Nel magnifico volume che Taschen ha dedicato al Little Nemo di Winsor McCay, uno dei padri fondatori del fumetto, a un certo punto viene spiegato che il principale problema di McCay e della sua famiglia era COSA FARE col talento del giovane disegnatore. Siamo alla fine del 1800, non ci sono abbastanza soldi per fargli frequentare una scuola d’arte e gli sbocchi professionali sono pochissimi. “Si sarebbe potuto pensare a una carriera nel cinema e nei fumetti“, commenta l’autore del ricco apparato redazionale. “Ma in quegli anni nessuno di quei due media esisteva ancora“.
Boom. Un mondo senza film e senza comics. Difficile da immaginare, oggi. Ma quando i fumetti fanno la loro apparizione nessuno grida al miracolo. Anzi: la nuova forma d’arte viene osteggiata, disprezzata, guardata con sospetto quando non addirittura con disgusto. E la stessa sorte tocca ai suoi autori, non considerati – né dalla gente né per primi da loro stessi – degli artisti. Ma qual è una delle “colpe” attribuite al fumetto, uno dei principali motivi per i quali la sua esistenza è vista come un abominio, un’eresia, una minaccia? Il fatto che “democratizza” l’arte, la rende alla portata di tutti a basso prezzo, riproducibile su larghissima scala, e la offre a ogni tipo di cittadino, anche agli illetterati, anche al volgo.
A pensarci ora è un effetto dirompente: fino a quel momento l’arte era il quadro costoso, in singola copia, che solo i ricchi potevano permettersi; o che al massimo si poteva vedere facendo un pellegrinaggio fino a un museo. Apprezzarlo richiedeva una certa dose di gusto, stile, intelligenza. Ma per i comics non serve niente di tutto questo. Basta il classico nichelino e ci si porta a casa la riproduzione a colori di una pagina formato gigante di grandissimi disegnatori.
Boom, appunto.
Nel suo La magnifica illusione (volume 1 di 2) Alessandro Tota non parte da così lontano, ma racconta un paese che da quelle basi era partito e in quelle sabbie mobili culturali è ancora impantanato. Siamo nel 1938 in USA, poco dopo la nascita dei primissimi supereroi. Il fumetto popolare è figlio delle riviste pulp e si rivolge a un pubblico di bocca buona, di grana grossa, di tutte le età. È un lavoro pagato poco, riconosciuto ancora meno e gestito da imprenditori ai confini con la malavita. Ne consegue che le persone che vi gravitano intorno – tranne poche, illuminate eccezioni – sono ossessionati, fanatici, innamorati, scarti, perdenti, delinquenti o ingenui di ogni risma.
Come Roberta Miller (ma attenzione, è un nome d’arte), aspirante scrittrice fuggita dalla classica fattoria del Kansas e approdata a New York in cerca di successo, che dopo varie peripezie finisce a fare fumetti senza quasi rendersene conto, venendone per sempre cambiata e cedendo la propria anima candida in cambio di un’effimera carriera.
O come Frank Battarelli, italoamericano che sogna una vita da artista apprezzato, ma per riuscire a campare (più o meno onestamente) è costretto a disegnare le avventure del giustiziere Dogman.
O come tutti gli altri personaggi che gravitano intorno a un mondo ancora in cerca di una direzione, controllato da affaristi senza scrupoli, fatto di povertà e nottate passate al tavolo da disegno o alla macchina da scrivere, nel tentativo spesso vano e frustrante di far coincidere la Passione (quella con l’iniziale maiuscola) col bisogno di denaro. Il tutto in un’ambientazione viva, vibrante, realistica, nel quale moti comunisti e desideri reazionari si scontrano con l’ideale americano e con la pressante minaccia di un conflitto mondiale che scoppierà infatti di lì a pochi anni. E siamo solo alla prima parte della storia.
Riassumere La magnifica illusione non è facile. Non tanto per la trama quanto per gli infiniti spunti, e temi, e personaggi reali e di fantasia, e fatti storici, e riflessioni e idee che contiene e che lo rendono ricco, vibrante, acuto, intelligente e nello stesso tempo lieve e godibile. Il percorso di Roberta, a partire dalla fattoria dei suoi genitori fino ai grattacieli di Manhattan, incrocia mille situazioni, eventi, persone e destini che si intersecano, procedono di pari passo, si uniscono per poi dividersi per poi unirsi ancora; e mutano, mutano sempre, dando vita a quell’affresco brillante e a volte confuso che è la vita. Roberta stessa cambia tantissime pelli all’interno della storia: la vediamo nascere ingenua e la ritroviamo fredda e calcolatrice. Ma ogni suo mutamento è specchio e riflesso dei mille altri che le accadono intorno, ognuno dei quali influenza ed è influenzato.
In questo senso, Tota compie l’azione più difficile e più importante che un autore possa fare: anche se il suo (apparente) desiderio è quello di raccontare l’agrodolce avventura di due fumettisti scalcinati e del loro rapporto con il mondo dei comics, si rende conto che è impossibile escludere il contesto dalla loro storia. Roberta e gli altri non possono essere semplici manichini immersi in una vaga e imprecisa ambientazione. Per raccontare la vita in piccolo è necessario spiegarla col metro della vita in grande, lasciare spazio a comprimari e a lotte clandestine, a politica e affari, a manifestazioni e scontri di piazza, ai manganelli della polizia e al mondo artistico dell’epoca, alle testimonianze di personaggi realmente esistiti, alle storie di chi ce l’ha fatta e chi ci prova, alla quotidianità descritta con rigore e precisione. Ed è inquietante vedere quante delle riflessioni su arte, talento, passione, denaro che ne scaturiscono siano valide anche ai giorni nostri. Comprese, ahinoi, le più desolanti riguardo il mondo del fumetto; quelle che ci riguardano un po’ più da vicino.
