La redenzione del samurai: un nuovo inizio per Roberto Recchioni

La redenzione del samurai: un nuovo inizio per Roberto Recchioni

Intervistiamo Roberto Recchioni, sceneggiatore de La redenzione del samurai, disegnato da Andrea Accardi, per analizzare questo albo, vero e proprio inizio di un nuovo percorso per lo scrittore.

Nato nel 1974, Roberto Recchioni è attivo nell’ambito fumettistico professionale dal 1993, esordendo sulla serie “Dark Side” (da lui creata) edita da BDPress. Ha in seguito collaborato con Star Shop, Comic Art, Rizzoli, Magic Press, Eura Editoriale, ed è inoltre tra i soci fondatori della Casa editrice Factory. Per il mercato estero ha pubblicato un paio di storie brevi sulla celebre rivista americana “Heavy Metal”. È stato anche redattore delle riviste “X-Files”, “CineAttack!”, “Fiction” e “Pc Zeta”, curando inoltre “Resident Evil Magazine”, “Cliffhanger” e “Wildstorm”. Approdato all’Eura Editoriale, ha creato e realizzato, in coppia con Lorenzo Bartoli, svariati racconti e serie per “Skorpio” e “Lanciostory”, tra cui “Napoli Ground Zero” e “Logan”. Sempre con Bartoli ha dato vita alle serie a fumetti “John Doe” e “Detective Dante”. Dal 2007 è entrato a far parte dello staff degli sceneggiatori di Dylan Dog, esordendo con una storia breve pubblicata sul primo Dylan Dog Color Fest e successivamente approdando alla serie mensile. Per Nicola Pesce Editore ha recentemente pubblicato Asso e Ammazatine. Attualmente, per la Sergio Bonelli Editore è al lavoro su Le Storie, Tex e su di una nuova serie di prossima pubblicazione, dal titolo Orfani.

Quando sei stato contattato quale è stata la tua reazione alla nascita di questa nuova collana, particolare rispetto alla produzione Bonelli classica?
Ne sono stato molto contento ma non sorpreso.
Le Storie è un progetto di Mauro Marcheselli, la sua “firma” personale nella lunga storia della Bonelli. È nata, concettualmente, quando Mauro è diventato il direttore editoriale della casa editrice e, per molti versi, rappresenta il manifesto programmatico di Mauro e di un nuovo corso che sta investendo la Sergio Bonelli Editore.
Conosco Mauro da parecchio tempo e ho la massima stima di lui, In questo senso, Le Storie mi sembrano una chiara espressione della sua indole, delle sue passioni e dei suoi gusti.

La tua storia è uscita tra le primissime perché sei stato uno dei primi a essere contattato o perché la Bonelli voleva da subito un autore rappresentativo della “nuova scuola Bonelliana” (penso a te, alla Barbato, a Cajelli, a Tito Faraci e via dicendo) per un progetto diverso dagli standard?
Credo di essere stato tra i primi a venire contattato (insieme a Paola e a una manciata di altri). Il perché sono stato chiamato proprio io non è una cosa che dovete chiedere a me.

Avendo la possibilità di raccontare una storia che non ha come protagonisti personaggi specifici da contestualizzare nello scenario che gli è proprio, hai utilizzato un racconto già pronto, che conservavi nel cassetto, o La redenzione del samurai è un’opera creata appositamente per la collana Le Storie?
No. L’ho creata ex-novo. L’occasione era troppo importante per non commissionare al sarto un abito su misura.

Ho letto che sostieni che la realizzazione dell’albo è stata essa stessa un’esperienza molto importante per te. Un passaggio. Puoi spiegarci in che senso?
Con John Doe ho chiuso i conti con un certo tipo di stile e con un certo tipo di scrittura. La redenzione del samurai è il mio primo lavoro pubblicato, realizzato con un approccio diverso, più asciutto, sintetico e rigoroso.
Il mio primo scopo è sviluppare uno stile che mi permetta di passare un gran numero di informazioni senza poggiarmi mai agli “spiegoni” e senza appesantire la lettura e, nello stesso tempo, appassionare il lettore senza usare troppe esagerazioni o toni sopra le righe.

È probabilmente la tua sceneggiatura finora più “spoglia”, nella quale non emerge tanto il personaggio Recchioni, quanto lo scrittore. Sembri quasi fare un passo indietro. Un punto di svolta che sentivi necessario come scrittore o come persona?
È l’inizio di un nuovo percorso.

Come è avvenuta la scelta del disegnatore? Accardi non è nuovo ad ambientazioni giapponesi e conosce bene lo scenario narrativo. Questa sua esperienza in che misura ha influenzato la tua sceneggiatura?
Ho pensato la storia in funzione di Andrea. Se la Bonelli non lo avesse accettato come disegnatore, avrei realizzato una storia diversa. Andrea ha trasformato ogni mia parola in segno e ogni segno è una parola. Senza di lui, questo risultato sarebbe stato impossibile. Non c’è nessun altro disegnatore con cui ho una simbiosi tale.

