Come nasce Manuele Fior fumettista e illustratore? Ci racconti sommariamente la tua biografia?
Mi sono riavvicinato al fumetto circa dieci anni fa. Da ragazzo leggevo molti fumetti americani supereroistici, mi sono cimentato nel farli, ma ho interrotto durante gli studi di architettura. Per diversi anni ho esercitato la professione di architetto e disegnatore di archeologia, ma poco a poco
la passione per il fumetto ha ripreso il sopravvento. Soprattutto da quando in Italia, Coconino ha ricominciato a pubblicare un fumetto di un certo tipo, quello a cui mi sento particolarmente legato. L’illustrazione è nel mio caso un attività quasi obbligata, dal momento che i libri a fumetti
richiedono molto tempo e non si pagano sempre da soli. Considerato che lavorare a un libro è molto faticoso, sono contento di poter alternare con l’illustrazione, che è per certi versi più immediata e in cui posso usare delle tecniche che sperimento nel fumetto.
Perché hai scelto di realizzare un fumetto tratto da un’opera di Arthur Schnitzlter?
L’editore francese Delcourt mi ha contattato, chiedendomi un adattamento di un testo a mia scelta. Conoscevo Schnitlzer indirettamente, avendo visto l’adattamento che ne aveva fatto Kubrick in Eyes Wide Shot. Parlandone con la mia ragazza è venuto fuori questo romanzo breve, La Signorina Else, che da subito mi ha colpito per la sua modernità, uno dei primi monologhi interiori a flusso di coscienza. C’é una componente sperimentale di quest’opera che quasi chiedeva di essere tradotta in un altro mezzo.
A livello grafico hai reso omaggio in maniera esplicita alla pittura della Secessione Viennese. Perché proprio la pittura della Secessione, dato che questa ha interessato soprattutto il primo decennio del 900 mentre il romanzo di Schnitlzter è uscito nel decennio seguente? C’é qualche attinenza tra questa opera letteraria e quel movimento artistico?
Non ho cercato di rendere omaggio a nessuno in realtà, anche perché penso che gli artisti in questione non si sarebbero sentiti omaggiati dal mio disegno, semmai oltraggiati… Quando si parla di questo fumetto si nomina spesso la Secessione Viennese, ed è chiaro che un influenza c’é, ho studiato dai disegni di Klimt soprattutto per la fisionomia di Else. Ma ci sono anche altre fonti d’ispirazione, soprattutto Edvard Munch, che durante il mio periodo in Norvegia ho avuto l’occasione di conoscere più approfonditamente. Anche Spillaert è stata una referenza costante.
Non volevo citare direttamente nessuno di questi artisti, piuttosto imparare da loro e disegnare come se la fotografia non esistesse, mettermi nei loro panni, diciamo.
Prima di arrivare a Rosso Oltremare avevi disegnato alcuni racconti su testi di tuo fratello nel quale il surrealismo, il caso, la dimensione umana sono alcuni degli ingredienti principali. In un certo modo qualche corrispondenza con Rosso oltremare mi sembra di coglierla, mentre con questo tuo nuovo libro credo che la discesa nei luoghi oscuri dell’animo umano sia ancora più marcata. Che ne pensi?
Hai ragione, per certi versi ogni lavoro è più approfondito del precedente, diciamo che con Else mi interessava scandagliare il problema del rapporto tra pulsioni personali e costrizioni sociali. Un tema classico freudiano, ma in fondo un tema universale e senza tempo, sul quale ci si arrovella anche oggi.
Tra l’altro c’é anche un certo distacco di segno, di elaborazione della pagina. Precedentemente avevi usato delle pennellate ampie, dinamiche, decise, e una ricerca iconografica che poteva ricordare sia l’illustrazione tipica del New Yorker quanto la gestualità dell’astrattismo del primo novecento (Picasso e la pittura futurista). Nel tuo ultimo libro invece il segno diventa più contenuto, più pensato, anche se sempre essenziale, ampliando decisamente la tavolozza dei colori. Mi chiedo: questa trasformazione è dovuta solo al già accentato omaggio alla Secessione viennese oppure è una scelta funzionale al tipo di storia che dovevi raccontare?
