Create nel 1984 da Kevin Eastman e Peter Laird nelle pagine di una coraggiosa serie a fumetti autoprodotta, le Tartarughe Ninja sono diventate in breve tempo uno dei maggiori fenomeni mediatici degli anni ’80 e ’90. Merito soprattutto della prima, storica serie animata del 1987 che sdoganò il quartetto di eroi al grande pubblico. Nel corso dei decenni la popolarità di Leonardo, Donatello, Raffaello e Michelangelo non è scemata, anzi, viene mantenuta viva da un costante flusso di opere che attraversa pressoché ogni medium esistente.
Tartarughe Ninja: Caos Mutante, diretto da Jeff Rowe e che vede, tra gli altri, Seth Rogen in veste di produttore e sceneggiatore, è solo l’ultima iterazione del franchise e si presenta come un film ben confezionato, divertente ma anche intaccato da qualche mancanza che gli impedisce di fare quel passo in più per diventare memorabile.
Il maggior pregio di Caos Mutante è il modo in cui riesce a far affezionare ai quattro eroi protagonisti, qui agli inizi della loro attività come vigilanti. Questo si deve in parte a una caratterizzazione sopra le righe, da adolescenti chiassosi e iperattivi, ma soprattutto all’efficace arco narrativo che attraversano nel corso del film. Un percorso di maturazione volto al superamento dei propri conflitti interiori, fino a diventare i paladini di New York che tutti conosciamo.
Il loro più grande desiderio è semplicemente quello di venire accettati dal mondo di superficie ma questo viene costantemente represso dal maestro Splinter, che impone loro di restare nascosti perché è convinto che gli umani, se sapessero della loro esistenza, li accoglierebbero con nient’altro che paura e ostilità. Da qui si sviluppa il loro percorso interiore, dalla decisione di contravvenire agli ordini di Splinter e dimostrarsi degli eroi meritevoli di ammirazione agli occhi degli umani, fino alla completa accettazione da parte di questi ultimi, che però passa attraverso la realizzazione che il desiderio di aiutare gli altri dovrebbe essere disinteressato e non finalizzato a ottenere lodi. Di pari passo anche il loro affiatamento come squadra cresce, si rafforza nel corso del film, da combattenti alle prime armi che non hanno mai affrontato un vero combattimento a veri e propri ninja degni di questo nome.
Il motivo per cui tale arco narrativo risulta tanto incisivo e coinvolgente è che ad esso il film applica scrupolosamente il principio “show, don’t tell”; un’informazione viene recepita come molto più credibile e concreta se supportata da un riferimento visivo. E dunque, anziché limitarsi a spiegare a parole il conflitto vissuto dai quattro fratelli, tra il desiderio di rivelarsi agli umani e la necessità di rimanere nell’ombra, il film si prende il suo tempo per mostrare concretamente le tartarughe interagire con il mondo di superficie. La scena dopo il prologo le mostra infatti impegnate in attività del tutto banali, come fare la spesa, che devono però svolgere sfruttando le loro abilità per non farsi scoprire. Viene mostrato il rammarico provato nel guardare un film all’aperto senza però poter condividere l’esperienza con gli altri avventori ma dovendo stare in disparte dove nessuno può vederli.
Allo stesso modo, nella scena in cui i quattro eroi devono recuperare lo scooter di April da una banda di malviventi tutta la loro inesperienza nel combattimento e nel gioco di squadra si palesa in maniera inequivocabile; sono scoordinati, disorganizzati e ne escono vincitori quasi per il rotto della cuffia. Mostrare in concreto le difficoltà con cui i quattro eroi devono fare i conti le rende palpabili, credibili e di conseguenza anche il percorso di maturazione che affrontano per superare tali difficoltà ne guadagna in coinvolgimento da parte di chi guarda. Quando infine ottengono quell’accettazione che tanto desideravano, quando finalmente riescono a unirsi e ad agire come gruppo coeso per sconfiggere la minaccia che incombe su New York, è uno sviluppo che dà estrema soddisfazione perché viene percepito come davvero meritato.
Peraltro, non sono solo i quattro protagonisti a beneficiare di questo trattamento ma anche i personaggi secondari. Splinter e la sua diffidenza nei confronti degli esseri umani, originatasi in seguito a un episodio traumatico mostrato tramite flashback, che abbandona poco a poco i suoi pregiudizi una volta entrato in contatto col mondo esterno e con coloro che lo abitano. Perfino April, seppur in una forma più blanda, ha un accenno di arco narrativo legato alla sua debilitante ansia da telecamere che le impedisce di diventare una giornalista televisiva.
Se il cast dei buoni può dirsi riuscito, lo stesso non vale per il cattivo, la mosca mutante conosciuta come Superfly. A onor del vero, i presupposti per creare un buon villain c’erano. Infatti è molto valida l’idea di dargli una backstory esattamente speculare a quella delle tartarughe, laddove analoghe esperienze di vita hanno però condotto gli uni a intraprendere la via del bene, l’altro quella del male. Se ben sfruttata, avrebbe potuto dare adito a un’interessante riflessione sull’importanza di avere una figura di riferimento che accompagni e guidi un individuo durante la crescita, dando al conflitto un’impronta personale e traslandolo su un piano ideologico, oltre che meramente fisico.