Hai scelto una narrazione lineare, senza farti prendere dalla smania del flashback o dell’effetto speciale narrativo. Lo ritieni un canone del genere o mera scelta di leggibilità?
Io credo che la Bonelli faccia fumetti popolari e che il linguaggio che si debba usare sia un linguaggio popolare. Che non significa di minore qualità, anzi. La ricerca di un linguaggio comune e largamente condiviso è il fine ultimo di un narratore che operi nel settore del popolare. Questa ricerca deve sposarsi con una ricerca analoga sulla qualità. Quindi, la missione è trovare un linguaggio semplice e cristallino, con cui raccontare storie articolate e significative.

Forse l’ultimo vero samurai fu Yukio Mishima (per me più dannunziano di D’Annunzio stesso…). Come ti sei posto nel tradurre quel contrasto tra eccessi e vuoti zen che c’è nella vita del samurai?
Personalmente, credo che questo contrasto non esista. O almeno, esiste sono negli occhi degli occidentali che guardano alla cultura giapponese.

Ti citavo Mishima proprio perché lui stesso nel libro dove analizza l’Hagakure in più momenti finisce per mostrare contrasti. Una filosofia di azione e contemplazione, quella del samurai, “dell’estremismo”, ammette Mishima. In un passaggio ammette la veridicità di un’interpretazione occidentale della via del samurai in quanto moralità sì introspettiva ma anche concentrata sulle apparenze. Se poi parliamo del fatto che l’occidente fraintenda molto della cultura giapponese, su questo siamo comunque d’accordo.
Ammette (e comprende) il perché di quella visione occidentale. Ma non la sottoscrive.
Tanto è vero che conduce la vita che conduce, scrive le cose che scrive e muore come muore. Che sono tutte cose in forte contrasto per il modo di vedere occidentale ma che, in Giappone, non vivono alcun dilemma.
Pensiero e azione. Uniti.

In realtà in quel passaggio Mishima ammette la critica, come a sottoscriverla. Te lo cito per chiarezza. Dopo aver lui citato la sociologa Ruth Benedict che definisce la moralità giapponese come “moralità della vergogna”, lui dice “è del tutto naturale che la via del samurai dia valore alle apparenze esteriori”. Quindi lui stesso non critica strettamente l’occhio distante occidentale, piuttosto stupisce quasi come ammetta meno pregiudizio di quello che ammetti tu. In quel senso intendevo contrasto. Introspezione sì, ma anche apparenze. Non mi ritengo comunque un occidentale col prosciutto sugli occhi.
Dice che è “naturale che sia una via che da valore alle apparenze esteriori”. Che, in una visione occidentale, viene vista come una ammissione di superficialità o ipocrisia. Ma, nella cultura giapponese, dove la forma e il contenuto coincidono, le cose sono parecchio diverse, a mio modo di vedere.

Hai scritto il secondo numero de Le Storie, una collana di svolta per l’editore. Il prossimo anno partono gli Orfani, prima miniserie a colori per la Bonelli. In poco tempo sei stato protagonista di due dei più grandi cambiamenti dell’editore, peraltro attesi da anni. Come ti fa sentire?
Ce ne saranno molti altri di grandi cambiamenti e molti di questi mi vedranno tra i protagonisti. Perché io? Di nuovo, non è una domanda che dovete porre a me o a cui io dovrei rispondere.

Cosa si prova a passare da iniziative così innovative nel “tornare nei ranghi” scrivendo per un personaggio come Tex?
Non credo che scrivere Tex significhi tornare tra i ranghi. Se c’è un personaggio che rappresenta una vera eccezione nel panorama fumettistico mondiale, quello è proprio Tex (e Diabolik). Scrivere Tex, per me, significa pensare in maniera diversa che per qualsiasi altro personaggio.

Mentre scrivi una storia per la Bonelli e quando scrivi Tex, quanto è presente il ricordo di Sergio Bonelli nel tuo lavoro?
Non ho mai scritto “per lui” (a differenza di altri sceneggiatori, anche bravissimi), non ho mai scritto “contro di lui” (a differenza di altri sceneggiatori, anche bravissimi). Scrivevo (e scrivo) confrontandomi con una tradizione fumettistica che lui ha contribuito (in maniera importantissima) a creare. Certe volte cerco di rinnovarla, altre volte cerco di aderirgli.
In questo senso, oggi come ieri, la presenza di Sergio è sempre presente nel mio lavoro.
Questo per il piano professionale.
Sul piano personale: mi manca andare a pranzo con lui e mi mancano le sue reazioni e i suoi giudizi sui miei lavori.

Grazie Roberto per la tua disponibilità.

1 Commento

1 Commento

  1. Domenico

    2 Dicembre 2012 a 20:24

    Recchioni quando smette di pensare di essere Recchioni ( spiace ma mi ha scocciato Asso) diventa una persona speciale e molto interessante. Accade spesso.

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