Conversando con Sergio Staino, in arte Bobo

Conversando con Sergio Staino, in arte Bobo

Dal 1979, Sergio Staino, attraverso Bobo, il suo personaggio più conosciuto, ha raccontato con ironia ed intelligenza la storia sociale e politica del nostro paese, incarnando di volta in volta le speranze e le disillusioni della sinistra italiana.

Dal 1979, anno della prima pubblicazione su Linus, Sergio Staino attraverso Bobo, il suo personaggio più conosciuto, ha raccontato con ironia ed intelligenza la storia sociale e politica del nostro paese, incarnando di volta in volta le speranze e le disillusioni della sinistra italiana. Oltre ad essere presente da anni sulla prima pagina de l’Unità con le sue vignette è stato anche regista, autore di programmi televisivi, fondatore e direttore del mitico settimanale satirico Tango, direttore del Teatro Puccini di Firenze. Una figura importante non solo del fumetto e della satira, ma di tutta la cultura italiana che Lospaziobianco ha avuto l’occasione, assai gradita, d’intervistare.

L’idea per questa intervista con il papà di Bobo è nata da uno scambio epistolare a margine della nostra recensione a La guerra di Peter suo libro uscito l’estate scorsa. Ed è stato, tutto sommato, abbastanza semplice, visto la gentilezza con la quale Sergio ha voluto rispondere alle nostre domande.

Nella recensione a La guerra di Peter che abbiamo pubblicato sul nostro sito ho scritto che “Staino e il suo personaggio (Bobo, ndr) ci sembra cambiato, quasi si senta sconfitto dal sonno della ragione: la guerra che sta incendiando il mondo”. È stata solo una nostra impressione oppure c’é un fondo di verità in queste parole?
Sicuramente non è un’impressione solo vostra. Quando pubblicai la tavola di “Guantanamo” sull’Unità, Pietro Ingrao ha scritto un pezzo sul Manifesto per sottolineare questo, per lui necessario, ritiro in seconda linea di Bobo, per accentuare l’urlo di dolore e di indignazione a cui la satira oggi non può sottrarsi. Naturalmente non è una cosa pensata a tavolino: il mio lavoro è caratterizzato, nel bene e nel male, da una fortissima percentuale di istinto abbastanza irrazionale. Sento che devo disegnare delle cose e non altre, solo dopo mi rendo conto che questo “sentire” ha anche un fondamento razionale ed una precisa logica politica. Le caratteristiche di Bobo sono anche quelle di essere un clone abbastanza fedele del suo autore, questo gli permette di attraversare anche territori non comici, quando non addirittura drammatici. Ma nel caso di “Guantanamo”, come in tante altre tragedie che giornalmente ci assalgono, la sua presenza mi sembrava di disturbo.

Come mai hai scelto di assemblare un libro con tanti materiali per loro natura diversi (vignette, storie, canzoni illustrate) ? C’é un denominatore comune nell’approccio a questi diversi modi di fare fumetti, per te?
Da un punto di vista “politico”, c’é il mio modo di vedere il mondo e di raccontarlo, da un punto di vista grafico, spero vivamente ci sia il mio segno. Ho la presunzione, che credo legittima per un qualunque artista, che il segno ironico della mia penna leghi gli interventi più diversi, dall’acquerello al colore elettronico, dalla foto alla riproduzione di disegni di altri, e in più contribuisca a togliere quel po’ di retorica che sempre si annida dietro ogni rappresentazione drammatica. La stampa poi della Coconino mi sembra talmente accurata che ha reso spesso impercettibile le differenze tra le diverse immagini colorate, facendo volare anche quelle colorate elettronicamente.

Da dove viene questa voglia di far parlare al posto tuo cantanti e poeti, come hai fatto ne La guerra di Peter illustrando canzoni di De André, Vian, Guccini e come hai fatto, tra le altre cose, in Gli Angeli del cortile e ne L’Impero delle Cicale (su testi di Adriano Sofri)?
Mi viene dalla fortuna che ho di poter riempire, ogni domenica, una intera pagina dell’Unità. La vignetta quotidiana in prima pagina, è una cosa molto gratificante, che ti permette di far udire la tua voce sulle brutture e sulle ipocrisie del nostro tempo in forma quasi diretta. Ma ha un limite, o forse più di uno: non è l’autore a scegliere l’argomento della sua vignetta, ma è la cronaca del giorno e, inoltre, essendo in prima pagina, la vignetta, coinvolge necessariamente anche la responsabilità della testata e del suo direttore. Questo mi obbliga a consultarmi con quest’ultimo e, nonostante il grande affiatamento culturale e politico, a dimensionare il tiro in modo convincente per entrambi. La pagina della domenica, invece, è una pagina tutta mia, dove, non necessariamente parlo della cronaca politica. È una pagina in cui posso riversare le mie emozioni più profonde, tra quelle che mi hanno colpito durante la settimana. E le emozioni nascono da mille cose: da una notizia, dalla lettura di un libro, da un film, da una canzone, da un incontro, da una frase raccolta in autobus o sulla spiaggia. Avere uno spazio così per raccontare le proprie emozioni è una occasione rara e preziosa, è una forma per condividere con tanti altri le sensazioni più forti che mi attraversano.