Ci sono dei disegnatori che impiegano molti anni a perfezionare una personale cifra stilistica, e la loro evoluzione si misura in piccoli miglioramenti graduali che portano a un risultato di grande padronanza della tecnica e delle capacità espressive. Per me è diverso, raggiunto un determinato risultato, cerco di cambiare radicalmente l’approccio, con nuove tecniche o nuovi punti di vista. Non so perché, fa parte del mio rapporto col disegno, che deve essere sempre reinventato.
In Else ho impiegato molto tempo e buttato molte pagine per arrivare a un segno e a una struttura della tavola che mi soddisfacesse. C’é questa specie di energia statica che pervade il libro, in cui quasi niente succede, ma il susseguirsi isterico dei pensieri accumula una tensione che si risolve e viene inghiottita nel finale. Ci voleva un disegno apparentemente calmo, sordo, che non pungesse in ogni vignetta ma che seducesse il lettore in maniera un po’ morbosa, lo accompagnasse nella discesa.
Allo stesso modo il ritmo doveva essere lento e mellifluo, le vignette hanno cominciato a sciogliersi, nei momenti in cui il flusso di coscienza prendeva il possesso dei pensieri di Else.
È singolare che in questo momento fumettistico, in cui il “fumetto di realta”, quello intimista e il graphic journalism sono sulla bocca di tutti, tu abbia ambientato il tuo libro all’inizio del ‘900 nella culla della cultura mitteleuropea. In che modo, a tuo avviso, il romanzo di Schnitzter e il tuo fumetto parlano anche di noi, del nostro tempo?
Se vogliamo trovare storie di gente anziana che vuol farsi una diciannovenne, non dobbiamo andare andare tanto lontano nel tempo, basta dare un’occhiata alla cronaca nazionale, no? A parte questo, è chiaro che i classici sono tali perché sono sempre attuali, e in Else ci sono tanti aspetti
che parlano di noi. Il sopracitato rapporto tra l’io e la società, i suoi tabù. Non penso che, solo perché oggi la nudità o la pornografia sono sdoganate e accessibili a tutti (soprattutto via internet), ci sia un rapporto felice e incondizionato in generale con la sessualità. In questo senso
secondo me non si sono fatti grandi passi avanti.
C’é poi un altro aspetto, ancora più vertiginoso, in Else. Schnitzler, in un intervista, dichiarava che fosse lungi da lui dare un giudizio sulla decadenza borghese, men che meno sulle azioni di Dorsday (nel libro, l’autore del ricatto a Else): voleva piuttosto mostrare come per un vecchio, la vista di un corpo nudo di adolescente, equivalesse all’ultima possibilità di estasi, l’ultima rivincita sulla vecchiaia e la morte. Dice pure che se avesse avuto ancora tempo (all’epoca dell’intervista era vecchio) avrebbe scritto solo di vecchietti che passano la notte con belle giovani. Chi avrebbe il coraggio di rilasciare un intervista simile a la Repubblica?
Non ho memoria di molte trasposizioni da romanzo a fumetti riuscite. Posso solo citare con sicurezza Città di vetro di Mazzucchelli. Come ti sei posto il problema di riuscire a far dimenticare ai tuoi lettori che questa storia in origine è un romanzo?
Non voglio che i lettori si dimentichino della storia originale, anzi mi piacerebbe che la leggessero, se non l’hanno già fatto. Ci sono tanti adattamenti teatrali di questo testo, e anche un film muto di Paul Czinner. È la grandezza del testo che fa sì che si moltiplichi in forme diverse, si presti a riletture e stravolgimenti. Vuol dire che è vivo. Tutti quelli che lo adattano fanno una specie di innesto che lo rivitalizza, almeno questo è secondo me il senso di adattare.
separatorearticoloA proposito di trasposizione, il racconto per immagini può secondo te aggiungere qualcosa alla storia originale?
Penso che si aggiunga obbligatoriamente qualcosa, anche nel mio adattamento che è molto fedele.
Quando ti accingi a trasporre un testo letterario, la prima cosa che noti è che dovrai tagliare tanto. Ma se tagli soltanto finisci per mutilare il testo, per trovarti di fronte allo scheletro della trama che non è sufficiente a farne un buon fumetto. Per usare un termine freudiano – parole e concetti del testo devono essere “condensati” da una sola immagine. Questa è l’aggiunta che fa l’autore. Un meccanismo analogo alla formazione dei sogni (sempre secondo Freud). Nel caso di Else, ho notato che si era stabilito un ritmo di uno a uno con il romanzo, per cui una tavola più o meno corrispondeva a una pagina, e l’ho preso come un segno positivo.
