Massimo GiaconGiacon è un artista multiforme e multidisciplinare. Musicista innamorato della cultura punk, artista e autore di fumetti, si è affermato grazie a un approccio alla creatività originale, acceso, a tratti grottesco.
Ci ha ricevuti nel suo studio di Milano, vicino a Piazzale Loreto, per una lunga intervista che ha toccato diversi argomenti. Ci ha raccontato della nascita del suo ultimo libro Amami realizzato in coppia con Tiziano Scarpa, pubblicato da Mondadori e, al momento del nostro incontro, da poco nelle librerie. Un libro fatto di disegni “porno-pop” in bianco e nero, ai quali lo scrittore Scarpa ha giustapposto un testo, che esprime i desideri in prima persona di ogni protagonista. Abbiamo discusso dell’abusato e totalizzante uso del termine graphic novel, del rapporto con Igort (autore ed editore), del conflitto apparentemente irrisolto, e per questo ancora entusiasmante, tra l’essere un fumettista e un esponente dell’arte contemporanea.
Ne esce l’immagine di una persona riflessiva, forte nella personalità quanto accogliente e sincera.


Alberto Casiraghi – È un po’ di tempo che i media più disparati parlano di “graphic novel” come la novità per eccellenza dal mondo del fumetto. Ci dicevi poco fa, prima di iniziare questa intervista, che qualunque giornalista non manca di farti una domanda in merito.

Già, ogni tanto capita. A me non piacciono questi distinguo perché secondo me la “graphic novel” è sempre esistita: si chiamava “libro a fumetti”. è una cosa più francese che italiana. Corto Maltese era una graphic novel. Quando un racconto a fumetti diventa un racconto compiuto di un determinato numero di pagine è una graphic novel. Non perché il signor Art Spiegelman ha introdotto l’uso di questo termine che ora lo si debba utilizzare in ogni occasione, che poi non è stato neanche Spiegelman ad inventarlo. In ogni caso era già un’idea dei francesi, che con A suivre (una delle più note riviste d’oltralpe, ndi) volevano fare letteratura, creando dei romanzi disegnati, e la cosa migliore che fecero fu il libro di Tardi e Forest, Ici Meme (ristampato qualche anno fa da Coconino con il titolo “Il signore di Montetetro”, ndi).

Guglielmo Nigro – Poi questa denominazione ha acquistato molta forza in America, soprattutto a livello concettuale, perché là erano abituati da anni a un tipo di fumetto in forma di albo. Il fatto di creare qualcosa con un formato diverso ha portato come conseguenza un’attenzione maggiore, ma a posteriori.
Certo, a seguito del successo di Maus che in qualche maniera ha sottolineato che il fumetto può essere anche letteratura. Per gli americani, pero’, perché per noi lo è sempre stato. Non è che Krazy Kat o Little Nemo, che sono gli albori del fumetto, siano delle stronzate perché non sono graphic novel. Al contrario ora ci sono un sacco di miniserie supereroistiche americane denominate “graphic novel della Marvel”. è diventata un’etichetta per nobilitare delle cose quando magari nobili non sono.

GN – Pero’ è un’etichetta che punta più verso l’esterno del mondo fumettistico, come strumento di marketing?
Sia all’interno che all’esterno: all’esterno per le librerie di varia che non hanno mai venduto fumetti prima d’ora. Conferisce al fumetto quella patina di accettazione e anche di normalità, ma allo stesso tempo anche al fumetto più popolare che si sentiva, come dire, un fumetto minore (o sentiva di essere figlio di un fumetto minore). Anche un autore bonelliano può dire “sto facendo cose per Bonelli e nel frattempo sto facendo anche una graphic novel per tizio”, che è una gran stupidaggine perché magari le sue cose migliori sono quelle che fa per Bonelli.

GN – Napoleone di Bacilieri? Il lavoro che ha fatto è a tutti gli effetti un lavoro eccezionale, d’autore, pur non essendo in formato graphic novel.
È dove ha cercato di far quadrare la sua follia.

