A volte, gli incontri fortuiti hanno la potenza del classico fulmine a ciel sereno: ci fanno sussultare, ci sradicano per un momento dalla nostra realtà e ci fanno focalizzare su noi stessi, per riprendere un equilibrio a cui fino a quel momento non stavamo pensando. E se gli incontri fortuiti avvengono con persone del nostro passato, magari persone che sono state importanti, possono essere ancora più destabilizzanti: spesso facendoci chiedere chi sia la figura che abbiamo davanti; molte volte lasciandoci a riflettere, con un po’ di amaro in bocca, su chi eravamo prima e chi siamo adesso. Portandoci a pensare alle distanze tra persone, tra realtà e finzione.
Questo è successo anche a Tommi Parrish, che in un’intervista per il Comics Journal ha raccontato di come un rapporto difficile e deteriorato con un suo grande amico, segnato da un allontanamento straziante, abbia dato l’idea di base per La bugia e come l’abbiamo raccontata. Nel racconto Cleary, musicista che nell’attesa di intraprendere un nuovo tour fa la commessa, incontra dopo tanto tempo un suo vecchio amico delle superiori, Tim, ormai prossimo al matrimonio. Da questo momento inizia una discesa sul viale dei ricordi in cui i due parlano delle loro vite, tra omissioni, recriminazioni e piccole epifanie mancate.
La narrazione di Tommi Parrish parte da un assunto tanto semplice quanto interessante: costruire un fumetto interamente basato sul dialogo per trasmettere l’incomunicabilità di due mondi ormai lontani. Da qui nasce il fascino misterioso e sottilmente angosciante di quest’opera e dei suoi due protagonisti: entrambi cercano di raccontarsi, di raccontare la propria realtà, ma non riescono veramente a connettersi come una volta, scivolando in bugie che li fanno sentire protetti, che li coccolano per non far provare loro dolore o disagio.
Cleary parla dei suoi sentimenti e dell’accettazione della sua sessualità arrivata a piccoli passi, arrivando ad ammettere non senza imbarazzo e titubanza,anche il male fatto in passato. Tim invece, pur essendo prossimo a sposarsi, non riesce ancora a capire bene cosa vuole dalla vita e arriva addirittura a confessare rapporti con altri uomini, affrettandosi tuttavia a precisare “ma non sono gay né niente, eh”.
Un dialogo che non va avanti e che sfiora un altro elefante nella stanza: quel rapporto tra loro rimasto a metà, tra tanti non detti e molte parole che sfuggono tra una scena e l’altra del racconto, la bugia vera che segue un movimento continuo tra paesaggi urbani diversi e che sembra non voler lasciare tempo al confronto, ma solo a parole vuote.Anche la rappresentazione dei personaggi rispecchia questo senso di lontananza: laddove i corpi sono mastodontici e gonfiati fino a deformarsi, continuamente in contatto tra loro perché impossibilitati a essere distanti, le teste sono piccole, le espressioni spesso difficili da cogliere, e quando si mostrano sono a metà tra l’assente e lo sconvolto. Solo raramente i protagonisti si lasciano andare a espressioni di sconforto o riflessione, e quasi sempre questi momenti arrivano nella completa solitudine, quasi per evitare di mostrarsi nudi e fragili all’altro.
Spazi, figure e oggetti sono definiti da poche linee e molto colore, che conferisce ancora più materialità a questa realtà affollata di cose, eppure così vuota e desolata: uno stile che guarda sia all’underground contemporaneo, da Jesse Jacobs a Michael Deforge, sia a quello europeo, in particolare alle giustapposizioni di colore di Brecht Evens, unendole con una visione personale.
Oltre alla gestione di dialoghi e ritmi narrativi ben cadenzati, che rispecchiano quelle lunghe chiacchierate tra amici che tutti una volta o l’altra abbiamo avuto, quelle apparentemente profonde e filosoficamente superficiali, Tommi Parrish introduce un elemento metanarrativo che fa da controcanto alla scena principale: nel mezzo del racconto, Cleary trova un piccolo fumetto, Un passo dentro non vuol dire che hai capito (come il titolo di una canzone del gruppo tedesco Notwist); nel libricino una giovane spogliarellista ha una breve relazione con un suo cliente, cosa che le fa provare sentimenti contrastanti. Squallore e presa di coscienza di sé stessi si legano indissolubilmente nel bianco e nero di questa storia nella storia, dove le scene si susseguono come diapositive corredate da didascalie.
Il tratto di Parrish si spoglia di ogni orpello per lasciare spazio a linee esili e sottili, talvolta tremule, svuotando i corpi non solo della loro materia ma anche della loro anima, diventando simbolo di un’emotività effimera, impossibile da afferrare perché forse impossibile da provare. L’assenza di colore inquesto inserto si scontra con le molte tonalità e sfumature degli acquerelli che animano la vicenda principale: pure in questo contrasto (e che vede nei colori un’influenza di Edward Hopper, anche lui focalizzato per un’intera esistenza sulle distanze tra le persone), bugia e realtà si scontrano, facendo risaltare con brutale lucidità tutte le tematiche affrontate, dalla sessualità nascosta alla mascolinità fragile e tossica, fino all’inconsapevolezza emotiva ed empatica dell’essere umano.
Arrivati alla fine di quest’opera ci si potrebbe chiedere quale sia la bugia di cui si parla. Magari qualcuno ci potrebbe vedere, forse anche a ragione, l’ennesimo racconto di una generazione – di fumettisti e non – che non riesce a creare un’arte che vada oltre il proprio sentire, e che si racconti la bugia di saper raccontare storie. Oppure, ci potrebbe vedere una generazione che ha bisogno di interrogarsi su tematiche reali eppure sfuggenti, complesse e non riducibili a singole componenti slegate tra loro: una lotta continua per liberarsi dalla bugia come stile di vita, per cominciare a vivere davvero.
Abbiamo parlato di:
La bugia e come l’abbiamo raccontata
Tommi Parrish
Traduzione di Matteo Gaspari
Diabolo edizioni, 2020
128 pag., brossurato, a colori – 21,00 €
ISBN: 9788831296052
La bugia e come Tommi Parrish ce l’ha raccontata
Tommi Parrish mostra come un piccolo evento possa farci scoprire quante bugie ci raccontiamo per sopravvivere.
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