Siamo nel 2001, nella scuola Diaz durante il G8 di Genova; siamo nel nuovo millennio, nel carcere Abu Ghraib, a sud di Baghdad; e siamo anche negli anni ’30, in un paesino italiano durante il fascismo. Tre storie apparentemente slegate, ma connesse da due elementi: la tortura e le sue vittime. I segni addosso è un’opera di denuncia forte e chiara, voluta da BeccoGiallo, Amnesty International e dal prof. Renato Sasdelli per condannare il reato di tortura, finalmente introdotto in Italia nel 2017 dopo discussioni parlamentari (e mediatiche) e considerato per anni “pratica lontana dalla nostra cultura”1.
Roberto Antonazzo e Elena Guidolin scelgono di raccontare tre episodi di violenza istituzionale che riguardano da vicino la nostra storia, presente e passata. Lo stile di Guidolin, che ricorda molto il lavoro di Andrea Bruno (Cinema Zenith), riesce ad evocare, più che rappresentare, l’atto di tortura. L’opera si snoda attraverso tavole ricche di chiaroscuri, in cui il bianco soccombe spesso nei confronti dei neri, che definiscono ombre più che corpi e movimenti, rendendo al meglio il senso di violenza e di omertà di questa pratica immonda. Purtroppo lo stile, nonostante la grande forza suggestiva, sacrifica in alcuni casi la chiarezza narrativa e compromette le potenzialità emotive del racconto nei passaggi più concitati. Nonostante questo, I segni addosso è un’opera lodevole per il tema trattato e per la volontà di affrontarlo attraverso la potenza dell’arte più che attraverso la cronaca.
Abbiamo parlato di:
I segni addosso
Roberto Antonazzo, Elena Guidolin, Renato Sasdelli
Beccogiallo, novembre 2016
124 pagine, brossurato, bianco e nero – 15,00 €
ISBN: 9788899016548
dichiarazione del 2006 del Governo Italiano al Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura ↩