AC – La cosa che preferisco di Bacilieri è Barokko che aveva un formato da rivista.
Anch’io lo preferisco, ma soprattutto il periodo finale quando ha incominciato a sbroccare.

GN – Quando è inserito in un contenitore più di genere riesce a dare il meglio, forse.
Lui ha fatto anche delle cose notevoli prima di cominciare con Zeno Porno. Aveva fatto una bella storia un po’ noir che si intitolava Phonx.

AC – In Napoleone lui probabilmente è costretto da una griglia, da un formato editoriale… probabilmente da certe costrizioni vengono fuori le cose migliori.

é costretto a dover raccontare una storia con una logica e allo stesso tempo c’é il desiderio di uscire da questa logica. Il conflitto tra le due anime fa si che tiri fuori una cosa interessante

AC – Tu non hai mai pensato di buttarti nel mondo del fumetto popolare?
Diciamo che è il fumetto popolare che non è interessato a me. O non mi sono mai permesso di fare proposte perché lo trovo umiliante, non per il genere, ma per le risposte che sarebbero tipo “no, grazie”.
Bacilieri è comunque più inserito di me in quel tipo di mondo. Bonelli credo l’abbia preso perché si ricordava delle storie precedenti al suo segno “pazienziano”, quando era più vicino a Manara e poi per il fatto che abbia lavorato per Casterman, e per Barokko stesso.
Poi credo sia stato Ambrosini a chiamarlo e a sottoporlo alla Bonelli. Quindi è passato attraverso un autore che già aveva un discreto potere di convincimento all’interno della Bonelli.
Debbo dire che comunque c’é una grande stima reciproca tra me e Sergio Bonelli; quando ci vediamo ci salutiamo, spesso alle convention siamo andati a mangiare assieme. C’é molto rispetto e questo consiste anche nel fatto che io non gli abbia mai chiesto di fare delle copertine né di fare delle cose. Lo ritengo un gran signore, un ottimo editore. è anche venuto a vedere delle mie mostre.

GN – Cio’ conferma la nostra opinione che Sergio Bonelli non sia poi così chiuso verso altri modi di far fumetto, ma che abbia una sua visione del fumetto che vuole proporre.
Infatti, se vedi gli esperimenti che aveva fatto in passato, Un uomo un’avventura, La storia del west, a lui piacce fare anche cose un po’ diverse. Luigi Corteggi a una mia mostra che avevo allestito a Treviso mi ha salutato e a Sergio che era con lui disse “questo qui è matto, peccato che non potrebbe mai lavorare per Bonelli”. Del resto già pubblicare Bacilieri ha provocato un sacco di lettere infuocate dei lettori del tipo “che schifezza sta roba”.

AC – Non c’entra nulla, ma mi ricordo delle lettere infuocate che Comic Art riceveva quando pubblicava Andrea Pazienza.
Quelle pero’ era per le scene più spinte. Per il pubblico di Traini era abbastanza strano vedere quel tipo di cose.

GN – Parliamo dei tuoi fumetti. Dal punto di vista del racconto la mia impressione è che le tue storie siano a volte antinarrative.
Dipende perché non è che ci sia tutta questa ricerca dietro: io non faccio una cosa che sia difficile da leggere…

GN – Non intendo difficile da leggere. Forse c’é la volontà di non raccontare una storia in senso stretto?
La prima cosa che ho notato a rivedere i materiali è che io sono un po’ come certi scrittori che non prediligono il romanzo. Io nel racconto breve mi ci trovo e invece faccio fatica con il racconto lungo. Inoltre è difficile trovare committenti per una storia lunga, anche se per un po’ di anni, dal 2003, mi sono trovato a lavorare a questo romanzo, Boy Rocket, che doveva uscire per Coconino e che ora invece verrà pubblicato da Black Velvet.

