3rD Impact, tra fumetto, architettura e fotografia

3rD Impact, tra fumetto, architettura e fotografia

Intervista agli ideatori di una mostra itinerante partita da Matera che fonde le potenzialità espressive di tre arti solo apparentemente diverse fra loro.

Rabatanalab è un laboratorio interdisciplinare di sperimentazione sull’architettura e sulle connessioni sociali, fondato nel 2010 dagli architetti Daniele Molinari e Rocco Salomone con sedi a Tricarico, Irsina e Parigi. È stato vincitore di diversi titoli, tra cui il NIB nel 2015 come miglior studio di architettura italiano under 36, il Wwworkers Camp 2016 per l’economia digitale a Palazzo Montecitorio a Roma, e il primo premio nello stesso anno all’interno di Innovazione e Qualità Urbana, per la categoria Architettura e Città. Lo studio collabora con una rete esterna di professionisti per lo sviluppo di progetti di architettura, urbanistica e design. L’attività integra professionalità di varie discipline per garantire l’eccellenza dei progetti realizzati.

L’Associazione Argot si pone come obiettivi l’organizzazione, il sostegno e la promozione di eventi e attività di mescolanza tra le arti.

Dal 28 dicembre 2016 all’8 gennaio 2017 si è tenuta a Matera, negli spazi della Momart Gallery, la mostra collettiva 3rD Impact: il paradosso dell’identità. Rapporto tra architettura, fumetto e fotografia, un’unica proposta di progetti di architettura, illustrazioni fumettistiche e fotografia, attraverso le opere di alcuni dei più autorevoli protagonisti contemporanei. Tra i nomi legati al fumetto, hanno figurato Tanino Liberatore, Filippo Scòzzari, Gli Scarabocchi di Maicol&Mirco, Danijel Zezelj, Giuseppe Palumbo, Giulio Rincione, Giuseppe Apollonio, Theo Caneschi, Alberto Corradi, Daniela Di Matteo, Grazia La Padula, La Tram, Fabio Mantovani, Miguel Ángel Martín, Alberto Pagliaro, Massimo Pasca, Alberto Ponticelli, Pasquale Qualano, Eugenio Sicomoro, Tina Valentino, Sebastiano Vilella, Koji Yamaguchi.
Tramite un gioco di equilibri – che richiama il dilemma del porcospino di Schopenhauer – e di contaminazione che emerge nel paradosso visivo, ci si avvicina alla comprensione dell’essenza delle tre discipline, fino alla restituzione di un concetto identitario profondo, che coinvolge direttamente lo spettatore in un’esperienza che è insieme sensibile ed emotiva.
Ideata dall’Associazione Argot, con la direzione artistica di Rabatanalab, la mostra viaggerà nei prossimi mesi in Italia e all’estero.
Noi de Lo Spazio Bianco l’abbiamo visitata, e abbiamo deciso di rivolgere alcune domande al team di ideatori e organizzatori.

Ciao, e benvenuti su Lo Spazio Bianco.
Potete raccontarci a chi è venuta e come si è sviluppata l’idea di 3rD Impact?
3rD Impact è un’idea nata, per divertimento, dall’associazione Argot in collaborazione con lo studio multidisciplinare di architettura Rabatanalab. Tutto è partito da una semplice domanda: chi sono i nostri artisti preferiti? Proviamo a contattarli!
Ci piace raccontarla così, ma in realtà dietro ci sono un lungo lavoro e una pratica di ricerca che dura da circa sei anni. Per questa ragione 3rD Impact non è una mostra, ma lo svelamento di un metodo – quello del paradosso, appunto – che mischia le carte in tavola delle diverse discipline, fondendole nell’architettura, in un viaggio ibrido da cui ogni arte ne esce rinnovata nella sua profonda identità. Di qui, il titolo dell’esposizione: 3rD Impact: il paradosso dell’identità. Rapporto tra Architettura, Fumetto, Fotografia.
Essendo un lavoro di collaborazione fino alla fusione, all’interno della mostra abbiamo deciso di rendere manifesta questa pratica compiendo una scelta drastica, ovvero non trascrivendo accanto a ogni opera il nome dell’autore (grande autore!) in questione: un po’ come si usava fare per le antiche cattedrali medievali. Così, anche per questa intervista, ti rispondiamo all’unisono, come team Rabatanalab + Argot.

