Questo volume di American Gods – realizzato da P. Craig Russell (testi e layout) e Scott Hampton (disegni della storyline principale), affiancati da una nutrita squadra di disegnatori per gli inserti Altrove e Arrivo in America e dalle copertine di Glen Fabry, caratterizzate dal suo stile plastico iperrealista – raccoglie il primo arco narrativo della trasposizione in fumetto dell’omonimo romanzo del 2001 di Neil Gaiman, proposta negli USA da Dark Horse e importata in Italia da Mondadori, per la sua collana Oscar Ink1.
Leggendolo, ci inoltriamo in un racconto picaresco, caratterizzato da toni cupi, ritmi lenti e numerosi personaggi, e cadenzato da (apparenti) digressioni in forma di racconti, che in realtà tratteggiano il contesto e danno profondità storica alla visione dell’opera.
La linea narrativa principale vede infatti il protagonista, Shadow, che, scontati tre anni di prigione per aggressione, attraversa gli Stati Uniti nel ruolo di tuttofare per l’ambiguo Mr. Wednesday, che cerca alleati in vista della battaglia (definitiva?) fra le divinità che si contendono l’egemonia sul pensiero simbolico americano. Durante questo viaggio, Shadow è visitato dal fantasma della moglie, Laura, morta poco prima della sua scarcerazione.
Come annuncia il titolo, si tratta della lotta per stabilire quali siano i “veri” dèi americani, cioè quali siano i principi nei quali gli americani credono “veramente”, quelli che regolano la loro vita, le loro scelte e le loro azioni. Lo spunto di fondo di American Gods, motore centrale della poetica di Gaiman attraverso molte sue opere, è infatti l’idea che le divinità e i personaggi dei racconti mitici e tradizionali siano espressioni di visioni del mondo, la cui vita e potenza dipendono dalla fede che gli uomini ripongono in loro. Quando il loro culto si indebolisce, scivolano ai margini dell’esistenza e sopravvivono con sempre maggiori difficoltà, in cerca di brandelli di devozione che possano donar loro ancora un po’ di vita.
Un punto importante nello sviluppo che American Gods offre di questa idea è che gli dèi che vediamo agire sono in fondo un tipo molto speciale di immigrati negli USA, mentre le divinità che vogliono rilevare il loro ruolo dominante sono autoctone: la lotta, quindi porta sulla scena la complessità della struttura sociale e culturale umana, dove tradizione, identità, peso del passato e slancio verso il futuro sono inestricabilmente legate le une alle altre, spesso in maniera conflittuale.
Ombre e distorsioni dell’immaginario
L’energia della narrazione in American Gods – che segue pressoché pagina per pagina il romanzo – nasce dalla tensione fra la dimensione mitica dello scontro fra divinità e quella quotidiana dell’America dei piccoli centri urbani di provincia attraverso i quali si spostano Shadow e Wednesday.
Il loro cammino – che corrisponde alla storyline principale – si svolge in un’atmosfera cupa, amplificata dalle dominanti cromatiche scure e della resa di personaggi, oggetti ed edifici: gli autori, infatti, ci offrono una sorta di illusionismo iperrealista, nel quale tutto sembra essere perfettamente dettagliato ma che si dissolve a uno sguardo più attento, che ne rivela l’estrema sintesi.
In particolare, la restituzione fotografica dei volti comunica una sensazione di immobilità quasi cadaverica, come se tutti i personaggi incontrati fossero dei meri gusci, mossi da una forza che li abita e sfrutta per mimetizzarsi nel mondo.
Lo sguardo del protagonista, con gli occhi perennemente spalancati, è il caso esemplare di questo approccio visuale, poiché richiama in maniera inquietante quello del fantasma della moglie, che lo visita nei momenti critici della vicenda: uno sguardo, quindi, che sembra non appartenere all’ordinario mondo umano, a quello, saremmo tentati di dire, della veglia. Ovviamente nel caso di dèi e personaggi del folklore, siamo effettivamente in presenza di un travestimento, ma la sensazione risultante trasmessa attraverso la messa in scena è un senso di generale paranoia, che nasce dall’impressione che ogni cosa, ogni personaggio sia un simulacro, mentre la vera natura della realtà resta celata, invisibile allo sguardo.
