Fra le tante verità nascoste, iniziate finalmente a circolare con la perestrojka gorbacioviana prima e quindi con la caduta dell’Unione Sovietica, ci fu anche quella sulla vicenda di Laika, il cane lanciato a bordo dello Sputnik II, nel quarantesimo anniversario della Rivoluzione di Ottobre. A rivelarla fu, ad un congresso di medicina dello spazio tenutosi a Houston il 28 ottobre 2002, il dottor Dimitri Malashenkov, lo specialista che seguì l’addestramento della cagnetta1.
La versione ufficiale aveva raccontato che Laika, comunque destinata a morire non essendo stato previsto alcun piano di recupero, non aveva sofferto in maniera particolare ed aveva trovato una morte indolore, e che grazie a quell’esperimento erano stati raccolti dati importanti sul comportamento dell’organismo in quelle condizioni estreme. Di tutto questo, nessun particolare corrispondeva a realtà: l’animale soffrì penosamente: poiché niente, della strumentazione di bordo che avrebbe dovuto alleviarne le sofferenze, funziono’ a dovere, la morte arrivo’ per lo schianto del cuore e non per misericordiosa eutanasia. Inoltre, i dati raccolti non furono di alcuna utilità. Quella missione fu niente più che un’iniziativa propagandistica, che mirava a sottolineare la superiorità tecnologica sovietica nei confronti del mondo occidentale.
Questo è il materiale su cui Nick Abadzis ha costruito il suo Laika , portato a termine dopo quasi sei anni di ricerche, insignito dell’Eisner Award nel 2008.
Dal punto di vista narrativo, gli ingredienti sono quanto di più intenso si possa immaginare: la contrapposizione fra cinismo umano e fiducia illimitata dell’animale, fra la piccola gioia di Kudryavka/Laika (il primo è il nome datole dalla sua prima famiglia umana, il secondo fu scelto da Korolev, quando la seleziono’ per la missione) dei giorni nei vicoli e le logoranti prove (torture?) a cui viene sottoposta nel centro di addestramento; poi ci sono l’ambizione, che piega ai propri fini la stessa realtà, e il desiderio di riscatto del responsabile del progetto, Korolev, che modellano un mondo dove non c’é spazio per pensieri o sentimenti che non siano allineati all’obiettivo.
Materiale così forte è sì ricco di potenzialità, ma anche di rischi: deve essere manipolato con cura, per evitare la caduta nel patetismo, nello stereotipo o nella categorizzazione banale. Tutto questo è la materia prima preziosa su cui Abadzis si è messo a lavorare: ricerche documentali, certo, indagini sui luoghi2, ma anche, piace immaginare, una costante riflessione sul testo, sulle tavole, sulla caratterizzazione dei personaggi. Gli eventi, di per sé, non sono storia nemmeno in senso storiografico e lo stesso vale a maggior ragione nel campo della narrativa.
COSTRUZIONE
La fine della vicenda, il destino di Laika, è nota: questa consapevolezza dà alla storia un senso di ineluttabilità, accentuato dal continuo riferirsi del responsabile del progetto a se stesso come “uomo del destino“. Inoltrarsi nella vicenda dà quindi una sensazione simile ad una caduta: una forza irresistibile sembra trascinarci, facendoci immergere sempre più nel contesto, nelle relazioni fra i personaggi e nelle loro stesse vite.
Nel caso dei racconti basati su fatti storici, quello su cui la narrazione può contare è la conoscenza da parte del lettore della fine. Questo forza un approccio diverso alla lettura: la tensione non può infatti essere verso il che cosa accadrà, la conclusione, bensì verso il come, il percorso che ha portato, o meglio ci sta portando, a quella fine.
In Laika non siamo autorizzati a sperare che la cagnetta si salvi e allora, ad ogni scena che sembra fornire indizi di quella speranza, siamo portati a cogliere ciò che quella stessa speranza ha frustrato. Simmetricamente, ogni indizio che riveli un collegamento al finale si presta ad essere appunto interpretato come manifestazione di un destino ineluttabile; questo è il caso della maggiore invenzione narrativa del fumetto, cioé dei sogni nei quali la cagnetta si trova a volare.
È importante rendersi conto che le stesse considerazioni valgono per qualsiasi storia: nel momento in cui la leggiamo, la conclusione è già scritta, tutte le scelte e gli accidenti dei personaggi già compiute, già accaduti e niente può mutarli3; semplicemente, nelle opere di finzione è l’autore a decidere ciò che accade. Ma, in ogni caso, non è tanto la conclusione del racconto, quanto il percorso che esso esplora. In altre parole, il diverso centro di gravità della lettura è una sorta di illusione prospettica, per cui, almeno in prima lettura, viene percepito nella conclusione, mentre in realtà è sempre nello svolgimento.
