Il lavoro di Carlo Collodi
Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino è tra i romanzi di maggior successo in tutto il mondo sin dalla sua pubblicazione, a opera di Carlo Collodi, nel 1881.
Pur considerata a tutti gli effetti un’opera dedicata ai lettori più giovani, Pinocchio risente della consuetudine coeva al suo autore a non scrivere specificamente per un pubblico infantile, ma di raccontare una storia esemplificativa dell’idealità pedagogica di fine Ottocento. Dimostrazione ne è il fatto che, nelle intenzioni di Collodi, la vicenda del burattino toscano avrebbe dovuto concludersi al XV capitolo, con la sua morte per impiccagione a opera degli assassini. Questo in linea con quella componente gotica che nella produzione novellistica del tempo era mutuata da autori quali Dickens e i fratelli Grimm.
Alla tipica tristezza e alla crudeltà di fondo, che risultano più chiare a un lettore adulto che non a un bambino – il cui ricordo della fiaba di Pinocchio giunge spesso falsato dalle versioni edulcorate trasmesse oralmente e prodotte per il cinema –, si somma nel nostro Paese il verismo verghiano, che lascia emergere prepotentemente gli aspetti più biechi dei ceti popolari dell’Italia post unitaria.
A tal proposito non si può trascurare il fatto che Pinocchio sia da molti critici considerata un’allegoria della società Italiana di fine Ottocento, nonché una feroce satira contro i contraddittori e inadeguati sistemi educativi del tempo. Questo naturalmente accanto alle letture esoteriche e cristologiche ampiamente descritte all’interno degli innumerevoli saggi critici sull’opera collodiana, pubblicati tra i primi anni Venti del XX secolo e oggi.
Il burattino di legno di Chauvel e McBurnie
Altrettanto numerosi sono gli omaggi artistici e musicali, la trasposizioni cinematografiche, gli adattamenti a fumetti de Le avventure di Pinocchio giunti con il decadere dei diritti dautore nel 1940 , molti dei quali hanno indugiato in diverse licenze rispetto all’opera originale di Carlo Lorenzini (questo, lo ricordiamo, il vero nome di Collodi).
Non ultimo, ma più fedele al romanzo, il fumetto di David Chauvel e Tim McBurnie, pubblicato nel 2014 da Editions Delcourt, e tradotto da Stefano Andrea Cresti per la collana Tipitondi di Tunuè, che lo propone in Italia a partire dall’aprile 2016.
Vincitore del Gran Guinigi 2011 come Miglior Sceneggiatore per il graphic novel Octave, e Premio Miglior Libro di Scuola Europea al Romics 2011, David Chauvel non racconta nulla che già non si sappia: Pinocchio è un burattino (anche se sarebbe meglio dire una marionetta) nata dalle mani di Geppetto, che si rivela ben presto un figlio svogliato e disubbidiente: si lascia ingannare da imbonitori come il Gatto e la Volpe, prima, e fuorviare dalla scempiaggine dell’amico Lucignolo, poi, i quali approfittano della sua ingenuità. Il burattino rischia così la vita e mette in pericolo anche quella del suo anziano genitore. Facendo ammenda, anche grazie al provvidenziale intervento di una buona Fata e all’aiuto e ai consigli di saggi e fedeli animali parlanti, Pinocchio riesce infine a diventare un bambino vero.
Promosso nel nostro Paese come “il grande ritorno a fumetti del più grande e amato classico della letteratura mondiale”, il fumetto di Chauvel mantiene inalterato il suo fascino senza tempo, ma, schiettamente rivolto com’è ai bambini, corre il rischio di perdere le tonalità gotiche del romanzo.
Pur rispettoso del testo di Collodi, Chauvel si concede di condensare la trama in ottanta pagine, e sceglie così di omettere taluni passaggi narrativi meno incisivi, e di privarla di quella precisa scansione temporale che è invece presentissima nel romanzo. Queste scelte di sceneggiatura portano a un sovraffollamento di situazioni che in tal modo appaiono scollegate fra loro e poco chiare nel susseguirsi dell’intreccio, giungendo al felice epilogo con una rapidità e con una scarsezza di drammaticità che ne inficiano la morale conclusiva.