I quattro inserti – Altrove in America (disegnato da Russell con particolare attenzione per evitare il bollo X-Rated e colorato da Lovern Kindzierski) e L’arrivo in America (tre episodi realizzati rispettivamente da Walter Simonson e Laura Martin, Colleen Doran, Glen Fabry e Adam Brown) – si distaccano visivamente in maniera netta dalla linea principale. Il contrasto sottolinea il diverso centro d’interesse delle vicende rispetto alla linea principale: in questa la scena è dominata dalle divinità e dalle loro relazioni, mentre quei brevi intarsi raccontano esistenze umane che si sono intrecciate a quelle delle divinità, esperienze del divino nella quotidianità che mostrano la profondità della relazione fra esseri umani, fede e dèi, che è appunto il motore narrativo ultimo di American Gods.
A passo lento fra uomini e dèi
La lentezza dello svolgimento accentua la generale sensazione onirica del racconto, aggiungendovi un di più di disorientamento. Le tavole sono dense di vignette, per dare spazio a ogni dettaglio del racconto: non di rado Russell utilizza una griglia a quattro righe e ne sfrutta spesso le fitte suddivisioni, realizzando una sorta di effetto stroboscopico.
Da parte loro, gli inserti, se da una parte contribuiscono a delineare lo scenario, dall’altra sono anche digressioni dalla trama principale, che ne procrastinano lo sviluppo. Non solo: all’interno della trama principale, molti personaggi raccontano storie. In questo senso, American Gods è strutturato come un racconto a cornice, nel quale la linea narrativa primaria fa da tessuto connettivo per una molteplicità di storie.
Il risultato è tuttavia coeso, poiché tutte le vicende sono collegate fra loro e a quella principale; non tanto perché condividono personaggi, quanto perché, raccontando come gli uomini nel corso dei secoli hanno portato con sé i loro dèi nel nuovo mondo, offrono squarci di quella “realtà verà” che dà senso agli eventi della vicenda.
Ultimo elemento che determina il ritmo di lettura e l’atmosfera di American Gods è l’abbondanza di testo – ripreso in maniera fedele dal romanzo, anche nell’uso del tempo passato – che, nella forma di voce narrante extra diegetica e dialoghi, accompagna la vicenda.
Come in altre sue trasposizione gaimaniane, Russell sfrutta senza risparmio il testo originale per il suo potere evocativo: la consapevolezza della densità della scrittura di Gaiman si accompagna in maniera evidente al timore di smarrire l’atmosfera originale, il cui fascino deriva dalla miriade di dettagli e dal ritmo della prosa. In questo senso, Russell sfrutta il testo del romanzo come una sorta di colonna sonora e, concendendosi o cadendo in qualche ridondanza didascalica, in generale lo combina virtuosamente con le immagini.
Per farci un’idea concreta del funzionamento ritmico e narrativo dell’approccio di Russell e Hampton, osserviamo la tavola 17 del primo capitolo, ambientata nell’aereoporto di St. Louis (Fig. 3).
È organizzata su tre righe: la prima è interamente occupata da una singola vignetta orizzontale, la seconda da sette e la terza da sei, tutte molto strette: già al primo sguardo, questa costruzione comunica un senso di accelerazione, che deriva dal fatto che nel corso del tempo (verso di lettura dall’alto al basso) aumenta il numero di vignette per blocco temporale (la riga). Inoltre, l’ampio margine bianco che circonda le due righe inferiori su tre lati genera due effetti che amplificano il senso di accelerazione: focalizzazione, attraverso il contrasto fra il bianco e la massa cromatica delle righe e di compressione, per la ridotta larghezza delle due righe inferiori rispetto a quella superiore, che lo sguardo, cogliendo immediatamente la sequenza di vignette strette, interpreta come compressione temporale.
Il risultato è quindi: prima riga, grande spazio e intervallo temporale unico; seconda e terza riga due sequenze di intervalli temporali brevi in rapida successione, caso esemplare di quello che sopra abbiamo definito “effetto stroboscopico”.
L’immagine superiore offre una panoramica dall’alto della hall, con il punto di fuga prospettico al centro geometrico della vignetta, mentre Shadow è visto di spalle in basso. A sinistra, una didascalia narrativa ci avverte che questo aeroporto non è quello previsto dall’itinerario di Shadow. Le proporzioni fra la figura umana, gli spazi, le dimensione dei banchi e la distanza fra i gruppi di persone danno idea dello spaesamento del protagonista, mentre la sua posizione rispetto al punto di fuga delle linee ci dice che Shadow comunque avanza nel suo cammino.