I PERSONAGGI
Molti dei personaggi coinvolti nel progetto Sputnik II che compaiono nel romanzo sono reali e su di essi l’autore ha compiuto ricerche che gli hanno consentito di ricostruirne il profilo con accuratezza. Tuttavia, è importante notare che i protagonisti fondamentali sono frutto della creazione di Abadzis: Tatiana e Liliana, la prima famiglia della cagnetta, e Yelena, che la seguirà dall’arrivo al centro di addestramento fino al lancio. I ruoli di questi sono fondamentali perché sono quelli che l’autore utilizza per generare empatia fra il lettore e Kudryavka/Laika che, a sua volta, è risultato del lavoro dello scrittore.
Su Laika esistono poco più che aneddoti, in cui si mescolano tanti cani e tanti ricordi. La caratteristica che colpì Abadzis è quella che probabilmente determinò la sua scelta per il volo: la sua pazienza. Racconta l’autore: “She was patient. Why she was patient, therés no evidence for that. So that was one of the things in the book that I felt I should provide some evidence for, some idea of how a dog might behave that way” 4.
La ricerca di una spiegazione per quella pazienza, che condannerà Kudryavka, porta Abadzis ad immaginare che la cagnetta sogni di volare e, nei suoi sogni, il volo significa libertà dai pericoli quotidiani e mezzo per ritrovare la sua prima famiglia. Allora, quando durante gli esperimenti vengono riprodotte condizioni vicine alla caduta libera, Laika associa quella sensazione al sogno. è questo, oltre alla fiducia in Yelena, che le dà la forza di essere paziente.
La fiducia appare d’altra parte essere la sorgente principale della forza della povera creatura: fiducia nella sua prima famiglia, nel cane che non fa parte del branco e riesce sempre a salvarsi dagli accalappiacani, ed infine in Yelena. Dalla fiducia in loro, essa trae la forza di resistere e di sperare, ma nessuno di loro riuscirà, in definitiva, a salvarla; solo, se scegliamo una prospettiva vagamente deformata, ad accompagnarla verso la successiva stazione della sua sofferenza.
Se questi sono i personaggi che veicolano l’impatto emotivo della vicenda, il motore reale è il responsabile del progetto, Korolev, che Abadzis definisce “a very complex man, a titan amongst his peers driven both by ruthless pragmatism and, I felt, a deep and mostly unarticolated romanticism”5.
Lo incontriamo in apertura del romanzo, che cammina nella neve, dopo essere stato rilasciato dal gulag di Kolyma6 e lo seguiamo nella sua catena di successi nella conduzione del programma aerospaziale sovietico. Il suo desiderio di essere padrone del proprio destino, che si manifesta come brama di affermazione di sé, è qualcosa di più della semplice ambizione: è come un continuo grido contro il mondo, per riprendersi la vita che il sistema gli ha rubato, per dimostrare che lui è più forte dell’inferno del gulag. Questa vera e propria hybris sembra non lasciare posto a niente altro, ma Korolev, alla fine è non meno degli altri un meccanismo del sistema e può solo fare in modo di convivere con esso e perseguire gli obiettivi che quello condivide o sceglie per lui.
Alla fine, Laika è un romanzo che narra di individui sconfitti, prigionieri, che non possono scegliere, ma solo adeguarsi ed accettare la situazione in cui si trovano. Entro questo quadro, quasi ognuno ha o rivela qualcosa di positivo, a partire, oltre ai già citati, da Gazenko, sempre leale e dallo sguardo gentile, che non possiamo fare a meno di sospettare innamorato di Yelena, per finire con Yazdovsky, che porta Laika a giocare con i suoi bambini per “farla giocare come una cagnolina normale, per una volta” (evento peraltro realmente avvenuto). Per molti dei personaggi, l’incontro con questa cagnolina costituisce un momento di crisi, perché riescono a vedere per un attimo oltre il velo del conformismo, dell’acquiescenza all’ordine costituito e si confrontano con l’insensatezza di quello che stanno facendo.