Questo essere così duro e schietto con le tue idee riguardo ai mali del mondo e della guerra non ti crea problemi con la cosiddetta “critica ufficiale”, quella dei quotidiani e dei settimanali che di solito (a parte l’Unità, il Manifesto e pochi altri) non è abituata a parlare di fumetti? Quali reazioni hai ricevuto all’ uscita di questo tuo libro, soprattutto riguardo a questo senso di disperazione in esso contenuto?
Su questo libro ho avuto molti complimenti, ma sempre da parte dell’ambiente in cui mi muovo e nel quale mi sento a mio agio. In più rispetto ad altri libri ho avuto una contentezza dentro di me nel vedere rispettate, forse per la prima volta, le caratteristiche grafiche dei miei disegni. Per quanto riguarda il resto dei media, l’attenzione nei miei confronti rientra comunque all’interno di un generale disinteresse verso i fumetti, indipendente dalle posizioni politiche in essi espresse. È un problema che conosco bene e che da anni cerco di aiutare a combattere, inserendo il fumetto in tutti i luoghi in cui mi si offre una possibilità: dalle mostre al Teatro Puccini, a quelle fatte durante l’Estate Fiorentina, ai depliant e alle pubblicazioni delle Coop, ai tanti libretti didascalici che faccio per alcuni Comuni italiani.

Ci puoi raccontare come sei arrivato a pubblicare un libro con la Coconino, una delle case editrici più apprezzate nell’ambiente (e da noi de LoSpazioBianco)?
Perché l’apprezzo tantissimo anche io. Dopo avere acquistato alcuni libri da loro pubblicati, su indicazione di mio figlio Michele, mi arrivo’ in omaggio il libro di Gipi, che mi fece pensare quanto avrei potuto ancora imparare da questi disegni. Così ho cercato un catalogo della Coconino e, sempre con l’aiuto di Michele, ho ordinato una cinquantina di titoli. Alla redazione Igort si è accorto da chi veniva quest’ordine e, non solo mi ha fatto un bello sconto e mi ha aggiunto alcuni titoli che secondo lui dovevo assolutamente guardare, ma mi ha anche telefonato per ringraziarmi. Nel giro di qualche telefonata è nata un’amicizia incredibilmente bella come quelle che si producono solo dopo una lunga frequentazione. Da quest’incontro è scaturita l’idea di raccogliere le tavole sulla guerra pubblicate in questi ultimi tre anni. Sono rimasto così contento che ho dato alla Coconino anche il terzo libro di Natale che sto facendo adesso con Sofri e mia nipote Isabella (l’impero delle cicale, uscito prima di Natale, ndi). All’Einaudi hanno pensato ad un mio tradimento. In realtà sono molto grato a Stile Libero per la diffusione che sono riusciti a dare ai primi due libri fatti con loro, ma avevo bisogno di andare più in là, di aumentare l’emozione letteraria con quella più specifica che ti può dare solo una bella riproduzione di quelle pitture. La Coconino mi garantisce tutto questo.

Tornando alla domanda iniziale, ho notato che, differentemente da La guerra di Peter, in altro tuo lavoro recente, Montemaggio (uscito la scorsa primavera in allegato all’Unità e, nel quale viene raccontata la storia della fucilazione di 19 partigiani avvenuta nella Val d’Elsa, ndi), il tuo sguardo sull’umanità che racconti mi sembra meno negativo e sicuramente non senza speranza. Cio’ è dovuto solo al diverso soggetto (e il suo periodo storico) oppure questi due progetti nascono con intenti ed umore differenti?
L’ottimismo della volontà, di cui ci ha parlato Gramsci, è una dote che appartiene saldamente a Bobo. In Montemaggio questo ottimismo è anche legittimato dall’epilogo generale della guerra di Resistenza, che fa superare il drammatico pessimismo della tragica fine di quei ragazzi. Ma oggi? Oggi non sappiamo davvero che piega potranno prendere le sorti del mondo. Con Bush, Sharon, Blair, Berlusconi da una parte e un immensa quantità di diseredati gettati nelle braccia del terrorismo più fanatico dall’altra, è molto difficile impedire che il pessimismo della ragione prevarichi fortemente sull’ottimismo della volontà.

Come è nato questo libro e che importanza ha rivestito per te?
Il libro è nato su richiesta del Comune di Colle Val d’Elsa e del protagonista della storia, Vittorio Meoni, oggi presidente dell’Anpi di Siena. Da un punto di vista grafico ha significato per me l’incontro con mio figlio Michele ed il giovane Giacomo Colivicchi, che hanno contribuito in modo determinante alla realizzazione dell’opera. L’uso delle foto e l’elaborazione elettronica di tutte le tavole è totalmente frutto della loro creatività. Per me è stato il modo di rendere omaggio a persone che avevo incrociato nella mia primissima infanzia, i partigiani, e riproporli in un momento in cui un ottuso governo cerca di riscrivere a suo uso e consumo la storia della nostra Italia repubblicana. Da un punto di vista strettamente personale è stato anche un tenero “amarcord”. È stato un modo di ricostruire con affetto la mia Toscana di allora, di quando avevo tre anni: i campi, le colline, i tanti animali ormai scomparsi, le case coloniche, e quindi la mamma, i nonni, e i tanti adulti che hanno popolato i miei primi mesi di vita.Staino con l'autore dell'intervista a Lucca 2004Mi verrebbe da chiederti come ti poni, col tuo lavoro, di fronte all’attualità e alla storia. E cioé: pensi che il tuo essere un fumettista, al di là del raccontare con la satira il quotidiano, abbia anche una funzione di testimonianza e di memoria, come parrebbe essere per Montemaggio?
Ora sicuramente passero’ da presuntuoso, ma non me ne frega più di tanto, e, quindi, ti rispondero’ citando Umberto Eco. Nella prefazione che mi fece a suo tempo per la raccolta Bobo e dintorni, scrisse così: “…lo storico del futuro che, all’interno della sua calotta di plastica antiradiazioni, voglia capire che cosa è successo a una generazione italiana, oltre ai molti e rispettabili documenti che si troverà a sfogliare, dovrà tener presente anche Bobo, forse più che dei libri di Toni Negri, dei discorsi di Berlinguer, o delle annate di Lotta Continua.”
Per anni ho pensato di far politica nei marxisti leninisti con infinite riunioni, volantinaggi, e affissioni clandestine di manifesti, poi, con le strisce di Bobo ho cominciato a farla davvero.

Se all’inizio tu e Bobo, il tuo personaggio, eravate conosciuti soprattutto dal variegato popolo di sinistra, ora si può dire che anche da altre provenienze culturali e politiche sei noto ed apprezzato. Per te è un vantaggio o una difficoltà in più?
Di essere seguito e apprezzato dalla destra non me ne rendo molto conto. L’unico che si fa vivo ogni tanto, citandomi qua e la con grandi apprezzamenti, è Giuliano Ferrara, che, comunque, vanitoso com’é, e sempre voglioso di èpater le bourgeois, non posso prendere molto alla lettera; per il resto ho avuto solo dinieghi più o meno dichiarati. Più volte, ad esempio, sono stato contattato da agenzie pubblicitarie che mi richiedevano l’utilizzo di Bobo per certe campagne. Le poche volte che ho dato la mia disponibilità, sono stato puntialmente scartato dai loro clienti perché troppo dichiaratamente di sinistra.

Parliamo ora della tua passione per i fumetti. Ci puoi raccontare cosa ti ha spinto a intraprendere questa professione e soprattutto quali autori ti hanno maggiormente influenzato nei tuoi esordi?
Ho raccontato più volte di aver iniziato a disegnare fumetti a fini di pubblicazione, per esigenze squisitamente economiche. Dovevo, in pratica, rimpolpare il magro stipendio di precario della scuola, per potermi mantenere una compagna extra-comunitaria ed una figlia. Da un punto di vista linguistico credo che Bobo nasca sotto l’influenza di Charlie Brown, e le prime strisce, rigorosamente sviluppate su 4 quadrati, lo testimoniano. Da un punto di vista degli argomenti trattati, credo che l’influenza sia Jules Feiffer, le cui storie, pubblicate a metà degli anni ’60 da Bompiani, avevano fatto capire che il fumetto poteva essere un’ottima comunicazione anche tra adulti. Da un punto di vista, invece, squisitamente estetico, il personaggio di Bobo è la mia caricatura corretta un po’ con quella di Capitan Cocorico’. Solo alcuni anni dopo l’inizio di questa mia avventura fumettistica e a successo già consolidato, mi sono reso conto che il personaggio a cui ero maggiormente debitore era il Paperino di Carl Barks. Quello è stato il primo fumetto che ho amato e, indirettamente studiato, quando avevo dieci anni. In effetti considero una grande fortuna aver scoperto il fumetto proprio negli anni in cui alla Walt Disney, Carl Barks, raccontava storie della middle class americana attraverso una famiglia mascherata da paperi. È da queste storie che ho imparato di più.

Sappiamo che frequentavi da militante gruppi della sinistra extraparlamentare e già allora, penso, coltivavi l’interesse verso i comics. Avendo anch’io conosciuto (ovviamente in epoche diverse) questo tipo di ambienti, che culturalmente ho sempre trovato un po’ troppo integralisti, mi piacerebbe sapere se la tua passione era qui osteggiata, tollerata oppure sostenuta?
Come tutte le istituzioni fondamentaliste, anche nei marxisti leninisti la satira era ammessa solo per combattere l’avversario e il fumetto era tollerato solo se altamente pedagogico, per cui ho vissuto questa mia militanza, dal punto di vista del fumetto, con molte contraddizioni. I miei compagni e i dirigenti si incazzavano molto delle caricature che facevo durante le riunioni, giungendo perfino a diffidarmi dallo scarabocchiare quei quaderni su cui un buon militante doveva prendere appunti in forma regolare e leggibile. Mi chiedevano invece di fare vignette per l’organo del partito, Nuova Unità, cosa che facevo abbastanza volentieri, poi pero’, prima di essere pubblicate, venivano giudicate dalla direzione che mi dettava le opportune correzioni. Ricordo, ad esempio, una vignetta di quando un gruppo di soldati cubani arrivo’ in Angola per aiutare il Fronte di Liberazione, nella sua lotta contro il Portogallo, e l’altra organizzazione guerrigliera, quella filo-cinese di Sabimbi. Io disegnai allora una vignetta in cui si vedeva Fidel Castro che con il machete apriva la strada nella jungla a una fila di carrarmati sovietici. La prima correzione fu quella di aggiungere un cartellino nella jungla con la scritta: Angola. Poi che da dietro una pianta apparisse un africano con camicia bianca grande il doppio di Fidel e che rappresentasse il vero popolo angolano, contrario all’invio dei militari cubani. Infine su un albero delle scimmie con sulla pelle la scritta “trotzkisti” che, invece applaudivano. Sfido chiunque a ridere dopo aver decifrato una simile moltitudine di messaggi.

Io ho conosciuto Bobo in un numero di Linus del 1983, in una storia intitolata Pensieri al Caffé nella quale veniva arrestato ed interrogato dal tenente Kojak e dai suoi uomini. Mi era sembrato da subito un personaggio maturo, già definito nei suoi dubbi e nelle sue disillusioni. La storia in questione finiva ponendo delle domande sulle guerre e le ingiustizie del mondo che anche oggi andrebbero bene. Quanto in questi anni, secondo te, Bobo è cambiato? Ha sentito anche lui il peso degli anni che sono trascorsi oppure, al di là delle ovvie differenze “ambientali”, è comunque rimasto il personaggio che hai creato per Linus alla fine degli anni 70?
Credo che più che il personaggio, sono io ad essere cambiato molto in questi anni, e non so dirti se in meglio o in peggio. Anche se, ovviamente spero molto che sia in meglio. Se i fumetti di Bobo funzionano ancora, e la ferrea legge del mercato mi dimostra che ancora funziona, è perché ho continuato a raccontare certe storie filtrandole attraverso i nuovi problemi che si è trovato davanti e le nuove riflessioni a cui è arrivato. Quello che voglio dire è che la validità di un personaggio non dipende dal bagaglio di anni e di esperienze che ha su di sé, quanto dall’emozione con cui si avvicina ancora alla realtà che lo circonda. È l’emozione che fa vivere Bobo, che gli fa sperare in un mondo migliore e che lo indigna per tutte le ingiustizie che ancora oggi si commettono. Da un punto di vista specificatamente narrativo, ho dovuto imparare tutto. Bobo nasce dietro una scrivania in quattro inquadrature praticamente fisse. Oggi si muove in sequenze complesse e raffinate: primi piani, campi lunghi, carrellate, dolly, riprese aeree, eccetera. E tutto questo, ha voluto dire una lettura attenta del lavoro degli altri disegnatori, e un approfondimento nel modo di disegnare persone ed ambienti.

E per finire…a cosa stai lavorando ora? Qual è il tuo prossimo progetto?
Mi piacerebbe finire una vecchia storia di Bobo/Capitan Kidd rimasta a due terzi del racconto sulle pagine di Linus. Mi ripropongo di riprenderla in mano e lavorarci su a primavera. La storia mi sembra ancora molto attuale e il disegno tra i più elaborati che ho fatto e penso si presterebbe bene alla linea editoriale della Coconino. Ultima cosa, ma non meno importante, Capitan Kidd mi aiuterebbe a uscire un po’ dalla troppa attualità politica che ovviamente mi sta travolgendo.

Ringraziamo quindi Sergio Staino per la disponibilità e la gentilezza concessaci, e invitiamo i lettori a seguire il suo lavoro anche attraverso il suo sito web all’indirizzo www.sergiostaino.it

Iintervista effettuata a fine 2004
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