Matteo Farinella è un giovane neuroscienziato che attualmente lavora a New York, presso la Columbia University, dove si interessa alla connessione tra le arti visive e la divulgazione scientifica. L’obiettivo è, ovviamente, quello di migliorare la commistione tra queste due aree e, quindi, migliorare la divulgazione della scienza e la sua percezione presso il grande pubblico. Come conseguenza, Farinella ha iniziato a interessarsi al mondo del fumetto, esordendo con il romanzo a fumetti, di chiara ispirazione carrolliana, “Neurocomic”, realizzato insieme con la collega neuroscienziata Hana Ros. Ritornato sugli scaffali delle librerie con “Benvenuti a Cervellopoli”, dedicato ai lettori più piccoli, Matteo Farinella è oggi nostro gradito ospite elettronico per quattro chiacchiere sulla scienza e i fumetti.
Ciao Matteo, benvenuto su Lo Spazio Bianco e grazie per questa intervista.
Iniziamo subito con un quesito spinoso: fare ricerca in Italia è, per molti motivi, particolarmente difficile. Se poi pensiamo alla strada che hai scelto, sembrerebbe scontato il tuo emigrare negli Stati Uniti. Quanto è stata difficile questa scelta? E quali sono le principali differenze tra i due sistemi accademici?
Visto il mio percorso, sono un po’ lo stereotipo del “cervello in fuga”, però devo dire che non ho mai realmente provato a fare ricerca in Italia, quindi non è stata una vera e propria scelta. Semplicemente ho sempre inseguito campi di ricerca molto nuovi e interdisciplinari, che per un motivo o per l’altro in Italia quasi non esistono. Nel mio caso non credo che sia solo per mancanza di fondi o prospettive lavorative (anche se ovviamente questi sono problemi seri per molti ricercatori italiani) ma più per mancanza di iniziativa. Mi pare che in generale in Italia si preferisca investire nei soliti campi già collaudati, piuttosto che esplorare nuove direzioni. La ricerca che faccio io, per esempio, non richiede grossi fondi ma è un campo quasi totalmente inesplorato, basterebbe trovare un’università disposta a dare l’esempio invece che seguirlo.
Negli ultimi anni, probabilmente sotto la spinta da un lato della crescita del web e dall’altro dei grandi laboratori mondiali (su tutti CERN e FermiLab) è cresciuto un po’ in tutto il mondo l’interesse nei confronti dell’outreach1 (anche in Italia, per quanto a fatica). Da qui l’importanza di migliorare gli strumenti di comunicazione con il “grande pubblico”, tra i quali uno spazio importante viene affidato alla comunicazione visuale, che spesso è stata sotto l’occhio del ciclone per inesattezze varie. Quali sono le principali difficoltà, sia in generale sia nel tuo campo specifico, che bisogna affrontare quando si realizzano infografiche, animazioni o altri prodotti visuali? E in particolare il fumetto come può contribuire alla buona divulgazione?
Credo che la divulgazione e l’outreach siano visti sempre di più come un dovere della ricerca scientifica, soprattutto se finanziata da fondi pubblici. Probabilmente anche perché la scienza ormai influenza ogni aspetto della nostra vita ed il pubblico, giustamente, vuole essere informato sugli ultimi sviluppi. Il problema è che nonostante la domanda sia aumentata, i mezzi di divulgazione scientifica sono rimasti più o meno sempre gli stessi. Giornalismo scientifico, documentari e musei hanno un ruolo fondamentale ma seguono spesso un modello molto ‘didattico’ che di conseguenza si rivolge ad un pubblico ristretto. Credo che fumetti, animazioni e altri tipi di comunicazione visiva abbiano la potenzialità di raggiungere un pubblico nuovo e più eterogeneo. In particolare, questi mezzi possono essere un ottimo approccio per coinvolgere chi pensa che la scienza sia troppo “noiosa” o “complicata”, qualcosa di cui normalmente non si interesserebbero. Presentata in maniera diversa però anche la scienza più astratta può diventare più umana e coinvolgente. Ovviamente però non bisogna compromettere la qualità nel tentativo di semplificare. Questo è un rischio soprattutto nel mio campo, le neuroscienze, che si presta molto a esagerazioni e sensazionalismi. Secondo me la buona divulgazione dovrebbe spiegare non solo le nuove scoperte ma anche riconoscere e rendere interessante quello che ancora NON sappiamo. La scienza non è una macchina infallibile che risolverà tutti i nostri problemi – anzi – in un certo senso lo scopo della ricerca è porsi sempre nuove domande e mettere in discussione le nostre certezze.
In questo contesto si stanno diffondendo sempre più spesso webcomic, alcuni anche istituzionalizzati, realizzati dagli stessi ricercatori. Avresti qualche esempio di fumetti, sia istituzionali sia non, da consigliare ai nostri lettori? E come vedi, più in generale, il futuro di questi fumettisti amatoriali (nel senso che spesso non è la loro attività principale) anche considerando l’interesse (almeno negli Stati Uniti) verso la formazione di figure specifiche nel campo?
