Fight Club 2: il ritorno del circolo di combattimento

Fight Club 2: il ritorno del circolo di combattimento

Chuck Palahniuk torna dopo vent'anni sulla sua opera di maggior successo con risultati altalenanti.

Chuck Palahniuk, con Fight Club 2, ha deciso di riprendere in mano la sua opera più famosa e discussa, portando nuovamente in scena molti personaggi del primo capitolo, diventati con il passare del tempo dei veri e propri simboli della cultura borderline/underground, soprattutto grazie all’omonimo film diretto da David Fincher nel 1999.
Palahniuk, sorprendendo un po’ tutti, ha deciso di usare il media fumetto per raccontare le nuove vicissitudini dei vari protagonisti, cercando di non focalizzarsi più sulla critica alla società dei consumi ma trainando invece l’intera opera verso una direzione non chiarissima.

Dov’è la mia mente?

Fight Club 2 inizia dieci anni dopo la fine del romanzo, facendo subito capire al lettore che sono cambiate molte cose.
Sebastian, il protagonista degli eventi del primo capitolo (ora con un nome), vive una vita tranquilla e monotona; adesso ha un figlio a carico, è dipendente dagli psicofarmaci ed è sposato con Marla Singer.
Ad un certo punto quest’ultima decide però di diminuire l’efficacia dei medicinali del marito per risvegliarne l’alter ego Tyler Durden, l’unico in grado di appagarla appieno anche dal punto di vista sessuale.

Dopo una breve introduzione che ricalca alcune situazioni già viste nel libro e nel film, questo secondo capitolo prende una direzione completamente diversa arrivando a spiazzare il lettore.
Fight Club 2, infatti, decide da subito di non focalizzarsi più sulla critica estrema al consumismo, ma di concentrarsi sul dualismo tra Sebastian e del suo alter ego senza però raggiungere in nessuno modo la profondità introspettiva del libro e del film.

La trama diventa pian piano sempre più ingarbugliata anche per via di una struttura narrativa forse un po’ troppo confusionaria. Vari personaggi, come ad esempio i bambini affetti da progeria, sono caratterizzati in modo superficiale, arrivando in alcuni casi a risultare poco incisivi o addirittura superflui ai fini della storia.
Pur contando su numerose strizzate d’occhio ai fan grazie ai continui riferimenti al libro e al film (ormai trattati quasi come una cosa sola), l’opera non riesce mai a risultare realmente interessante dato che si limita a unire insieme situazioni spesso illogiche, giocando con il nonsense in modo un po’ troppo spinto.

Stesso discorso per quanto riguarda le tematiche dell’opera; Palahniuk ha infatti deciso di puntare eccessivamente sulle azioni spesso inconcludenti dei personaggi, lasciando da parte tutto quello che aveva reso celebre l’opera originale.

Non giova poi il soffermarsi sul passato del protagonista gestendo Tyler in modo macchiettistico, espediente che porta il fumetto a sprofondare sempre di più verso il basso.

Se quindi da un lato si può capire l’intenzione dell’autore di proporre qualcosa di diverso rispetto al passato, dall’altro risulta difficile comprendere le ragioni che lo hanno portato a scrivere il seguito di un’opera che non aveva probabilmente bisogno di questo nuovo capitolo.

Purtroppo il fumetto non riesce a convincere neanche dal punto di vista grafico; il tratto di Cameron Stewart, infatti, nonostante la cura riposta nella realizzazione dei personaggi e degli ambienti, risulta privo di personalità. Le espressioni dei vari protagonisti, seppur curate, a volte sembrano eccessivamente piatte; i movimenti dei personaggi regalano poi una sensazione di estrema staticità, dato che il disegnatore non è riuscito a donare alle sue tavole un livello di dinamismo convincente, vista anche l’assenza quasi totale di linee cinetiche.

Neanche l’originale trovata di disseminare tra le pagine elementi fotorealistici, che rendono in alcuni punti ostica la lettura (come le pillole di varie forme e colori), risulta in grado di spezzare in modo convincente la monotonia stilistica e concettuale dell’opera.
Nonostante tutto però, grazie a un finale sopra le righe, Palahniuk riesce in modo molto furbo a ribaltare le carte in tavola alzando in extremis la qualità del fumetto, seppur con tutti i suoi difetti.

Le idee sono reali. Noi no

L’autore decide di giocare con la metanarrazione trasformandosi in uno dei personaggi della sua opera, analizzando in chiave ironica se stesso e i suoi fan.
Palahniuk si descrive come una persona annoiata, che trascorre le sue giornate sorseggiando vino rosso mentre discute con i suoi collaboratori sulla direzione da far intraprendere alla storia; non vuole assolutamente deludere i suoi ammiratori, anche se l’impresa sembra quasi impossibile.

L’autore quindi non denuncia più il sistema folle in cui viviamo, ma anzi, denuncia se stesso.

Adesso anche lui è diventato parte integrante del sistema, così come i suoi fan, schiavizzati ormai dal brand Fight Club, vittime inconsapevoli di tutta una serie di convenzioni sociali estremamente difficili da scardinare.

L’autore, in queste brevi sequenze metanarrative, condensa tutto quello che non è riuscito a comunicare durante l’intera storia, sforzandosi più che mai di far capire al lettore che lui non è assolutamente un paladino di determinati ideali, e che sposare ideologie critiche verso il consumismo osannando di fatto un’opera d’intrattenimento come Fight Club, è in realtà un controsenso assoluto.

Infatti sia il libro che il film all’inizio non sono stati capiti a pieno, e solo con il passare del tempo, grazie a un incessante passaparola generatosi dopo lo sbarco del film in formato home video, l’opera originale ha acquisito sempre più popolarità, risultando comunque difficilmente assimilabile da un pubblico legato al mainstream più puro.
In Fight Club 2, Palahniuk denuncia quindi l’incapacità di tornare a criticare la società dei consumi evolutasi per l’occasione nella versione 2.0, formata da un agglomerato di social network, selfie e televisori 4K.

L’autore adesso non può fare più nulla perché anche lo stesso Fight Club si è trasformato in un brand, masticato e sminuzzato lentamente da quel sistema tanto terribile quanto essenziale per la nostra sopravvivenza, dove i fan dell’opera arrivano a tatuarsi le frasi del film quasi in preda a un’isteria collettiva.
Palahniuk ha così deciso di prendere totalmente le distanze dal romanzo che lo ha reso celebre, tentando comunque ancora una volta di creare un prodotto difficilmente assimilabile dalla massa.

Non si possono fare giri di parole, Fight Club 2 è un brutto fumetto creato appositamente per non dare nessun punto di riferimento al lettore, puntando su una struttura narrativa debolissima e priva di spunti interessanti, salvata in extremis solo dalle sequenze metanarrative a cavallo tra pura genialità e mera presa in giro per tutti quelli che si aspettavano qualcosa di più profondo ed elaborato.
Fight Club 2 è, senza ombra di dubbio, un’opera controversa che vive di assoluti, capace di farsi amare/odiare visceralmente a seconda dei punti di vista.

Abbiamo parlato di:
Fight Club 2
Chuck Palahniuk, Cameron Stewart
Traduzione di Michele Foschini
BAO Publishing, ottobre 2016
280 pagine, cartonato, colori – 25,00 €
ISBN: 9788865437162

Clicca per commentare

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *