Con il volume unico Goodbye Eri, l’autore Tatsuki Fujimoto decide di compiere prima di ogni altra cosa un atto di sperimentazione che si dipana sui due livelli del linguaggio fumettistico, quello narrativo e quello grafico.
La storia è apparentemente semplice: Yuta, ragazzo appassionato di cinema, riceve una videocamera dalla madre malata, con la richiesta di riprenderla fino alla sua morte. Con il materiale che raccoglie lo studente realizza un film che viene però disprezzato dai compagni di classe, soprattutto per la scelta di chiuderlo con una libertà creativa, percepita come di cattivo gusto. Quel rifiuto spinge lo studente a tentare il suicidio, da cui desiste quando incontra Eri, una compagna di scuola che lo convince a realizzare un nuovo film grazie anche a una vera e propria rieducazione cinefila.
Il racconto è però tutt’altro che lineare, mostrando presto al suo interno sorprese e ribaltamenti, ma soprattutto una fragile linea di confine tra finzione e realtà. Dopo alcune pagine di estremo realismo, diventa impossibile comprendere cosa appartenga alla realtà e cosa alla costruzione di una finzione cinematografica. O forse è tutto frutto della mente di Yuta?
A contribuire allo straniamento in cui lentamente il lettore scivola e da cui esce alla conclusione dalla lettura, la narrazione sfiora spesso la sensazione di uno scorrimento in tempo reale con sequenze statiche, minimali e intime, frequentemente dialogiche. Fujimoto compie la scelta di sfruttare tutto ciò che ha a disposizione per calarci nell’impressione di assistere realmente al flusso di immagini su di un video e non alle pagine di un fumetto, mentre ci mostra quelli che appaiono a tutti gli effetti come frammenti di realtà.
È soprattutto la regia e la costruzione della tavola a lavorare di concerto nel massimizzare questi effetti. La maggior parte del fumetto è infatti costituita da pagine formate da quattro vignette orizzontali, un’escamotage che evoca immediatamente la sensazione del fotogramma. Il ritmo e la ricerca del realismo sembrano quasi catapultarci dentro la visione di un film d’essai, in cui gli stessi bianco e nero non stonerebbero.
A dominare sono lunghe sequenze a inquadratura fissa, mezzi busti e primi o primissimi piani. La fissità e la ripetizione di certe sequenze non fa che dilatare tempi e sensazioni. L’autore sceglie anche di inserire diverse sfocature delle immagini, così da aggiungere un ulteriore contributo sia alla percezione del raffrontarsi con un video piuttosto che con una sequenza di immagini statiche, sia alla volontà di straniare il lettore e avvicinarlo allo stesso straniamento del protagonista.
Se il segno a tratti è rigido e a volte impreciso, Fujimoto compensa però con la forma e l’intenzione, così da rendere trascurabili le incertezze. Ci si trova mesmerizzati mentre l’autore si interroga e ci interroga sull’uso stesso del linguaggio come mezzo non solo per interpretare, ma anche reinterpretare la realtà. Magari imperfetta, ma la tentata mimesi tra fumetto e cinema – linguaggio per cui l’autore ha dichiarato più volte una passione – non lascia indifferenti.
Abbiamo parlato di:
Goodbye, Eri
Tatsuki Fujimoto
Traduzione di Ernesto Cellie e Chieko Toba
Star Comics, 2023
201 pagine, brossurato, bianco e nero – 5,90 €
ISBN: 9788822639936