Come webcomic il primo che mi viene in mente è ERCcomics2, un bel progetto che accoppia fumettisti e ricercatori, ed ha avuto anche il supporto dell’Unione Europea. In Italia c’é Comics&Science che ha avviato collaborazioni simili e poi ci sono tanti canali Youtube che più che il fumetto usano l’animazione per fare divulgazione (penso a canali come Kurzgesagt, Minute Physics e ASAP Science). Il successo di queste piattaforme è incoraggiante, il problema – come hai sottolineato – è che molti sono prodotti in maniera amatoriale, senza nessun supporto né contatto con il mondo della ricerca e la qualità non è sempre all’altezza dei contenuti. Per fortuna le cose stanno cambiando e importanti istituzioni scientifiche cominciano ad apprezzare il potenziale di questi mezzi. Spero un giorno di poter vedere animazioni con lo stesso livello di produzione che c’è dietro a un documentario, e corsi di specializzazione per fumettisti/illustratori simili ai corsi che esistono per il giornalismo scientifico.
Veniamo ai tuoi lavori fumettistici. Iniziamo con Neurocomic. Come nasce la collaborazione con Hana Ros? E come si è sviluppato nel dettaglio il lavoro tra voi due, anche alla luce della comune specializzazione?
L’idea di Neurocomic è nata in maniera molto spontanea, io e Hana lavoravamo nello stesso laboratorio (anche lei è neuroscienziata) ed eravamo entrambi interessati a fare divulgazione. Hana fu la prima che mi incoraggiò ad usare il fumetto per trattare argomenti scientifici. All’inizio era poco più di uno scherzo, qualcosa di cui parlare durante la pausa pranzo, poi lei ha deciso di fare domanda per una borsa del Wellcome Trust (una fondazione inglese che supporta sia ricerca che divulgazione scientifica) e questo è stato il punto di svolta. Avere un supporto istituzionale ha aiutato molto, non solo economicamente ma anche per darmi la motivazione di finire il libro, tutto disegnato nel tempo libero mentre cercavo di finire un dottorato. Sicuramente ci ha dato anche molta più credibilità quando ci siamo proposti all’editore Nobrow.
Dal punto di vista grafico in Neurocomic ti proponi con un tratto pulito, ma ricco di dettagli e in molte vignette particolarmente psichedelico. Quali sono i tuoi punti di riferimento fumettistici?
Questa è sempre una domanda difficile perché come scienziato/fumettista ho riferimenti abbastanza vari. Sicuramente i maestri dell’underground americano come Robert Crumb, Julie Doucet, Daniel Clowes o Chester Brown hanno avuto una forte influenza sul mio stile, anche se come contenuti non potrei essere più distante. Un altro punto di riferimento, per me altrettanto importante, sono illustratori scientifici come Santiago Ramon y Cajal, Ernst Haeckel, Fritz Kahn, Henry Carter e tanti altri artisti dimenticati. Cerco spesso ispirazione nelle incisioni/illustrazioni dei vecchi testi scientifici, quando gli scienziati erano necessariamente anche un po’ filosofi e artisti. Anche la copertina e il design di Neurocomic sono chiaramente un omaggio a quella tradizione.
Neurocomic è un fumetto abbastanza complesso soprattutto per il gioco metanarrativo che avete realizzato con Hana Ros. Benvenuti a Cervellopoli, invece, richiedeva una struttura narrativa indubbiamente più semplice. Quali sono state le principali differenze e difficoltà che hai riscontrato tra i due libri?
Neurocomic per quanto cerchi di rendere la scienza più accessibile, è ancora un libro per adulti, non solo per i contenuti ma perché la storia, seppur semplice, combina azione, storia della scienza e diagrammi, in maniera un po’ surreale. In Cervellopoli invece, scrivendo per un pubblico più giovane, ho concepito una storia molto più lineare e coerente. Dal punto di vista della scrittura però non è stato più semplice, anzi, ho dovuto fare molto più uso di metafore visive. Ci sono alcune schede di approfondimento ma ho cercato di inserire il più possibile i concetti scientifici in personaggi, luoghi e azioni. Spero che in questo modo il lettore possa essere trasportato dalla narrazione e non percepisca la scienza come qualcosa di astratto o didattico.
Dal punto di vista narrativo entrambi i libri risentono in parte delle influenze dell’ancora viva serie degli Introducing. A tuo giudizio come pensi si sia evoluto, a partire da quest’ultima, il fumetto di genere scientifico? E quali sono i punti di riferimento in questo specifico genere?
Sicuramente tutta la serie di graphic guides, come anche le cartoon guides di Larry Gonick, sono state le prime a esplorare il fumetto come mezzo educativo. Però personalmente quel formato non mi ha mai appassionato molto. Sicuramente può essere utile a chi è già interessato a un certo argomento e vuole una veloce introduzione, ma non aiuta certo a raggiungere un pubblico nuovo o rendere una materia più affascinante. Le poche che ho letto non fanno un uso molto creativo del fumetto e soprattutto non raccontano una storia. Sono più simili a un libro di testo o un’enciclopedia che ad un buon articolo di divulgazione scientifica. Spero che in futuro il fumetto segua sempre di più l’esempio della saggistica creativa, in cui i fatti vengono reinterpretati in maniera più personale e creativa. Credo che questo permetterebbe al fumetto scientifico di raggiungere un pubblico molto più vasto, non solo gli appassionati di scienza o di fumetto.