Purtroppo però Superfly risulta in definitiva molto poco incisivo e la ragione, in realtà, non è legata tanto al personaggio in sé ma al fatto che l’impianto narrativo che gli vene costruito attorno non riesce a valorizzarlo.
Dunque, una storia d’azione di questo tipo, per risultare accattivante e mantenere vivo l’interesse del pubblico dall’inizio alla fine, dovrebbe idealmente venire sviluppata a partire da alcuni elementi cardine. Tre, nello specifico: stabilire un chiaro obiettivo da raggiungere, inserire un motivo di urgenza nel perseguimento di tale obiettivo e mostrare concretamente perché è importante raggiungerlo (o, ancora meglio, mostrare le conseguenze dell’eventuale fallimento nel fare ciò).
Per fare un esempio, basta rimanere all’interno dello stesso franchise. Nel film Rise of the Teenage Mutant Ninja Turtles: The Movie del 2022 questa struttura viene applicata alla perfezione: le tartarughe devono sottrarre ai cattivi la chiave del portale dimensionale (obiettivo), prima che il Technodrome entri completamente nel nostro mondo (urgenza), così da prevenire il tragico futuro mostrato nel prologo in cui la Terra è soggiogata dai Krang (conseguenze). Pochi punti fondamentali che riescono, da soli, a dare alla narrazione una direzione precisa, un ritmo incalzante e a renderla nel complesso avvincente.
In Caos Mutante tutto ciò è in larga parte assente. Si, l’obiettivo è chiaro: impedire a Superfly di completare la macchina con la quale intende trasformare tutti gli animali del mondo in mutanti e spingerli a rivoltarsi contro l’umanità. Il problema è che le conseguenze rimangono parole aleatorie pronunciate dal villain e nulla più, perdendo dunque di credibilità, e soprattutto l’incedere degli eventi è fin troppo disteso. Di fatto, la macchina non viene neanche mai attivata. Non si configura mai una situazione di corsa contro il tempo, non si ha mai la sensazione di pericolo incombente, non si resta mai col fiato sospeso chiedendosi se le tartarughe riusciranno a sventare la minaccia prima che le conseguenze diventino irreversibili. In breve, manca l’urgenza e con essa va a perdersi la tensione. Ciò si ripercuote negativamente sia sul ritmo, che nella seconda metà inizia a diventare un po’ ridondante, sia sul cattivo. Infatti questo può anche avere una buona caratterizzazione ma se il film non riesce a creare un’aura di pericolo attorno alle sue azioni, risulta impossibile percepirlo come una reale minaccia.
Sul fronte tecnico, l’animazione vanta uno stile che ibrida 2D e 3D. Si tratta di una tecnica in grado di restituire un colpo d’occhio davvero particolare e che sta prendendo sempre più piede negli ultimi anni (ad esempio Il Gatto con gli Stivali 2, uscito alla fine del 2022, ne fa un uso eccellente). A impreziosire l’estetica del film ci pensa poi un’ottima fotografia, ombrosa ma attraversata da sprazzi di colori al neon, capace di restituire un’atmosfera suggestiva. Nella media la regia, valida nel seguire l’azione ma poco propensa a virtuosismi di sorta.
C’è da dire poi che l’impronta di Seth Rogen si sente eccome. Caos Mutante mantiene infatti un tono brioso e sopra le righe dall’inizio alla fine, con un’ironia a dir poco incalzante. Il che funziona e rende le interazioni tra i personaggi accattivanti, anche se bisogna ammettere che si esagera un po’ con i riferimenti alla cultura pop. Quando questi vengono dosati con moderazione possono essere un valore aggiunto ma qui se ne fa un uso quasi bulimico e questo tende talvolta ad appesantire dialoghi.
In definitiva, Tartarughe Ninja: Caos Mutante convince ma non esalta. Sarebbe bastata qualche accortezza in più in fase di scrittura e avremmo potuto avere tra le mani una delle maggiori sorprese di questo 2023. A conti fatti, invece, quello realizzato da Seth Rogen e dal regista Jeff Rowe è un film solamente buono, forse anche qualcosa in più, ma che difficilmente verrà ricordato come un’opera imprescindibile all’interno della lunga e onorata carriera delle Tartarughe Ninja.
Abbiamo parlato di:
Tartarughe Ninja; Caos Mutante
Regia di Jeff Rowe
Storia di Seth Rogen, Jeff Rowe, Brendan O’Brien ed Evan Goldberg
Nickelodeon Films, 2023
Animazione, 99 minuti
Alfredo Marotta
23 Settembre 2023 a 17:43
Grande recensione!!!
Sono d’accordo al cento x cento