Cos’è Rabatanalab, e cosa accomuna le diverse persone – tutte con studi e background differenti fra loro – che ne fanno parte?
Rabatanalab è uno studio e un laboratorio multidisciplinare di architettura. Seguiamo la rotta della stessa ibridandola con ogni forma artistica che seguiamo o amiamo, spaziando dalla musica al tatuaggio. La varietà dei temi trattati e la vocazione del laboratorio quasi ci impongono di interfacciarci con altre figure che si discostano benevolmente dalla strada maestra. È la curiosità unita a una ricerca ad ampio raggio che accomuna background apparentemente così differenti.

La scelta del nome della mostra è da ricercarsi nel mondo del manga. A che cosa è ispirata e che motivo d’essere trova in questa esposizione?
Il Third Impact è l’ultimo di tre cataclismi apocalittici trattati in Evangelion e, dopo ogni Impact, il mondo non rimane più lo stesso. Volevamo comunicare un certo modo di agire e di concepire la multidisciplinarità: la contaminazione tra le tre arti è possibile e quando la si realizza, la visione di ognuna nel singolo non è più la stessa. Nei Rotoli del Mar Morto, il Third Impact è poi profetizzato come inevitabile, e in un certo senso anche per noi era inevitabile realizzare un evento simile: consideriamo il fumetto un’Arte al pari delle altre e non un’arte minore come molti tendono a pensare.
Poi ci ha colpito il gioco di parole che veniva a crearsi con l’abbreviazione inglese 3rD: tre sono le arti in mostra (Architettura, Fumetto e Fotografia), la mostra ha la caratteristica unica di essere fruita tramite la lampada progettata per l’evento stampata in 3D, e il 3D riguarda anche il lavoro di scansionamento che è stato fatto agli artisti durante l’inaugurazione.

Qual è il fil rouge particolare che collega fumetto, architettura e fotografia all’interno di 3rD Impact?
Quella di cercare di unire le tre discipline è stata la scommessa più grande, ma non vi è stato uno sforzo concettuale rilevante, infatti abbiamo seguito il metodo che seguiamo come laboratorio. Siamo partiti dalla fotografia di Marina Berardi in cui la suicide girl Violet si trova catapultata in un nostro progetto il cui plastico era presente alla mostra e che aveva già disegnato Dimat. Da questa scintilla il fil rouge per ogni autore è stato proprio l’architettura.

In che modo avete scelto gli artisti che avrebbero esposto e come vi siete messi in contatto con loro?
Abbiamo scelto semplicemente gli artisti che più ci piacevano, autori con cui siamo cresciuti o nuovi disegnatori che ci hanno colpito, contattandoli tramite Facebook o via mail e spiegando loro il nostro progetto.

Qual è stata la loro risposta alla vostra proposta, e in che modo hanno lavorato autonomamente e fra loro per la realizzazione delle opere?
A differenza di quel che ci aspettavamo, gli artisti hanno accettato la nostra proposta con grande entusiasmo. Abbiamo inviato loro tutti i progetti di Rabatanalab chiedendogli di sceglierne uno e di interpretarlo con il loro stile e con la massima libertà di interpretazione.

C’è qualche artista che avreste voluto coinvolgere ma che non siete riusciti a contattare, o si è rifiutato di partecipare al progetto?
Uno degli artisti che abbiamo contattato, ma che non ha potuto partecipare a causa dei suoi molti impegni è stato il maestro Renato Casaro. Colui che realizzava le locandine per Sergio Leone, Bertolucci, Carpenter… Ci sarebbe piaciuto allargare il progetto anche al mondo del cinema, coinvolgendo questo grande cartellonista. Era molto incuriosito dal progetto, infatti ci ha lasciato una porta aperta in vista del catalogo. Non è del tutto esclusa la possibilità di avere una sua opera.
Un altro artista a cui siamo molto legati e che avremmo sicuramente contattato è Andrea Pazienza.

