte alla Biennale di Tolentino nel 1963, mi aveva eletto a suo alacre collaboratore per l’area di Milano, ed in seguito ne era nata una lunga ed intensa amicizia, durata fino alla sua scomparsa nel 1984; a due anni dalla dipartita dell’autore del Pampurio, peraltro più anziano di 10 anni.

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Ebbene, raggiunta Via Bronzetti, salimmo all’ultimo piano del caseggiato, raggiungendo lo studio in cui Carlo Bisi ci attendeva impaziente: baci e abbracci tra vecchi amici, stretta di mano da parte mia che ne stavo facendo la conoscenza; in quel momento l’artista di Brescello contava già 75 anni, ben 42 in più dell’autore di questa esigua memoria. Mi si presentò come un ometto – non era di statura gigantesca come la sua matita, al contrario, mi aveva lasciato presagire: mi appariva, inoltre, tale e quale uno dei coloriti personaggi del collega Manca – gentile e dolcemente riservato: ne nacque una conversazione a più voci, in cui si parlò di tutto quanto poteva interessare la comune arte umoristica e satirica; tanto che il vivace Gec, sollecitandolo attorno ad un fuggevole cenno fatto in proposito dello scontro con il noto pittore futurista Fortunato Depero, ne ampliò il successivo deflagrante aspetto polemico. È bene sapere che Gec ha sempre amato arricchire i suoi testi storici – sia quelli di contenuto monografico che quelli di più squisito ed ampio indirizzo storiografico: da Champfleuri a Scalarini, da Pier Leone Ghezzi a Papa Lambertini, da Pino Zac alla satira de Le Canard Enchaîné –, indulgendo ad episodi piccoli e grandi in accredito delle inappuntabili documentazioni fornite per la complessa storia della caricatura.

Sicché, ne venne fuori un bel caso aneddotico che il torinese raccolse con il segreto intento di inserirlo tra le pagine delle sue innumerevoli opere.
Era successo che Bisi era stato minacciato di querela da parte del Depero, perché il noto pittore e scenografo aveva sostenuto presso altri futuristi – attraverso la rumorosa frenesia motoria del caso – di ravvisare, nei disegni e nello spirito del Pampurio, un’incipiente quanto irriverente forma di plagio dell’arte sua.
A memoria del maestro di Brescello, si era nel pieno degli Anni Trenta e – ancorché col senno del poi, visto che di temi da satireggiare il Depero ne aveva clamorosamente già esibiti più di uno: gli indossatissimi panciotti futuristi, l’autocelebrativo libro bullonato, il piaggiatore temporale Marinetti, oltre ai tanto chiacchierati arazzi mosaico (inventati, si disse, onde riciclare vecchi tessuti per costumi scenografici inutilizzati) – il suo Pampurio, con o senza tendenziosa etimologia corriva, aveva più volte avvicinato ironicamente, sia pure in modo garbato e divertente, il tema della pittura moderna, insomma quella che la faceva da padrona, ossia il futurismo; per di più nella forma che la grafica bisiana ne derivava brillantemente e non certo ad un dipresso; anzi, al punto che qualche zelante storico del fumetto “d’oggidì”, ha definito Carlo Bisi “disegnatore futurista” tout court.

Chi conosce bene l’opera di questo artista sa che il tema della pittura è stato toccato ripetutamente nelle sue bonarie scorribande sul Corriere di Piccoli: nell’ultima pagina del numero 3 del 17 gennaio 1943, addirittura, la sua satira – è il caso di conclamarlo: anche “letterariamente” assai raffinata –, vede protagonista la pittura in generale, in una fiabesca Storia del cipresso del castello del parco del Re, attraverso una coloritissima tavola a tutta pagina. Ma sa pure che in diverse e più frizzanti occasioni, ha toccato da vicino quella “corrente”, sia in senso astratto che nelle sue concrete evidenze: in un’altra circostanza – ma chi scrive precisa che si tratta soltanto di esempio isolato, tra i molti altri –, prendendo lo spunto dalla ricorrenza della Pasqua, sulla prima pagina del Corrierino n. 4 del 21 aprile 19462, “il suo nuovo amico (e cento)” Calimero Lunghechiome fa le spese del “Sor Pampurio arcicontento” nelle vesti di delizioso critico d’arte: …“riprodur fa sul giornale/quel suo enorme ovo pasquale”, stupefacente parto moderno di un pittore che, nei quadretti consueti, “parla troppo, troppo spesso/dei suoi quadri e di se stesso”, esibendo opere che a suo dire potrebbero ben figurare a firma di Leonardo e di Giotto, del Tiziano e del Perugino.

