L’arte al servizio della Bonelli: intervista a Ernesto Pugliese

L’arte al servizio della Bonelli: intervista a Ernesto Pugliese

Insegnante all'Accademia delle Belle Arti di Napoli, una vita spesa al servizio di tutte le forme d'arte, con particolare attenzione negli ultimi venti anni al mondo del fumetto, collaborazioni in Francia e in Italia con le più prestigiose case editrici: conosciamo meglio Ernesto Pugliese.

pppuglieseErnesto Pugliese è nato a Napoli il 29 marzo 1963. Ha frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, prima di dedicarsi stabilmente al mondo delle nuvole parlanti, dove esordisce nel 1985, sulle pagine de “L’Eternauta”. Successivamente collabora con vari editori francesi, prima di approdare di nuovo in Italia, alla Sergio Bonelli Editore, per la quale dal 2005 a oggi è nello staff di Brendon.

Ciao Ernesto, e benvenuto su LoSpazioBianco!
Ciao!

Il grande pubblico ti conosce per il tuo lavoro su Brendon, la serie bimestrale creata da Claudio Chiaverotti: puoi parlarci del tuo approdo alla Bonelli?
Circa dodici anni fa, reduce da gravi incombenze familiari, trovata un po’ di relativa serenità potei finalmente dedicarmi all’approccio con la casa editrice di Sergio Bonelli . Mandai un po’ di tavole a tema e dopo un anno fui convocato per fare delle tavole di prova, fu così che poi Claudio Chiaverotti mi contattò telefonicamente. Lo ricordo come un momento molto emozionante, I’inizio della mia avventura nella Bonelli con Brendon.

Ma prima di Brendon, c’è stata una carriera ventennale: puoi raccontarci come ti sei inizialmente approcciato al fumetto e all’arte in generale?
Il mio primo approccio all’arte è stato con il cinema, sul finire degli anni Sessanta inizio Settanta, con mio padre …. i primi registi sono stati John Ford, Akira Kurosawa, Sergio Leone, Sam Pekimpha, Alfred Hitchchok , Hartur Penn…..l’impressione del primo piano di Dustin Hoffman in “piccolo grande uomo” è uguale come allora. Contemporaneamente, leggevo Tex, Spiderman, poi mano a mano scoprii tutti i grandi maestri del disegno (Ernesto Garcia Sejas, Alex Raymond, Milton Caniff, Alberto Breccia, Enrique Breccia, Gianni De Luca ,Hugo Pratt, Attilio Micheluzzi, Jean Giraud – Moebius) e da qui in poi fu una straordinaria scoperta dietro l’altra, tutti talenti ognuno con una propria personalità. Negli stessi anni, ho scoperto Illustratori come Walter Molino con le copertine del settimanale Grand Hotel (prima La domenica del Corriere) che con la sua tecnica pittorica a mezze tinte realizzava i romanzi a fumetti (prima dei fotoromanzi), quel naturalismo nella descrizione dei personaggi e delle scenografie, mi catturavano!
Poi tutto un repertorio “infinito” di immagini, dalle illustrazioni dei romanzi di Emilio Salgari, alle illustrazioni dei sussidiari di scuola, ai manuali didattici scientifici, locandine di film (tra i grandi, Robert Mc Ginnis) . Ma anche la pittura: i grandi puglòiseaffreschi e i cicli pittorici e scultorei si sono palesati alla mia attenzione più o meno negli stessi anni (Settanta). La mia prima pubblicazione su L’Eternauta, rivista fondata e diretta da Alvaro Zerboni, avevo 23 anni (1985), con una tecnica mista, i primi pantone, tempere e pastelli. Poi per alcuni anni ho realizzato illustrazioni per la pubblicità e, all’Accademia delle belle arti, ho acquisito il “Metodo” .

Prima di “arrivare” al grande pubblico italiano, avevi già all’attivo alcune collaborazioni con la Francia. Come ti sei avvicinato al mercato transalpino?
La Francia è arrivata nel 1994 dopo che, su suggerimento del mio amico Mario Punzo (titolare/ fondatore della Scuola italiana di Comix) presi contatto con Fabrizio Faina (Scuola di fumetto delle Marche) che all’epoca coordinava un gruppo di disegnatori professionisti romani, tra cui Mauro Salvatori e Giampiero Walnofer. Avevano contatti con vari editori, tra questi Albin Michel, ma prima ancora partecipai alle attività del gruppo, per alcune case editrici italiane.