Cervellopoli ha in sé anche una natura da libro illustrato, impostazione tipica per i libri per bambini. Hai mai considerato l’ipotesi di realizzare il volume in questo specifico genere? E quali considerazioni ti hanno spinto, invece, verso il fumetto e allontanato da un progetto probabilmente più scontato ma più sicuro anche per l’editore?
Devo ammettere che per me, essendomi formato al di fuori di questo mondo, la distinzione tra libro illustrato e fumetto non era ben chiara. Solo di recente ho scoperto che gli editori per ragazzi considerano il fumetto più ‘rischioso’! Sono stato fortunato perché Editoriale Scienza mi ha lasciato libero di lavorare nel formato che preferivo, senza impormi troppi paletti. In fondo, se non fosse per l’uso dei balloon, Cervellopoli si può quasi considerare un libro illustrato, perché comunque c’è una sola vignetta per pagina. Per me l’unica cosa importante è comunicare la scienza in maniera efficace, senza preoccuparmi troppo del formato. Sicuramente il fumetto è il mezzo con cui mi sento più a mio agio, forse perché si presta meglio a raccontare una storia. Ovviamente amo anche i libri illustrati ma nei miei preferiti (come gli spaccati di Stephen Biesty) ci sono sempre un sacco di storie nascoste nei dettagli, quasi dei mini fumetti a la Chris Ware.
L’accostamento tra Cervellopoli e la serie animata francese Esplorando il corpo umano è più che naturale almeno per un paio di generazioni di italiani. Hai visto questa serie (o altre della stessa produzione)? Se sì, come ha influito sull’ideazione del progetto e più in generale sul tuo approccio alla divulgazione?
Da bambino ho collezionato fanaticamente tutti i libri, VHS e l’immancabile modellino di Esplorando il corpo umano, quindi è sicuramente un punto di riferimento imprescindibile. Anche prima che cominciassi a fare divulgazione – ai tempi della laurea in biologia – cominciai ad apprezzare quanto già avessi imparato senza alcuno sforzo da quella serie animata. In questo senso è un vero e proprio capolavoro di divulgazione scientifica. Purtroppo, per quanto riguarda il sistema nervoso, la serie rinforza il modello ‘centralizzato’ dell’omino (ovviamente bianco, vecchio e barbuto) che tutto vede e tutto controlla dal suo ufficio nel cervello, ma credo che questo sia un sintomo dei tempi in cui è stata scritta. In Cervellopoli (e non solo) vorrei trasmettere un’immagine più distribuita e democratica del sistema nervoso. Quello che invece ho cercato di imitare è l’approccio di mostrare, invece che spiegare. Una delle cose che ammiro di più di quella serie è quanta informazione riesca a trasmettere in maniera implicita, attraverso la forma e il comportamento dei personaggi. Allo stesso modo spero che tanti dettagli in Cervellopoli che magari non hanno un senso al momento della lettura, tornino alla mente anni più tardi – magari durante una lezione di biologia – facilitando l’apprendimento in maniera indiretta.
Concludo con una domanda abbastanza classica: hai già in cantiere altri progetti? E quanti di questi li possiamo considerare istituzionali (legati, cioè, al tuo lavoro presso la Columbia University)?
Di progetti ce ne sono fin troppi! L’unico ufficiale è The Senses, un nuovo libro che dovrebbe uscire con Nobrow entro la fine del 2017. Come stile è molto simile a Neurocomic ma esplora il mondo dei recettori sensoriali, perché credo che parlando del cervello spesso ci dimentichiamo da dove provengano tutte le nostre informazioni.
Riguardo a fumetti ‘istituzionalì ovviamente mi piacerebbe un giorno, riassumere la mia ricerca in un trattato a fumetti (come quelli di Scott McCloud, o Nick Sousanis) dove posso filosofeggiare un po’ su fumetto e psicologia, ma per quello preferisco aspettare di avere un po’ più di materiale, quindi credo che per qualche anno mi concentrerò sulla mia ricerca, anche se ovviamente non smetterò mai di disegnare quindi ci saranno storie brevi e collaborazioni varie, magari anche su temi al di fuori delle neuroscienze (ho già disegnato qualche articolo per Graphic News e mi piacerebbe farne altri simili).
Grazie Matteo per la tua gentilezza e la disponibilità.
Intervista realizzata via mail nel mese di febbraio 2017
Foto di copertina estratta dal sito ufficiale di “Neurocomic“
Con il termine outreach, letteralmente raggiungere l’esterno, in particolare in ambito scientifico, si intendono tutte quelle attività non prettamente di ricerca utilizzate dai gruppi di ricerca per diffondere la cultura scientifica: si va dalla classica divulgazione all’organizzazione di mostre ed eventi fino alle attività didattiche ↩
Emilio Cirri ha scritto una breve recensione di Treeclimbers, pubblicato proprio su ERCcomics, per la rubrica Nella rete del fumetto ↩