AC – Di cui si parla da un po’.
Infatti. Negli ultimi tempi ho avuto delle discussioni di tipo artistico con Igort e quindi ho fermato il progetto. Lui aveva delle forti perplessità sul tipo di narrazione adottata. Diceva “non si capisce dove vuoi andare, non si capiscono i protagonisti, sembrano ancora anni ’80, non provano e non trasmettono emozioni.”
C’erano diverse cose che a Igort non piacevano, come tre pagine che si ripetevano con piccole variazioni, cosa che per lui non era più attuale ed era da anni ’80, mentre per me era funzionale alla storia. Alla fine dalle nostre discussioni mi sembrava che non ci fosse sintonia sul modo d’intendere il fumetto, soprattutto io e lui non condividevamo più la stessa visone, che mi pare sia la cosa più importante da sottolineare. Insomma, io pensavo che lui si stesse rincoglionendo e lui pensava che io ero già rincoglionito! (risate, ndi).
Con questo tipo di dialettica non si poteva andare molto avanti e quindi ho deciso di dare uno stop di riflessione al libro pensando di continuarlo con un altro editore. Non ne faccio una colpa a Igort, penso sia più colpa mia e della mia scarsa capacità di adattamento, poi in effetti sto risistemando delle cose nelle tavole già fatte, per cui qualcosa delle impressioni del mio ex editor mi sono rimaste. Durante lo scorso Comicon di Napoli con Igort mi sono chiarito, e se Satana non ci mette le zampe, Boy Rocket uscirà per Lucca 08. Si tratterà del primo volume, mentre il secondo dovrebbe uscire per il Comicon del 2009, sempre che ci sia un Comicon del 2009, ma lungi da me la voglia di portarmi sfiga da solo. L’accordo con Black Velvet è stato molto naturale, dal momento che Omar Martini già lavorava per Coconino e aveva seguito le vicissitudini di Boy Rocket molto da vicino. Il formato sarà più o meno lo stesso di Black (la rivista della Coconino, ndi) e apportero’ alcuni cambiamenti perché il libro sia godibile anche come volume unico, lasciando alcune cose in sospeso, ma sostanzialmente cercando di renderlo il più autoconclusivo possibile. A questo ci sta pensando Mimì Colucci, anche se la sua idea di “autoconclusivo” è , come sempre, molto opinabile.

separatorearticoloAC – Intanto l’anno scorso è uscito Amami in collaborazione con lo scrittore Tiziano Scarpa.
È un libro che è venuto fuori in maniera semplice e spontanea, perché un autore di fumetti e uno scrittore di romanzi e racconti, due persone che si stimano, si incontrano e da questa cosa nasce un libro che non è graphic novel, ma non è nemmeno un racconto illustrato. è un’operazione, un progetto portato avanti insieme. Senza pensare di aver fatto chissà quale novità e innovazione nel campo della letteratura o del fumetto.
Dopo questo libro quelli di Mondadori ci hanno chiesto: “Il libro è piaciuto molto, non ne avreste un altro da proporre?” Abbiamo incominciato a pensarci e adesso stiamo lavorando a un progetto in cui il fumetto e la parte scritta si integrino maggiormente, che non vuol dire per forza che : “tu, Tiziano scrivi e basta”. Secondo me un rapporto di questo tipo è riduttivo: il racconto scritto dallo scrittore famoso e il disegnatore che si limita a fare le illustrazioni.
Certo, in questo modo ci possono essere dei risultati più o meno buoni. Ad esempio, secondo me Città di vetro di Mazzucchelli e Karasik non è un risultato buono perché gli autori potevano fare una cosa diversa: potevano lavorare insieme su un altro progetto. È un po’ avvilente per tutti e due i media che si prenda un romanzo famoso e lo si faccia diventare un fumetto.