Poi puoi gettare una luce diversa sui personaggi. Il portiere dell’albergo, per esempio, che recapita l’espresso a Else, e che poi diventa il guardiano del cimitero nel sogno, è un personaggio che non esiste nel romanzo, è un po’ una mia creazione.
Il fatto che tu non risieda in Italia e che il tuo lavoro di illustratore e fumettista sia rivolto a un pubblico non solamente italiano ha influenzato il tuo percorso artistico e l’estetica del tuo lavoro?
Forse sì, ma non molto in questo libro. Quando disegno un libro mio, mi rendo conto che pesco da diverse esperienze che sono solo parzialmente legate all’Italia. Non riuscire mai a scrivere dei dialoghi con una cadenza o accento di una regione, come fanno per esempio Bacilieri o Gipi,
perché quel mondo non mi appartiene più.
Come vivi il doppio ruolo di illustratore e fumettista? Sono due aspetti professionali che è facile accostare, sovrapporre, far dialogare, oppure devono per forza vivere in ambiti separati, in spazi mentali e creativi differenti?
Direi che appartengono a due spazi creativi abbastanza distanti, per certi versi hanno poco a che fare tra loro. L’illustrazione è statica, il fumetto è una dinamica. In genere uso nell’illustrazione delle tecniche che ho sperimentato nel fumetto, quasi mai faccio il contrario.
Molto spesso mi è capitato di sentire fumettisti italiani mettere in subordine uno di questi due campi lavorativi, anche perché molto spesso il primo riempie la pancia mentre il secondo è vissuto più come passione che come professione. È anche per te così?
Il fatto è che vedo molte più potenzialità nel fumetto che nell’illustrazione. Nel disegno che illustra bene o male un testo c’é sempre un qualcosa di banalotto, concettualmente, è didascalico. Il fumetto è un altro paio di maniche, i personaggi parlano, e mentre parlano il disegno e il ritmo ti dicono un’altra cosa. Trovo qualcosa sempre di molto moderno in questa interazione, ci sono tante cose da sperimentare. È un po’ la differenza che c’é tra palleggiare contro un muro e fare una partita, te lo dico io che a calcio sono sempre stato uno scarpone. Ci si diverte di più.
Sempre da diversi tuoi colleghi fumettisti ho sentito affermare spesso che non leggono fumetti. Io credo invece che un artista debba avere una visione dell’evoluzione del campo artistico in cui opera e non solo. Cosa ne pensi?
Leggo spesso fumetti, soprattutto quelli dei miei colleghi, ma anche quello che capita. Non mi sono mai interessato al fumetto seriale italiano, quello americano mi è sempre sembrato più coinvolgente, anche se adesso non ne so più nulla. Devo dire che non mi interessa tanto se sto leggendo un fumetto, un saggio, un romanzo, un libro di architettura, per me va bene tutto, non sono votato a nessun genere.
Quali fumetti ultimamente ti hanno fatto fare un salto sulla sedia? C’é stata una volta che ti sei detto “questa idea avrei voluta averla io”?
Ce ne sono di fumetti che mi hanno fatto fare il salto sulla sedia, dopo l’idea è del suo autore e nessuno è più bravo di lui a svilupparla, se la facessi io farebbe pena… Sulle pubblicazioni recenti, ho saltato con Morti di sonno di Reviati, mi ha colpito molto. Mi sono piaciuti Terre d’ Accueil di Tota (che uscirà prossimamente in Italia), Fuori Bordo di Macola, Asterios Polyp di Mazzucchelli, Papero e Topo del Dottor Pira. Aspetto con ansia i libri di Cattani.
Se non sbaglio ci sono ancora dei tuoi fumetti usciti in Francia che in Italia non sono stati pubblicati. Pensi si potranno leggere anche do noi?
Ce n’é uno in arrivo, si chiamerà Cinquemila chilometri al secondo ed uscirà a giugno. In realtà era già pronto da un anno ma per motivi editoriali abbiamo ritardato la pubblicazione. Poi c’é il mio primo libro , Les Gens Le Dimanche, ma penso che per quest’anno i lettori ne abbiano già abbastanza…
Stai lavorando su qualche nuovo progetto?
Certo, ma non dirlo a nessuno!
Riferimenti:
Il sito di Manuele Fior: www.manuelefior.com
Il sito della Coconino Press: www.coconinopress.com