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 Ma come finì la querelle col Depero? (Qui occorre dire che Gec ebbe il suo bel daffare per digerire la delusione che ne seguì, a motivo di un epilogo piuttosto edificante, malgrado tutto: egli che aveva dovuto registrare pesanti seccature con il defunto “regime”, a causa delle proprie idee non precisamente allineate, si era ingolosito attorno ad una possibile conclusione dell’episodio, in senso delatorio a sfavore del futuristico3 artista; soprattutto perché, avendo in ristampa il suo famoso Cesare di cartapesta – una biografia al vetriolo del Duce in caricatura – avrebbe volentieri arricchito la pungente aneddotica anti-Benito).

Era accaduto che per la tempestiva intercessione dell’immancabile personaggio influente, ancorché in orbace e fez, era stato composto l’incipiente dissidio d’arte: si trattò dell’alto funzionario conterraneo del nostro protagonista che, con il suo intervento da “paciere in panni bellici”, riuscì a restituire anche le oneste vesti (a patto che non fossero definite satiriche, ma solo blandamente umoristiche, secondo costume ideologico del momento) del “benpensante” Sor Pampurio.

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Naturalmente, il severo e corretto Bisi non ritenne serio fare il nome dell’influente conterraneo – nemmeno in camera caritatis –, a conferma della dirittura morale di quel grande maestro che fu l’inventore degli antesignani cambi d’opinione a furor di distico. Il quale, a suffragio di quei dati, concluse nondimeno con la grande amabilità del caso: “Così il Bisi arciscontento/tosto in rima offrì l’evento!” (E qui è il caso di “rileggersi per intero” quella tavola del Corrierino n. 22 del 1937 a significativo seguito muto: giusto in religioso e meditativo silenzio!)4

Riproponendo, in tal modo, le tesi del critico che nei panni del Sor Pampurio ha voluto vedere – non irragionevolmente ed in una forma di satira ben dissimulata – il misero retroscena domestico attinente proprio alla figura dell’eroe del momento, il gerarca e le sue ridondanti gesta pubbliche; insomma, “il triste pomeriggio in abiti borghesi del ducetto di un fascio rionale”? Contrapposizione che mostra, in ogni caso – alla felice conclusione di chiave storica, ma pure di una non disutile analisi pedagogica –, come nell’insospettato ambito della letteratura infantile, compaiano le più significanti testimonianze alternative rispetto ad un mondo e ad una temperie poco lacrimati.


  1. Il fatto che avessi dimora di lavoro – lo studio in Via Cernaia, 7 (sin dalla fine degli Anni Cinquanta e per tutti i Sessanta) –, accanto a quello di Giovanni Gandini e del suo Linus, confesso che ebbe la sua ragguardevole importanza. 

  2. Da poco tornato alla testata d’origine, dopo il cambio temporaneo in Il Giornale dei Piccoli (27 maggio 1945-24 marzo 1946): stratagemma editoriale per fini di necessario… allineamento politico. 

  3. Le vicende personali di Gec (Firenze, 1900-Torino 1984; e non 1989, come continua a divulgare l’immancabile esperto a corto di dati), in tal senso, sono state evidenziate nella lunga controversia del noto scrittore ebreo Pitigrilli (Dino Segre). Per le proprie idee contrarie al fascismo – vedi accese contestazioni politiche, nella direzione del Codino Rosso degli Anni Venti, a Torino, cui seguirà il notorio imbavagliamento – dovrà pure lui scrivere sotto pseudonimo; invece, come disegnatore, figurava costantemente nella pagina della Palestra dei Lettori, illustrando le “cartoline del pubblico a venti lire ognuna”, proprio sul Corriere dei Piccoli di quegli anni. A proposito: sfogliando il Corrierino del tempo, mi capitò di leggervi una specie di ironica premonizione, ancorché di prossimità “bestiaria”: nell’ultima pagina del n. 14 del 1941, fra le pieghe del “cineracconto” horror, intitolato L’invasione di Milano, per i disegni di Edgardo Dell’Acqua, si parla di “massacro in Piazzale Loreto”; in precedenza (n. 21 del 25 maggio 1930, pag. 9) Guido Moroni Celsi aveva messo in burla, attraverso il suo greve Barbanegra, una curiosa anticipazione: l’invenzione del “telefono tascabile”; mentre Pampurio, al solito, trionfava con le sue ammiccanti rime, fra le autarchie della nostra cucina e i deliri del gioco del lotto. 

  4. Così come va rammentato che il 9 marzo 1930, Sor Pampurio se la prendeva con la poesia moderna; e che il successivo 6 aprile i suoi ben camuffati strali, avevano per bersaglio le “nuove architetture” littorie dopo le discusse demolizioni del centro di Milano. 

1 Commento

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  1. Nerli Ballati Marco

    1 Febbraio 2015 a 15:49

    Quanti ricordi il ‘Corriere dei Piccoli’…

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