GN – Dici che è rimasto troppo fedele allo spirito del romanzo?
Era un romanzo che non si doveva fare in fumetto. Un po’ come la trasposizione cinematografica de Il pasto nudo o di Crash

GN – Su questo non sono d’accordo. Trovo invece che lo scritto originale di Paul Auster sia molto utilizzabile. Siccome è un romanzo molto simbolico, Mazzucchelli è stato capace di arricchirlo ulteriormente. E in questo senso funziona, mentre, per esempio la trasposizione del romanzo di Carlotto, Arrivederci amore ciao, meno.
Quello è molto francese.

GN – È quel tipo di trasformazione che non funziona.
E infatti parlavo della punta più alta delle trasposizioni a fumetti, ma non è ancora quello che si potrebbe fare. È già il massimo che si è fatto finora, pero’ l’ho vista come un’occasione mancata, perché il libro, e buona parte della trilogia dell’America di Paul Auster, sono libri sulla parola e il fascino della lettura nasce proprio dal fatto che non ci sono immagini. È una sfida molto ambiziosa da parte di un disegnatore quella di usare le immagini per far leggere un libro che è sulla parola e gli incroci della lingua/parola, intesa come un’entità simbolo.

GN – Proprio per questo per assurdo si presta molto. Se tu prendi la parola e la riduci a quello che è veramente hai una serie di segni con un valore simbolico. Il fumetto può essere la stessa cosa. La ricerca di Mazzucchelli è stata in quel senso. Ma quello che dici tu è vero, nel senso che Mazzucchelli e Auster non hanno lavorato insieme. È forse è mancato questo?
La copertina di AmamiA leggere quel libro ti accorgi che non c’é stato molto divertimento e secondo me fare fumetto significa divertirsi oltre che divertire le persone, il che non vuol dire fare fumetto comico. Mi sembra che nel fare fumetti da parte degli autori ci sia una presa di coscienza autoriale un po’ troppo pesante, dimenticando che il fumetto è un medium leggero. Non è un medium pesante. Cercano di nobilitarsi attraverso la scelta di argomenti e di metodi narrativi particolari.

GN – Non siamo già oltre questo processo, soprattutto in America?
In Italia sicuramente no, mentre in America questa leggerezza si avverte. La vedo palpabile perché trovo che il lavoro di Daniel Clowes sia un lavoro leggero, mentre quello di Gipi, ad esempio, no. O meglio il lavoro di Gipi prima era più leggero, ora sente un po’ il peso dei suoi libri precedenti. In America la graphic novel nasce dall’intreccio della visione che avevano gli americani del fumetto europeo e il loro fumetto underground, che era il primo fumetto al mondo in cui gli autori parlano di sé.
Una miscela di questa forma di racconto autobiografico e il racconto della realtà esterna, più un desiderio di raccontare attraverso formule narrative diverse, come gli esprimenti del fumetto underground degli anni ’70. Che poi bisognerebbe dire che non c’é un solo fumetto underground, ma dieci, cento.

AC – Condivido abbastanza quello che hai detto, al di là di Gipi. è una sensazione che penso di aver capito perché ne parlavamo guardando i blog di diversi autori italiani emergenti. Penso ad esempio a Marco Corona, ho visto una serie di artisti nel suo blog che mostrano questo aspetto. Questa pesantezza si sente anche in alcuni lavori del gruppo Canicola dove ci sono ottimi autori, tante idee, ma quella leggerezza di cui parli non si avverte.
Ma ci può essere anche una leggerezza estremamente cattiva.

GN – Io molte volte percepisco un senso di freddezza.
Certo. Se invece tu vai a prendere quello che è stato l’underground italiano, per esempio Cannibale, ti trovi davanti questi cinque autori che sanno disegnare, sanno raccontare, ma si divertono. Possono essere anche pesanti anticipando un sacco di tematiche, per esempio quando ti fanno vedere Topolino crocifisso, pero’ faceva ridere. Era dirompente, era drammatico a modo suo, pero’ era divertente. Era melodrammatico e da parte degli autori c’era un atteggiamento punk.