Tota tutto questo lo sa raccontare nel migliore dei modi. Il suo lavoro è davvero piacevole da leggere, mai prolisso, mai accondiscendente, mai schierato, mai didascalico. Tutto ciò che viene narrato è funzionale, chiaro, interessante e completo pur nella ovvia e doverosa semplificazione. C’è spazio per il realismo e per il grottesco, e lo stile si piega naturalmente alle esigenze della singola scena. C’è molta serietà e nello stesso tempo siparietti schiettamente comici. Ci sono frasi di quelle che andrebbero sottolineate, e soprattutto mancano le risposte e ci sono quasi solo domande. Inutile chiedersi chi abbia ragione o chi torto, chi siano i buoni o i cattivi, perché le categorie si mischiano al punto da essere indistinguibili. Il titolo lo spiega bene: tutto ciò che succede è una magnifica illusione, come ogni passione quando si cerca di tramutarla in un lavoro da sogno.
E se forse può essere davvero un mondo fatato quello dell’artista, ci sono compromessi ai quali bisogna scendere; e non è automatico che si possa restare se stessi mentre si cerca di dar vita a ciò che si ama. Ma non si può biasimare Roberta per il fatto di provarci, così come non si può parteggiare per Frank quando si trova nel ruolo della vittima; e non si può ridere del il sogno di Jules (un giovane Feiffer, se abbiamo capito bene), o delle lotte dei comunisti americani che denunciano lo spettro del nazismo, o dei dubbi del giornalista Eugene, diviso tra l’ideale comunista e la voglia di pubblicare resoconti delle persecuzioni e deportazioni messe in atto dai sovietici.
Tutti, a modo loro, si illudono, se vogliamo metterla così. Ma – e qui sta il perfetto gioco di prestigio – la “magnificenza” del loro sogno può essere intesa come luce che abbaglia, che trae in inganno, che nasconde errori e orrori di esistenze mal gestite… oppure come elemento in qualche modo salvifico e giustificativo. Perché certe cose sono null’altro che sogni, certo; ma così belli che non si può fare a meno di provare a farli avverare.
Dal punto di vista dello stile, la magia si ripete. Segno conciso, rapido, efficace, leggibile, duttile e preciso, capace di raccontare. Una linea chiara indubitabilmente francese, ma che rimanda a tanti fumettisti presenti e passati, cartoonesca e grottesca quando serve ma capace di avvicinarsi al realismo quando la scena, la tavola o la singola vignetta lo richiedono. Stesso discorso per le chine, morbide, sinuose, quasi Eisneriane in alcuni punti, oppure spezzate e distorte in altri. La New York sognata sembra uscita pari pari da uno sfondo del già citato McCay o da un dipinto di Grosz, e quella “reale” dalle geometrie precise, angolose, diritte, ossessivamente prospettiche, fatte di spigoli e angoli retti tipica dell’architettura americana. Sarebbe possibile tracciare tante altre similitudini, scovare punti di riferimento attuali, stili familiari; ma in questo caso è forse un’impresa ridondante e fondamentalmente inutile, perché ogni autore citato pesca dallo stesso bacino di immagini e seduzioni, riferimenti e miti, a cui Tota stesso attinge quando deve tracciare un viso, un corpo in movimento, un’ombra, un abito pieno di pieghe, un paio di scarpe da uomo che improvvisamente, una volta inquadrate da vicino, si ricoprono di macchie, graffi e polvere.
Completano il tutto dei colori a tinte piatte basati su una palette virata al giallo, quasi una patina di passato stesa sopra tavole nelle quali gli unici toni brillanti sono quelli delle copertine del numero uno di Action Comics e dei fumetti suoi fratelli. Di nuovo, illusioni meravigliose, più nitide della realtà, dei caseggiati spenti e della luce eternamente crepuscolare che sembra permeare New York come una fitta, violenta, grottesca nebbia. E forse non è un caso se l’unica persona che ce l’ha fatta, cioè Bob Kane, l’autore (o meglio: uno degli autori) di Batman, è il solo personaggio del fumetto che vive in un mondo in cui il cielo è azzurro, ed erba e foglie e prati sono verdi. Il solo che è stato in grado di riappropriarsi dei colori “normali”. Forse perché è stato più intelligente degli altri. Forse perché è stato abile, manipolatore e ingannatore. O forse perché è passato al lato oscuro del fumetto, della vita e del mondo degli affari, che ha reso un innocuo passatempo per ragazzi un business per ricchi imprenditori pronti a speculare su tutto e tutti.
Questa recensione è per molti versi incompleta: ci sarebbero molte altre cose da dire e riflessioni più acute da fare, in quanto gli argomenti trattati da Tota sono così tanti, importanti, e seminali (per non parlare dei riferimenti visivi) che servirebbero molto più tempo e più spazio per rendere giustizia a ognuno di essi. In ogni caso, La magnifica Illusione è un lavoro adulto ed elevato, costruito con talento e acutezza, che merita di entrare nelle librerie degli appassionati (di fumetti oltre che di buone letture) e di essere apprezzato per ciò che è in grado di offrire.
Abbiamo parlato di:
La magnifica illusione
Alessandro Tota
Coconino Press, 2024
248 pagine, brossurato, colori – 22,00 €
ISBN: 9788876187568