C’è un’opera tra quelle esposte alla quale siete personalmente legati?
È una domanda davvero difficile poiché tutti gli autori sono stati scelti in base a una conoscenza pregressa del loro lavoro. Eravamo incuriositi da come avrebbero affrontato e interpretato la “call” ci siamo limitati a osservarli senza intervenire.

Durante il vernissage inaugurale della mostra ai presenti è stata offerta un’esperienza sensoriale fatta di luci e ombre, e una performance degli artisti che ha visto l’utilizzo di una stampante 3D. Puoi spiegarci di cosa si è trattato e come sono nate queste idee?
Ci piaceva l’idea di rendere il percorso espositivo assolutamente interattivo, sia per i visitatori, che per gli artisti presenti al vernissage. Volevamo anche “dar vita” alle lampade progettate da Rabatanalab e Antonio Infantino, realizzate con la stampa 3D, vedendole nelle mani dei visitatori. Per dare continuità al nostro lavoro con la stampa 3D, abbiamo deciso anche di dedicare uno spazio della mostra proprio alla stampante: i visitatori potevano vedere dal vivo come le lampade che avevano in mano fossero state realizzate.
In più abbiamo voluto omaggiare gli artisti ospiti al vernissage scansionandoli e stampandoli in 3D. Tutto questo grazie anche all’aiuto dei ragazzi di Syskrack, i creatori della nostra stampante 3D.

Fornire ai visitatori delle lampade che proiettano sul muro un particolare gioco di luci e ombre cosa dà in più alla visita rispetto al farla con una normale illuminazione?
Esplorare la mostra a luci spente, con il solo ausilio delle lampade consegnate ai visitatori, senza volerlo, ha dato quasi un senso di sacralità al vernissage. Ogni visitatore ruotava la lampada per analizzare ogni singolo dettaglio delle opere. Questa rotazione e il vagare in silenzio con le lampade da parte dei visitatori hanno creato un’atmosfera di grande suggestione, in cui i visitatori diventavano gli attori principali, essendo loro stessi la “luce” della mostra.

Qual è stata la risposta del pubblico materano a questo progetto?
Fin da subito il pubblico in generale ha risposto in maniera entusiasta, la cosa interessante è stata vedere l’interesse di persone provenienti da tutta Italia, addirittura da Milano, che sarebbero venute a Matera proprio per l’evento, come poi è successo.
Anche i materani hanno mostrato interesse, venendo in molti all’apertura. Era gente appassionata delle tre Arti o semplicemente incuriosita. Una volta che le persone concludevano il percorso nella mostra, molti ci hanno avvicinato complimentandosi con noi e con gli artisti presenti. Un paio di fan di Giulio Rincione gli hanno chiesto uno schizzo su un volume di un suo fumetto, e in generale è stato gratificante vedere persone muoversi per passione verso un’arte, che è la cosa che ci accomuna tutti.
Chiaramente delle istituzioni et similia nessuna traccia né in fase di organizzazione né di apertura.


3rD Impact
: il paradosso dell’identità è una mostra itinerante. In quali altre città esporrete, e come e perché le avete scelte per questo progetto?
Viaggeremo per Napoli, Roma, probabilmente anche Milano e Venezia, fino alla volta di Parigi e Bruxelles. Alla vista della mostra, delle proposte ci sono arrivate proprio da alcune di queste città – anche non italiane –, mentre le altre le abbiamo scelte un po’ come per gli artisti: quelle con cui sentiamo avere un legame più forte.

L’Associazione Argot e Rabatanalab hanno in cantiere qualche nuova idea, a chiusura dell’esperienza 3rD Impact?
Stiamo lavorando sul catalogo della mostra in cui presenteremo inediti di autori che per tempistica non hanno potuto essere esposti a Matera. Stiamo inoltre lavorando parallelamente ad un progetto di architettura in cui un maestro del fumetto si occuperà di disegnare l’involucro esterno di un edificio che ricostruiremo. Inizieremo una progettazione combinata già in fase di preliminare architettonico in modo da integrare i disegni combinando i materiali. Non sarà un disegno su parete quindi.

Intervista realizzata via mail nel mese di gennaio 2017.

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