AC – Anche perché Frigidaire si rapportava con un fumetto popolare, almeno all’inizio.
Poi in quella rivista, quegli artisti avevano un legame vero con i lettori. Certo oggi ci sono i blog coi quali si possono tenete dei rapporti con chi ti scrive, ma mi sembra che il legame con i lettori attraverso il sito alla fine diventa una parrocchietta di persone, una piccola cerchia di persone per cui tu poi fai il fumetto per il tuo pubblico.

GN – Gipi lo vedo da questo punto di vista molto più aperto come target. Anche negli ultimi lavori vedo che ha un linguaggio che arriva a vari livelli.
Lui si è aperto perché ha scoperto il pubblico popolare. Lui all’inizio questo rapporto non l’aveva…lui ha scoperto un pubblico popolare che non viene dal fumetto perché viene da La Repubblica, da chi acquista La Repubblica, legge l’inserto letterario e vede che ci sono i suoi disegni.

GN – Secondo me è importante che riesca a parlare a questo tipo di pubblico
Lui ha sempre saputo raccontare bene le cose. Ha capito determinate cose, un po’ da solo e un po’ grazie a Igort. Igort è un ottimo direttore artistico e non è un caso che prima di entrare in Coconino Gipi fosse un perfetto sconosciuto, pubblicato solo da Coniglio, che aveva proposto tra l’altro dei bei racconti su Blue.

AC – Che lui disconosce.
Stranamente. In quei racconti ci vedo il passato di ciò che fa adesso, ma non un passato da sconfessare. Solo una storia io la disconoscerei, quella in noir, in b/n ambientata a New York. Mentre la altre sue storie brevi, erotiche per modo di dire, cupe, mi sembrano comunque valide.

GN – Tornando ad Amami, mi spieghi come è nato? Tu avevi realizzato questi disegni e poi il testo è venuto dopo, giusto? Da come ne hai parlato prima sembra che ci avete lavorato anche assieme?
È nato da dei miei disegni, ma poi ci abbiamo lavorato assieme.
Nel 2004 feci un’istallazione per una mostra di Flash Art (nota rivista di arte contemporanea, ndi) in cui questi disegni stavano tutti in un bagno, in penombra, e dovevano essere un po’ decriptati, con un nastro in loop con 100 voci incise che piano piano dicevano: “amami, amami…”
Era il primo Flash Art Fair che si teneva a Milano, in un albergo, l’Una vicino a Corso Como. Come succede spesso in America una rivista o una serie di gallerie prendono in affitto un albergo per tre giorni. Danno a ogni galleria invitata una camera che può allestire come gli pare. La galleria con cui lavoro, di Trieste, prese uno spazio e mi chiese di fare delle proposte.
I 100 disegni di Amami sono nati per caso. Mi telefonano dalla galleria e mi chiedono “cosa hai intenzione di fare?” Rispondo “fatemi fare un sopralluogo all’albergo poi ti dico”. Faccio il sopralluogo, vedo la camera, mi viene un’idea. Telefono e gli dico: “sai che la camera è identica alla camera della casa di riposo dove stava mio papà? Identica o quasi, per cui io voglio ricreare la camera di riposo dove c’era mio papà, la camera dove poi è morto”.
E quindi ho ricreato il suo comodino con le sue medicine, con la sua dentiera dentro il bicchiere, ho tolto le lenzuola e ho steso il pigiama vuoto sul letto e ho riempito completamente la stanza di pannoloni, tipo 300, per anziani. Poi c’era un quadro sopra la testata del letto in cui accudisco mio papà con la scritta “cleaning assholes” perché tutti i pannoloni avevano disegnato dentro uno stronzo. In più poi nella tv girava un dvd con il volto di mio padre rifatto in 3d che apriva e chiudeva la bocca come un pesce e il labiale diceva “Amami”.
Questa idea l’ho proposta a quelli della galleria e loro mi hanno risposto: “sì, ma non avresti qualcosa che possiamo vendere?”.
Allora ho fatto i 100 disegnini che si vendono più facilmente e li ho messi nel bagno. Con questa voce dal televisore che continua a dire “amami”.