È un momento sospeso, di lunga durata. Innanzitutto, abbiamo la lunga didascalia a sinistra, che costituisce una sorta di blocco d’entrata; quindi l’occhio deve ricostruire l’ambiente e qui possiamo apprezzare quell’illusione iperrealista sopra citata: tutti gli elementi dell’ambiente sono presenti e il loro grado di definizione appare accurato, sulla destra abbiamo un negozio che chiaramente ha oggetti in mostra in vetrina, ma appena ci concentriamo sul dettaglio ci rendiamo conto che sono solo piccole macchie d’ombra. Le due righe inferiori si frantumano in tante vignette, ognuna accompagnata da didascalie o dialoghi: Shadow scopre di non essere dove credeva e corre verso la coincidenza, che coglierà per un soffio.
Qui notiamo l’effetto di rallentamento onirico: la suddivisione delle vignette induce un senso di frenesia, che chiede di accelerare la lettura, ma il testo scritto la rallenta, conferendo alla sequenza una peculiare viscosità che risulta in un affanno. Il punto importante, dal punto di vista della struttura del layout, è che il testo è ridondante rispetto al contenuto dell’azione. La costruzione visuale, supportata dalle interpretazioni dei personaggi (mimica e linguaggio del corpo), racconta tutto da sola.
Il testo non aggiunge alcunché dal punto di vista dell’informazione sugli eventi, ma è fondamentale per il tono della sequenza: rallentando lo scorrimento, la trasforma da una corsa sfrenata a un arrancare faticoso; disaccoppia intenzione (muoversi rapidamente) e atto concreto (movimento rallentato da cause esterne) e riproduce una delle più tipiche dinamiche dell’incubo – che corrisponde alla dinamica di lettura base del racconto.
Una trasposizione prudente
Uscito negli USA pressoché in contemporanea con la trasposizione televisiva del romanzo di Gaiman, quindi ragionevolmente parte di una strategia commerciale transmediatica, l’American Gods fumettistico è marcato da un approccio sostanzialmente mimetico rispetto all’opera matrice: al lettore che già conoscesse il romanzo offre quindi la possibilità di riviverne l’esperienza di lettura. Detto altrimenti, Russell propone una rilettura e non un confronto critico con i temi del romanzo.
Per capire il senso di una simile scelta prudente, è interessante considerare un caso in cui il tentativo di raccontare un tema simile si è alla fine rivelato velleitario – un tipico caso di fallimento: la miniserie di Hercules scritta da Dan Abnett. Siamo quindi in ambito supereroico, dove il tema sul rapporto fra divinità e fede dei credenti ha anche una sfumatura metanarrativa particolarmente evidente, che riguarda la capacità di personaggi dalla lunga storia di essere strumenti efficaci per narrare il presente. La serie di Abnett si articolò in sei numeri autonomi più quattro all’interno dell’evento Marvel Civil War II e mantenne i temi della natura delle divinità come manifestazione delle fedi umane e della lotta fra dèi tradizionali e rampanti; alleggerì i toni del racconto, ne mise al centro un percorso di rinascita del protagonista e introdusse una ricca schiera di comprimari tratteggiati brillantemente.
Tuttavia, l’intreccio si ripiegò rapidamente su sé stesso, smarrendo via via gli spunti più profondi e riducendo la vicenda allo scontro fra divinità rivali, spettacolare ma stereotipato e sostanzialmente omologo a una qualsiasi diatriba fra superesseri. In particolare, quello che il racconto di Abnett non riuscì a valorizzare fu proprio la profondità di campo che Russell mantiene trasportando tutto il materiale originale nel fumetto.
In coda, il volume propone le copertine degli albi e un consistente numero di tavole, mostrate nelle varie fasi di lavorazione, che, oltre al fascino del materializzarsi dell’opera, dimostrano il ruolo preponderante del lavoro di Russel, con layout molto definiti ai quali i disegnatori hanno sostanzialmente dato definizione.
Infine, l’edizione italiana si giova di una nuova traduzione dei testi, di Leonardo Rizzi, rispetto al romanzo, che si segnala per efficacia e ben maggiore coesione rispetto a quella del romanzo – ad opera di Katia Bagnoli -, che soffriva di una forte disomogeneità stilistica.
Abbiamo parlato di:
American Gods – Le ombre
Neil Gaiman, P. Craig Russell, Scott Hampton, Walter Simonson, Colleen Doran, Glen Fabry
Traduzione di Leonardo Rizzi
Mondadori Oscar Ink, 2018
280 pagine, cartonato, colori – 25,00 €
ISBN: 9788804684053
L’adattamento è basato sulla edizione del decennale del romanzo, uscita nel 2011 e nella quale Gaiman reinserì brani espunti nella prima edizione. ↩