Avere tra le mani un’edizione da libreria, cartonata, ben rifinita e ben curata, di un’opera di Miguel Ángel Martín fa uno strano effetto a chi, come me, ha conosciuto per la prima volta i suoi albi in edizioni spillate, venduti da una bancarella ambulante gestita da un aspirante libraio indipendente. Volumetti in apparenza semplici ma messi nell’angolo delle letture di nicchia; il perché l’avrei scoperto dopo aver letto quegli albi (era la prima edizione italiana di Brian the Brain) e altri dello stesso autore, ancora una volta acquistati in contesti alternativi.
Oggi Nicola Pesce Editore ripropone in una nuova veste editoriale due opere dell’autore iberico, Life Fading e The Space Between, raccolte in un unico volume che le ricollega materialmente, benché tra le due vi sia una distanza di diversi anni. Un’operazione importante non solo per la cura con cui è stato confezionato il volume, ma soprattutto perché storie come quelle di M. A. Martín meritano di emergere finalmente dall’underground fumettistico ed essere apprezzate da un più vasto pubblico.
Anche a distanza di parecchi anni dalla sua prima uscita, Life Fading, che tratta il tema dell’eutanasia istituzionalizzata, resta un testo denso di spunti di riflessione e di dibattito tutt’altro che banali. Boris, il protagonista, è il responsabile ufficiale delle “disconnessioni”, ovvero di interruzioni volontarie della vita, nonché di iniezioni letali effettuate su incarico istituzionale, in una visione allargata della pena capitale. Parallelamente, è un attivo donatore della banca del seme ed esecutore di inseminazioni dirette.
Dalla fine degli Anni Novanta (Life Fading appariva in appendice alle storie di Brian the Brain) ad oggi il dibattito pubblico su eutanasia e fecondazione artificiale è stato ampio e variegato, eppure queste storie colpiscono ancora per la loro profondità. Boris è un personaggio apparentemente al di sopra del bene e del male: non è un medico, quindi non è affetto da problemi deontologici, e non si fa irretire né da questioni morali né da pietà umana; tuttavia nutre rispetto nei confronti delle persone che a lui si rivolgono tanto da esaudire, senza sovrastrutture di sorta, il loro ultimo desiderio, e rivelarsi poi portatore di un’etica sociale nel considerare l’iniquità della pena capitale, lamentando il fatto che raramente essa viene applicata a personaggi pubblici o importanti.
In aggiunta, a fare da contraltare al tema della morte, c’è quello della vita, rappresentato dalle pulsioni sessuali dei vari protagonisti e dal ricorrente cenno alla volontà/impossibilità di procreare.
Life Fading è un testo molto politico: l’autore non pretende di dissimulare la propria volontà di trattare esplicitamente e approfonditamente il tema dell’eutanasia nelle sue implicazioni etiche e sociali, anche con intento divulgativo. Roman, il medico titolare della clinica in cui Boris lavora, può essere definito un attivista dell’eutanasia, mentre Boris ha una visione più ampia del problema, e riesce a vederne le ricadute non solo sull’individuo ma anche sulla collettività. In un’intervista rilasciata a una tv locale, esplicita quasi un manifesto ideologico che colpisce per la sua acutezza: “L’eutanasia elimina il dolore di una persona, la pena capitale, quello della società”, e ancora “Essere politicamente corretti provoca delle nevrosi, a volte irreversibili”.
Life Fading è una potente riflessione sul senso ultimo della vita, nella misura in cui essa non è dono bensì esperienza consapevole, dall’atto del procreare a quello del porvi fine, e in entrambi i casi in maniera che si suol definire “non naturale”. Una riflessione, questa, che non indulge a facili moralismi e non accetta soluzioni schematiche. Se tutto è mercificato, in un sistema capitalistico, quanto vale la vita stessa? “Secondo il mercato”, afferma Boris, sfidando il sommo tabù che vuole la vita come valore assoluto ed inestimabile.
Life Fading è dunque fortemente ancorato a temi sociali e civili; The Space Between, al contrario, si svolge nella rarefatta società futuribile di una stazione spaziale. Sebbene il nucleo di personaggi principali faccia parte di una famiglia “tradizionale” (madre, padre e due bambini), ben presto questa si rivela un luogo disfunzionale che nulla toglie alle nevrosi individuali, anzi le amplifica e le nutre. Assistiamo quindi a un dipanarsi di situazioni estreme, quasi che la sceneggiatura fosse un esorcismo di temi usualmente rimossi a livello collettivo: dalla violenza sugli animali alla sessualità infantile, dalla coprofilia all’uxoricidio. Non c’è nessun compiacimento morboso, bensì una liberazione di pulsioni fin troppo umane che vengono rimandate da enormi schermi su cui va in onda lo spettacolo delle devianze. La protagonista è infatti una ideatrice e presentatrice di spettacoli ultraviolenti, i quali raggiungono senza alcun filtro anche i suoi due bambini.
Ancora una volta con largo anticipo, Miguel Ángel Martín si conferma precursore della società odierna, in cui i media si sostituiscono al rapporto genitori-figli con conseguenze a volte nefaste sullo sviluppo psico-fisico dei bambini e sull’integrità della famiglia stessa. Ritroviamo anche qui il tema della pena di morte, stavolta però utilizzata come spettacolo e come monito sociale. Come anche nel precedente Life Fading, la dicotomia tra ordine sociale e pulsioni individuali è evidente, e qui ancora di più suggerisce una funzione catartica degli istinti ancestrali, anche nelle forme più violente e ripugnanti, rispetto alle costrizioni della vita collettiva.
La riflessione innescata da queste e altre opere di Martín è quella sulla devianza, intesa come diversità materiale ma anche come contrasto alle norme e regole comuni, come gesto liberatorio. E nello «spazio intermedio» tra individuo e sistema l’autore va a ricercare un senso più autentico per le sue storie, superando moralismi e ipocrisie. I suoi personaggi sono estremi ma molto reali, nonostante una certa vena fantascientifica. Le ambientazioni invece sono asettiche al punto di poter essere definite dei non-luoghi fisici e sociali: una clinica anonima, una stazione spaziale orbitante. Niente che possa aggiungere un livello di emotività alla già densa materia concettuale che costituisce queste storie.
Leggere Miguel Ángel Martín è un’esperienza razionale pura, e proprio per questo così intensa e spiazzante come ricevere un violento e inaspettato schiaffo. Eppure, non è la “violenza” (anche letterale) delle tematiche a dare questa sensazione, bensì la scarnificazione del soggetto operato vignetta per vignetta. Il tratto è semplice, pulito, da ligne claire; le fisionomie dei personaggi sono ridotte all’osso e i paesaggi appena tratteggiati, a fare da contraltare alla complessità dei temi sottostanti alla narrazione. Non è una lettura per chiunque, soprattutto per chi non ha voglia di mettersi in gioco e uscire dalla comfort zone. Queste storie costringono a guardarci dentro e ritrovare quello che, addomesticato dalle convenzioni sociali, abbiamo sopito o rielaborato in schemi di pensiero più complessi; e dalle inevitabili crepe di un sistema sofisticato che, in quanto tale, non può essere perfetto, ciò che abbiamo rimosso viene fuori e contagia come un virus alieno.
Abbiamo parlato di:
Life Fading and The Space Between
Miguel Ángel Martín
Nicola Pesce Editore, 2019
184 pagine, cartonato con sovraccoperta, bianco e nero – 19,90 €
ISBN: 9788894818857