Sebbene non brilli per originalità, data l’aderenza quasi filologica alla stesura collodiana del 1883 (quella della prima edizione a stampa, con laggiunta dei capitoli dal XVI al XXXVI), il merito indubbio di Chauvel è aver mantenuto fede al libro anche nel discorso diretto, e del traduttore nell’aver mantenuti inalterati i toscanismi che qui caratterizzano la scrittura di Collodi e che fanno di Pinocchio un romanzo dalla forte impronta popolare. Così il ritmo, l’umorismo e a tratti la tenerezza di certi dialoghi, tanto serrati e verosimili, risultano intatti.
La magia delle tavole di McBurnie
Sono i disegni di Tim McBurnie a incidere sul risultato finale – forse poco convincente per un adulto innamorato del sottotesto cupo e malinconico del libro, ma perfettamente in linea con il gusto del giovanissimo pubblico cui questo fumetto è dichiaratamente rivolto.
L’australiano denuncia immediatamente il proprio approccio teatrale al romanzo sin dallo splendido disegno di copertina. Tutti i personaggi del racconto, nessuno escluso, si accalcano su un piccolo palcoscenico, in una composizione a piramide che vede alla base e al centro della scena la figura di Pinocchio, illuminato da una luce che sembra irradiata dal suo stesso piccolo corpo di legno. Nel frattempo i comprimari restano nella penombra, sorridenti e ammiccanti, come commedianti dopo uno spettacolo, consapevoli che la loro vicenda è pura finzione e che il loro ruolo è quello di sole spalle per il burattino protagonista.
Il tratto di McBurnie è elegante, morbido e si serve di linee tondeggianti che accentuano l’aspetto favolistico del racconto. E il disegnatore mette questa delicatezza anche nel disegnare lo stesso Pinocchio – spesso immaginato e ritratto con sembianze spigolose e dure, che nell’immaginario collettivo lo distaccano nettamente dall’idea di un bambino in carne e ossa , che qui indossa un simpatico cappello a punta che sembra un tutt’uno con la suo testolina tonda (sulla quale McBurnie piazza due grandi orecchie, assai lontane da quelle quasi inesistenti descritte da Collodi]), e una mantellina svolazzante dalla quale spuntano le secche e agili gambette di legno.
La maestria del disegnatore offre una precisa e unica caratterizzazione dei personaggi, che colpiscono per la verosimiglianza dei tratti somatici, naturali e dinamici. Si nota anche una certa cura nello studio dell’abbigliamento, che sembra frutto di una puntuale ricerca storica. Solo la Fata si distingue per l’eccentricità dei suoi vestiti e dei suoi monili, che ricordano l’aspetto di una gitana, quasi a voler sottolineare la sua appartenenza a un mondo magico e fuori dal tempo.
Perfettamente a proprio agio nel comporre una moltitudine e varietà di paesaggi, Tim McBurnie gioca con la tavolozza dei colori offrendo un’alternanza di atmosfere e di tagli di luci e di ombre, che conferiscono un fascino tutto particolare alle sue tavole. Di queste ultime, la schematicità e il preciso ordine in cui le vignette di susseguono agevolano l’approccio al fumetto, anche pensando a una lettura da parte di un bambino e assistita da un adulto.
La delicatezza e l’energia intrinseca ai disegni li pone in netto contrasto con le atmosfere originali di questa fiaba gotica, che così trasposta – comunque integra nei contenuti e nel messaggio – diventa una suggestiva lettura per i più piccoli, una riscoperta per gli adulti nostalgici, e un’esperienza da condividere con tutta la famiglia.
Abbiamo parlato di:
Pinocchio
David Chauvel, Tim McBurnie
Traduzione di Stefano Andrea Cresti
Tunuè – collana Tipitondi, aprile 2016
88 pagine, colori, cartonato – 14,90 €
ISBN: 978-88-6790-176-0