GN – Mi sfugge il collegamento tra tuo padre e i tuoi disegni.
Perché il padre è quello che tu sei, quello da cui sei nato e che ha fatto sì che diventassi quello che sei. C’é anche il rapporto che hai con tuo padre. I mostri corrispondono al rapporto tra padre e figlio, un rapporto conflittuale come quello che ho avuto io con mio papà, che col tempo si è stemperato e che si è complicato nel periodo della sua malattia. In mezzo a questo rapporto ci sono i mostri che stanno nel bagno.

AC – E poi i disegni li hai venduti?
Sì, tutti a una sola persona.

AC – E poi?
Visto il materiale Tiziano Scarpa mi disse: “Mi piace un sacco, dobbiamo fare qualcosa con questi disegni”.
All’inizio doveva essere un audio libro, poi sono stato chiamato da Mondadori, volevano farmi fare delle copertine. Discutendo con l’art director mi chiese se non avessi qualche progetto più consistente. E quindi gli ho proposto quello che al momento era solo un progetto. A loro è sembrato subito interessante tanto da dirmi che l’avrebbero pubblicato sicuramente. Spesso certi editori grossi sono anche più interessati a questi progetti che un piccolo editore, tanto è vero che Amami un editore piccolo non l’avrebbe mai fatto. E non è un problema di soldi, tanto è vero che anche io e Tiziano avremmo potuto produrlo: ci sarebbe costato 1500 euro, all’incirca.

AC – E come è andato il libro?
So che il primo mese aveva venduto il 25 % di quello che avevano stampato, 6000 copie, non è male. Neanche loro urlano al miracolo. L’hanno fatto perché gli piaceva avere in catalogo un libro di Tiziano Scarpa.

GN – Trovo più efficaci i disegni in confronto al testo, che mi sembra a volte troppo didascalico.
Lui ha cercato di non esserlo e comunque il lavoro mi sembra abbastanza riuscito, tanto che c’é chi preferisce i disegni. Altri non lo comprerebbero per i disegni, e penso soprattutto al pubblico femminile, che lo apre, lo sfoglia e lo chiude. Se poi si riesce a leggere uno dei racconti di Tiziano allora ci si accorge che parla anche di sentimenti.

AC – C’é questa discrepanza tra l’immagine forte che proponi e la parola amami.
Certo, ma non sono stato a discutere con lui le immagini prima che scrivesse i suoi pezzi e infatti per certe cose lui ha sbagliato completamente il personaggio. C’é per esempio un disegno con il Papa a carponi e lui non l’ha riconosciuto e ha scritto una cosa su un signore che si fa un musulmano. E funziona meglio!

GN – State pensando di fare un lavoro nuovo insieme, dicevi?
Vorremmo fare un lavoro tra letteratura e fumetto, un romanzo sui rapporti tra i personaggi del libro e i fumetti. Io vorrei fare un romanzo i cui protagonisti leggono un fumetto cult e il fumetto è nel libro. Il fumetto che loro leggono, anche se non se ne accorgono, in realtà è il riflesso delle loro vite o è un oracolo, un’interpretazione di quella che è la loro vita, quali sono i loro amori, i loro problemi personali. Vorremmo fare un intreccio di questo tipo.
Al momento pero’ è tutto fermo, nel senso che non abbiamo dato il via a nessun progetto concreto. Penso che ci cominceremo a lavorare nel 2008, ma non credo riusciremo a finirlo prima del 2009.
Nel frattempo sto lavorando a due nuovi libri con Coniglio editore: “Famiglia allargata” – 100 ritratti televisivi , in collegamento con una mia nuova mostra, e “L’osservatore” che è una specie di “Prima pagare, poi ricordare” in salsa Giacon, con schizzi, foto d’epoca, fumetti, etc..

 

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