Non troviamo, in tutto il romanzo, un vero cattivo, un vero villain: nemmeno Kruschev, nemmeno Korolev sono dipinti come tali. Troviamo al più personaggi secondari sgradevoli, animati da un cinismo meschino: il camionista che carica Korolev nella neve, il ragazzo a cui viene affidata Kudryavka e che tenterà di ucciderla, la donna del mercato che tenterà di farla catturare dall’accalappiacani. Sono personaggi senza speranze, senza sogni, il cui animo sembra svuotato di qualsiasi compassione. Abadzis non ci racconta le loro storie, non ci consente di conoscerli e non ci offre indizi per comprenderli, tanto meno per giustificarli. Sono loro che danno inizio alla catena di eventi che porterà la piccola Kudryavka nella camera mortale dello Sputnik II e, alla fine, paradossalmente, sono fra quelli che avranno raggiunto il proprio obiettivo.
IL LATO GRAFICO
In chiusura, è doveroso dar merito all’approccio grafico di Abadzis, che ha scelto di trattare un materiale così emotivamente denso con uno stile sobrio e misurato, le cui raffinatezze non rubano mai la scena alla vicenda, emergendo solo in seconda lettura. Elemento largamente comune a tutte le tavole è il movimento, inteso come entrate ed uscite in scena dei personaggi, cambiamento di scena o variazione del punto di vista. Si prendano ad esempio quelle che raccontano l’agguato teso a Kudryavka ed alla sua compagna dalla venditrice del mercato, alla fine del secondo capitolo: il piano si allarga e restringe, inquadra gruppi e volti, accelera e ferma la lettura; l’uso del piccolo quadro nero per raccontare la fine della compagna di Kudryavka dimostra l’efficacia di soluzioni apparentemente semplici (apparentemente, perché la semplicità è nella loro lettura ma non certo nella loro ideazione), così come l’utilizzo di vignette senza cornice per fermare il tempo ad un istante chiave, nella cui stasi emerge finalmente la tragedia. L’immediata leggibilità è la scelta di Abadzis anche per le tavole che raccontano i sogni di Liliana e Kudryavka (e qui sottolineiamo la naturalezza con cui viene suggerito che i sogni sono condivisi, come se entrambe sognassero lo stesso sogno), composte da vignette mute, dai contorni curvilinei, o che evolvono da e verso le vignette squadrate della veglia.
IMPATTO EMOTIVO
L’impatto emotivo di questa storia probabilmente fa aggio su qualsiasi considerazione strettamente tecnica; una simile intensità la ritrovo in un’altra opera, che sfrutta lo stesso meccanismo di ineluttabilità e gratuità: Ali d’argento di Ayumi Tachihara7, che racconta le vicende dei componenti di una squadra aerea suicida giapponese alla fine della II Guerra mondiale. è sempre difficile analizzare con distacco opere così cariche di pathos, soprattutto perché narrano eventi reali e il loro intento, come scritto sopra, è proprio quello di costringerci a confrontarci con la storia e non con gli strumenti e le scelte degli autori; in questo senso, l’approccio fortemente emozionale è funzionale alla condivisione e mira ad evitare il distacco razionale, che è invece indispensabile alla comprensione.
Abbiamo parlato di:
Laika
Nick Abadzis
Magic Press, 2008
208 pagine, brossurato, colore – 15,50euro
Riferimenti:
Il sito dell’autore: www.nickabadzis.com
Magic Press: www.magicpress.it
Vittorio Zucconi: “Laika non visse nello spazio la cagnetta morì dopo il lancio”, La Repubblica 29 ottobre 2002. ↩
Il sito dell’autore offre un’interessante panoramica sul lavoro di preparazione: www.nickabadzis.com. ↩
Affermazione valida per i romanzi a fumetti, molto meno per le opere seriali, dove la risposta del pubblico può effettivamente influenzare il progetto editoriale. ↩
Intervista di J. Bower all’autore: “Zero Gravity | Laikàs Nick Abadzis”, PLAYBACK:stl – see the light, 16 ottobre 2007. “Era paziente. Perché fosse paziente, non c’é spiegazione per quello. Così fu una delle cose per le quali sentii avrei dovuto fornire qualche spiegazione, qualche idea del come un cane potesse arrivare a comportarsi in quel modo“. ↩
“Un uomo dalla personalità molto complessa, un gigante fra i suoi pari, guidato sia da un implacabile pragmatismo sia, percepii, un romanticismo profondo ed inespresso” cfr.: www.nickabadzis.com/laika. ↩
Kolyma è il gulag più tristemente famoso dell’intero sistema concentrazionario sovietico, situato all’estremità nordorientale della Siberia, contraddistinto da condizioni di vita durissime ed altissima mortalità. ↩
Ayumi Tachihara: Ali d’Argento, Planet Manga, 1998. ↩
Rikkinadir
3 Novembre 2017 a 10:15
Quarantesimo anniversario della Rivoluzione di Ottobre :)
la redazione
6 Novembre 2017 a 14:13
Corretto, grazie!