Quali sono le differenze tra i due mercati attualmente? Hai in programma altre cose per la Francia?
Tutto sommato non ci sono grosse differenze, a parte alcune modalità contrattuali che non sto qui a raccontare. È noto, anche ai meno esperti, che una differenza si evince dal formato della tavola e dalla composizione rispetto a quella “bonelliana”per esempio. Ma anche questo è un discorso relativo, perché in Italia tra gli anni Sessanta e Settanta abbiamo avuto grandi artisti dell’illustrazione che hanno fatto scuola e anticipato addirittura artisti come Frank Miller, Howard Chaykin o Jim Lee, e anche i francesi Umanoidi Associati. Sto parlando di Gianni De Luca, Aldo Di Gennaro, Sergio Toppi, Givanni Ticci e la lista sarebbe ancora lunga. Gianni De Luca, per me che ero poco più che un bambino, mi ha iniziato all’arte totale. Le sue tavole sono un misto di ingegno e trovate originali, a cominciare dal montaggio che riesce a essere cinematografico ma dove sono rintracciabili impostazioni da ciclo pittorico del 1400 italiano (Piero della Francesca, Mantegna), ma con una grafica moderna, scattante, senza precedenti nella storia del fumetto a parte Jack Kirby, dalla frammentazione della tavola in vignette che prendono forma a seconda dell’umore della scena; ma possiamo tornare indietro fino a Winsor McCay, all’inizio del secolo scorso. Per quanto riguarda impegni francesi? Nessuno. Continuerò la mia “ missione” alla Bonelli.

Sei insegnante all’Accademia delle Belle arti di Napoli, ma anche alla scuola Italiana di Comix: ci puoi parlare di queste due attività correlate?
L’insegnamento è iniziato venti anni fa, a 32 anni. Primi tre anni di incarichi annuali, poi dopo il concorso nazionale, in ruolo. Prima in anatomia artistica poi anche in disegno e illustrazione. La Scuola italia di Comix, del mio amico Mario Punzo, l’ ho praticamente vista nascere … ma con qualche sporadica apparizione e solo in questi ultimi anni ho potuto partecipare alle attività di insegnamento con più frequenza. La mia pratica di insegnamento si divide in due percorsi che poi si incontrano: la fase dell’apprendimento delle tecniche del disegno, disegno dal vero e disegno anatomico. E quello del disegno espressivo, analitico. Per me le cose sono molto semplici: disegnare, molto, molto, rispettando questi due percorsi. Poi dopo si fa strada lo stile, che può essere messo al servizio dei vari settori, dall’ illustrazione al fumetto, al cinema di animazione, al charattering design, al ciclo pittorico, alla scultura. Quindi, quando opero, in entrambi i luoghi osservo le stesse procedure. Poi l’apprendimento della professione affina la tecnica ma, a mio parere, non deve emarginare il bisogno di evoluzione dello stile.

pugliesePrima di dedicarti così attivamente al fumetto, hai anche collaborato con il centro sperimentale di cinematografia, nell’ambito del laboratorio sul cinema d’animazione: dal tuo punto di vista privilegiato, quale può essere, e quale invece è, il rapporto che lega a oggi il fumetto con arti che gli si avvicinano, come il cinema, sia d’animazione che non?
Al centro sperimentale di cinematografia di Roma, laboratorio di cinema di animazione, sono stato studente (avevo 22 anni), selezionato con borsa di studio per 2 anni. L’atteggiamento tra fumetto, -illustrazione e ciclo pittorico rispetto all’animazione cambia molto. Un artista può comunque praticarli entrambi.
L’animatore trae godimento dall’idea di movimento prima ancora della realizzazione del disegno in animazione 3d, o stop motion che dir si voglia, mentre l’illustratore o scultore trae godimento nel disegno o manufatto in se. Sono due cose molto distinte.
Ma certo che nel mio bagaglio c’e lo studio dei disegni della Disney sopratutto degli anni ‘60-‘70 (Gli Aristogatti, La Carica dei 101). Comunque quello che dico sempre ai miei studenti, qualunque siano le loro personali aspirazioni professionali , è che bisogna avere, nella ricerca, un atteggiamento trasversale. Insomma un ciclo pittorico del ‘400 è un film ma anche un fumetto, perché si tratta sempre di immagini che raccontano. Ed io ci metterei anche il teatro: infatti passo ore a studiare la recitazione degli attori, mi serve come archivio mimico-mnemonico per i personaggi dei miei fumetti. Un termine che mi piace molto è “transmediale”:  è un atteggiamento che ho maturato spontaneamente e ho avuto il piacere di leggere la stessa espressione sul programma didattico delle scuole unite del fumetto, quindi ciò significa che effettivamente le cose che sono nell’aria, per così dire, si ritrovano.

Sei sempre molto presente e disponibile nei momenti fieristici, per motivi logistici soprattutto in quelli campani: quanto secondo te sono a oggi importanti questi momenti per il comparto editoriale del mondo del fumetto?
Mi diverto a esibirmi. Questi eventi sono utili in quanto “fisiologici”del sistema culturale.

Grazie ad Ernesto Pugliese!

Intervista realizzata via mail nel Novembre 2014

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